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IL VALORE SOCIALE ED Assessorato al volontariato ed alla sanità NOMICO DEL VOLONTARIATO. UNA RICERCA C Il volume presenta i principali risultati di una ricerca condotta nella regione Marche sul tema del valore IL VALORE SOCIALE ED ECONOMICO sociale ed economico del volontariato, promossa dall'Associazione volontariato Marche - Centro servizi per il volontariato, in collaborazione con l'Università di Urbino "Carlo Bo" e la Regione Marche.
Questo argomento spinge ad interrogarsi sulla funzione di utilità sociale svolta dal volontariato: quale DEL VOLONTARIATO spazio occupa oggi il volontariato nel sistema di welfare? Quali dimensioni ne caratterizzano l'identità? Inoltre, il tema del valore sociale ed economico solleva interrogativi circa l'opportunità di procedere alla misurazione di tale valore e circa i metodi ritenuti più adeguati. La ricerca, che ha visto coinvolti volontari, Odv e stakeholders, tenta di rispondere a queste domande, con particolare attenzione a quanto avviene nella regione Marche. In tal senso, il volume vuole essere un contributo per quanti, volontari, amministratori, operatori e cittadini intendono interrogarsi sul futuro del volontariato. Centro Servizi per il Volontariato
Una ricerca condotta nella regione Marche Via Trionfi, 2 - 60127 [email protected] Assessorato al volontariato ed alla sanità IL VALORE SOCIALE ED ECONOMICO DEL VOLONTARIATO Una ricerca condotta nella regione Marche Edito da:
Centro di Servizio per il Volontariato - A.V.M.
Via Trionfi, 2 - 60127 Ancona
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scritta dell'editore.
Prima edizione: marzo 2010
Stampato presso: Digitech Srl Via Zona Artigianale P.I.P. 62019 Recanati (MC) ISBN 978-88-96494-02-8 Per una misura
di valore
Quando iniziammo a riflettere attorno alla possibilità di realizzare questa in- dagine non nascondo che qualche nuvola "minacciosa" si addensò nelle nostrementi.
Da tempo ed in più parti non ci stancavamo e non ci stanchiamo ancora di evi- denziare una palese mancanza di riconoscimento del ruolo sociale del volonta-riato ed una scarsa visibilità delle azioni che esso sviluppa, al di là di alcuni oc-casionali ed esteriori riconoscimenti istituzionali.
Era quindi opportuno o meglio necessario dare un segnale forte, chiaro, ine- quivocabile: dimostrare il "valore" dell'azione del volontariato ed il suo impattonella comunità territoriale di riferimento.
Da qui ad arrivare però a stabilire quanto vale economicamente, in euro o in punti percentuali del famoso Pil (Prodotto interno lordo) l'attività svolta dal vo-lontariato, ci sembrava in un primo momento un passo troppo grande.
E ciò sia perché riteniamo che il Pil non sia l'unico ed il migliore indicatore del benessere prodotto da una comunità, ma soprattutto perché il volontariatopropone la centralità della persona e delle relazioni interpersonali in luogo del-la centralità dello scambio mercantile ed opera di fatto in controtendenza rispettoalla deriva economicistica della società, a cui stiamo assistendo. Volontariato èinfatti prioritario sinonimo di gratuità, ossia di capacità di oltrepassare l'orizzon-te economico, come unica chiave di lettura dell'agire umano e dello sviluppo del-la società.
Molte ed approfondite discussioni ci hanno però consentito di metabolizza- re o meglio di contestualizzare questi "mal di pancia" e soprattutto ci hanno con-vinto della necessità di proseguire questo percorso finalizzato a "misurare" il va-lore insito nelle attività di volontariato ed il prezioso contributo da esso garanti-to alla produzione del bene comune. Questa misurazione, che si è avvalsa della collaborazione dell'Università di Ur- bino e della Regione Marche, è avvenuta non tanto e non solo dal punto di vi-sta economico, ma prioritariamente ha inteso indagare il valore del capitale so-ciale generato dall'azione del volontariato nel territorio marchigiano, elementoutilissimo a creare e mantenere comportamenti virtuosi e condizioni di fiducia,di sicurezza e di consenso nella comunità.
E come recentemente ha detto il nostro Presidente della Repubblica Napoli- tano: "….dove cresce il volontariato cresce il capitale sociale….e il capitale so-ciale costituisce un fattore essenziale dello sviluppo economico…".
Indagare questi aspetti ci permette altresì di aprire una riflessione attorno al- l'identità, al ruolo ed all'impatto che l'azione volontaria ha nelle comunità terri-toriali. Ritengo poi che il lavoro realizzato possa essere un contributo nel percorso che dovrà portare il volontariato a divenire un soggetto sociale in grado di for-nire una risposta concreta al bisogno immediato, ma capace al contempo di sti-molare sempre più il sistema politico perché intervenga a rimuovere le cause chehanno generato quel bisogno. Ciò significa rifiutare il semplice ruolo di am-mortizzatore sociale o tappabuchi delle deficienze ed inefficienze delle istituzioniper divenire un soggetto attivo e propositivo, in concorso con gli altri attori coin-volti, nella programmazione, gestione e valutazione degli interventi sociali, sa-nitari, ambientali e culturali nel territorio di riferimento. In altre parole significasaper assumere e svolgere quel ruolo politico di portatori di istanze, segnalato-ri di disservizi ed inefficienze e rilevatori dei bisogni inespressi, in particolare dal-le categorie di cittadini più deboli ed emarginate, che in ultima analisi risulta es-sere la prioritaria mission del volontariato.
Non mi resta quindi che augurarvi buona lettura con l'auspicio che possiate diventare compagni di viaggio in questo percorso di esplorazione del senso, delsignificato e del valore dell'agire solidale.
Enrico Marcolini Presidente Avm-Csv Marche La funzione sociale
ed economica
del volontariato:
il caso Marche
Il valore sociale ed economico del volontariato costituisce un tema all'ordine del giorno, vista la fase di forte crescita e di profondo cambiamento che stannoattraversando le organizzazioni della società civile. La presenza del volontariatosul territorio lascia una scia tangibile nel tessuto della società, di risposta all'in-dividualismo. Le indagini sull'impatto del volontariato si inseriscono nel filone del-le ricerche volte ad indagare la natura e i confini del Terzo Settore (Borzaga, 1991). L'importanza e il valore attribuiti al lavoro svolto dalle organizzazioni del vo- lontariato da parte della società può considerarsi una risposta alla crisi di legitti-mazione dello Stato e delle istituzioni in generale, pertanto, la misurazione del-l'impatto del volontariato tiene conto, tanto della funzione del volontariato nel-lo sviluppo democratico e dei valori di giustizia, quanto dell'apporto offerto al-l'efficacia dei sistemi di welfare state. L'espansione e la crescente presenza di Organizzazioni di volontariato (Odv) sul territorio italiano sono testimoniate dai dati forniti nell'ultima relazione mi-nisteriale sul volontariato, pubblicata nel 2006. Le Odv nel trascorrere di 10 annisono aumentate del 152%: erano 8.343 nel 1995 e sono diventate 21.021 nel 2005.
Dietro l'incremento nel numero di unità si conferma il miglioramento nella ca-pacità operativa delle Odv, rappresentato dall'accresciuto numero di beneficia-ri delle attività, dall'aumento di sinergia con il mondo del privato oltre che conla sfera pubblica, dalle maggiori entrate e dalla sensibilità per la programmazio-ne e specializzazione delle attività, più che per il lavoro sulle emergenze. Crescela diffusione sul territorio e cresce dunque la capacità dei cittadini di organizzarsiper tutelarsi, rappresentare i bisogni e affrontare i problemi. Ciò può essere let-to come il rischio di una parcellizzazione e frammentazione del settore, ma allostesso tempo è in atto un profondo cambiamento nell'identità delle Odv, che si orientano sempre più alla formalizzazione dell'organizzazione e gestione delleattività attraverso la presenza di organi di controllo, regolamenti interni e, tra i col-laboratori, sono sempre più frequenti associati e professionisti, oltre che volon-tari. Ad una prima osservazione, i cambiamenti in atto nel volontariato seguonole linee dell'espansione e della specializzazione. Fin dagli anni '70 si parla di valore sociale del volontariato quando, esaurito il ciclo di espansione del welfare state, il volontariato risultò una risposta credi-bile alla crisi dello stato sociale. A partire dagli anni '80 le Odv hanno ottenutouna legittimazione giuridica e politica nel quadro di riforma delle politiche so-ciali fino alla legge quadro sul volontariato che ha fornito la base giuridica percoinvolgere le Odv nel welfare mix. Con la legge 266 si apre la strada al volon-tariato per un suo ingresso nell'arena pubblica attraverso l'attivazione di rapporticon le amministrazioni locali. Il volontariato è oggi un attore sociale che ha ac-quisito piena cittadinanza nel welfare mix. Il riconoscimento del valore sociale attribuisce rilevanza collettiva e pubbli- ca al lavoro spontaneo, gratuito ed altruistico con cui ogni cittadino e ogni vo-lontario contribuiscono al progresso materiale e morale della società.
La solidarietà, come è stato osservato, è alla base dello sviluppo sociale e del funzionamento efficace dell'economia di un paese (Petrella, 1997). La rilevanza economica del lavoro di volontariato è collegata alla dimensio- ne occupazionale e lavorativa dell'intero Terzo Settore. Il Libro Bianco della Com-missione Europea nel 1993 già indicava il Terzo Settore come una delle poten-ziali risposte al problema della disoccupazione in Europa. Oltre che produttoredi servizi alla persona, il Terzo Settore è creatore di occupazione: cresce il nu-mero di dipendenti retribuiti e sempre più il Terzo Settore è una scuola profes-sionale in cui mettere in risalto le motivazioni delle persone e la capacità di coo-perare per gestire situazioni complesse ed una pluralità di interessi. Tutto que-sto convive con una estrema flessibilità occupazionale fatta di precarietà, stipendipiù bassi rispetto alle corrispondenti figure del settore pubblico, contratti di con-sulenza e collaborazione occasionale (Ascoli, Pavolini, 2005; Accorinti, 2008). Queste considerazioni si applicano anche nel caso delle Odv che sempre più spesso, sebbene in proporzioni ridotte rispetto ad altre componenti del Terzo Set-tore, impiegano al proprio interno personale retribuito. Ma come collocare que-sti lavoratori nell'immaginario collettivo? Se infatti, non troviamo nulla di stranonella presenza di volontari all'interno di cooperative sociali, non altrettanto av-viene quando pensiamo ad una Odv che dà lavoro. Dunque, fino a che punto idiscorsi sulla rilevanza economica si applicano anche nel caso del volontariato?È opportuno distinguere tra volontariato e Terzo Settore? O non si dovrebbe in-vece ritenere il volontario una figura che si muove tra le organizzazioni della so-cietà civile e le istituzioni, rendendo in tal modo fluida la domanda sociale? Il volume che presentiamo offre i risultati di una prima ricerca realizzata nel- le Marche sul tema del valore sociale ed economico del volontariato. Si è cerca- to in particolare di indagare quali funzioni vengono attribuite a questo settore del-la società civile. Per fare ciò ci siamo serviti di una metodologia qualitativa in-tervistando su tutto il territorio regionale stakeholders e volontari. Insieme conloro abbiamo avviato un processo di conoscenza e la creazione di un linguag-gio comune. Capitolo 1
Le origini sociali
Il buonismo è la malattia senile (DIAMANTI I., LA TIRANNIA DELLA BONTÀ, "
LA REPUBBLICA, 19 APRILE 2009) L'esistenza delle organizzazioni della società civile non è nuova; sotto la spin- ta delle istituzioni religiose, dei movimenti sociali, dei movimenti di interesse pro-fessionali e culturali sono sempre esistite organizzazioni volte al servizio del benecomune, sebbene con modalità e caratteristiche differenti. Sono state fornite almeno tre definizioni delle organizzazioni della società civile. La prima è quella che potremmo chiamare una definizione economica,in quanto considera organizzazioni della società civile quelle che ricevonocontributi dai privati e non dagli scambi sul mercato economico o da sup-porti statali. Una seconda definizione è quella che si focalizza sullo status le-gale: le organizzazioni della società civile sono quelle che hanno unaparticolare forma giuridica; sono cioè identificabili con le associazioni. In-fine, la definizione è stata legata agli scopi perseguiti: una organizzazionedella società civile è quella che promuove il bene comune, incoraggia l'em-powerment e la partecipazione dei cittadini. I lavori condotti dai ricercatori della Johns Hopkins University (Salamon, So- kolowski, List, 2003) forniscono invece una definizione induttiva in cui il setto-re della società civile comprende tutte quelle istituzioni che: • sono organizzazioni: hanno una qualche struttura e regolarità di operato anche se non sono formalmente costituite o legalmente registrate; • sono private: non sono parte di un apparato statale sebbene possano ricevere supporti dallo Stato; • non distribuiscono profitto: non hanno cioè scopi di lucro. Certamente le organizzazioni possono produrre profitto dalle loro attività, ma questo deveessere obbligatoriamente reinvestito per gli scopi dell'organizzazione; • sono autonome: possiedono meccanismi interni di governance e con- LE ORIGINI SOCIALI DEL VOLONTARIATO • sono volontarie: i membri non sono obbligati o costretti ovvero possiedono una motivazione personale che li spinge a dare il proprio contributo peril bene comune.
Ne deriva che costituiscono istituzioni della società civile tutte quelle orga- nizzazioni formali e informali, religiose o laiche, che hanno al proprio interno per-sonale remunerato e volontari o solo questi ultimi, la cui attività ha una funzio-ne prevalentemente espressiva (in attività di advocacy, cultura, tutela dei dirittiumani, ecc.) oppure funzioni di servizio (nell'ambito della sanità, dell'educazionee del welfare). Non rientrano nella definizione tutte quelle attività svolte a titoloindividuale, come il voto, la sottoscrizione, la donazione di denaro, ecc. Tra leorganizzazioni della società civile rientrano invece quelle di volontariato (Odv).
La definizione, ampia ed articolata, contiene gli elementi del dibattito che vede nel volontariato la tensione tra esigenze di sviluppo organizzativo ed il legamecon le radici storico-culturali e sociali. 1.1 Coesione sociale e Terzo Settore
All'origine dello sviluppo della società civile e in particolare del mondo del volontariato possono essere rintracciate cause esterne, legate al fallimento di Sta-to e mercato. Specie negli anni più recenti è cresciuta la mancanza di fiducia ver-so lo Stato e il mercato come istituzioni capaci di risolvere le crisi del nostro tem-po: l'uno troppo burocratico e l'altro disattento alle questioni legate ai diritti uma-ni e alle disuguaglianze sociali. Il risultato è stata, secondo alcuni, la frenetica ri-cerca di una terza via (middle way) tra la fiducia solo nel mercato o solo nelloStato; in questo senso si sarebbero mossi molti dei governi europei negli anni ‘90.
Le organizzazioni della società civile integrano, non senza problemi, due orien-tamenti tra di loro contraddittori: da un lato sono organizzazioni che stimolanola libertà di iniziativa dei cittadini e l'idea che le persone hanno il diritto di agi-re in modo autonomo per migliorare la qualità della propria vita. Allo stesso tem-po però, ciò che definisce queste organizzazioni è anche l'enfasi sulla solidarie-tà, sull'idea che le persone hanno la responsabilità non solo verso se stessi, maanche verso la comunità di cui sono parte. Proprio a causa della combinazione tra struttura privata e scopo pubblico, del- la partecipazione dei cittadini, della flessibilità e capacità di sfruttare l'iniziativaprivata per scopi pubblici, le organizzazioni della società civile sono state sem-pre più considerate importanti partner nello sforzo di realizzare nuove soluzio-ni alla crisi del welfare state. Le ricerche hanno contribuito a rendere visibile eoggettivamente comprensibile l'importante ruolo svolto da tali organizzazioni neisistemi di welfare. Tra le funzioni attribuite a tali organizzazioni vi è in primo luogo quella di pro- durre coesione sociale, come si evidenzia per il contesto italiano, dalle indaginicondotte negli ultimi anni. Il nostro paese risulta in una situazione di galleggiante stazionarietà economica e sociale per la mancanza di tensioni collettive, per ladifficoltà di riferimento ad un futuro condiviso e per la generale mancanza di aspet-tative. L'insieme di questi elementi avrebbe contribuito fortemente al progressi-vo sgretolamento degli elementi di legittimazione del welfare, mentre in questoscenario la coesione sociale assume un vero e proprio valore economico. Comeè stato osservato, non ci può essere ripresa economica senza coesione sociale,poiché la ripresa ha bisogno degli effetti positivi che la coesione porta con sé,in termini di disponibilità al rischio e di investimento sul futuro. Il valore economico della coesione sociale traccia un confine "poroso" tra ciò che è profit e ciò che è non profit; il sistema di welfare si arricchisce di soggettinon pubblici, vicini ai bisogni ed alle domande dei cittadini, in grado di costituireuna rete spontanea di base e disponibili ad equilibrare la copertura pubblica; traquesti soggetti ritroviamo la famiglia e il Terzo Settore che, in vario modo affiancanolo Stato e il mercato. Attraverso il discorso della coesione sociale, la società ci-vile entra a pieno titolo nel processo di costruzione della sfera pubblica ed ac-quista una rilevanza anche economica. Si ritiene importante analizzare la posizione del Terzo Settore all'interno del- la rete dei rapporti istituzionali che ne condizionano modelli di azione e strate-gie e che, a sua volta il Terzo Settore è in grado di modificare. Sul ruolo attribuitoal Terzo Settore nella costruzione e ricostruzione della coesione sociale si con-frontano almeno tre posizioni (Anheier, 2008): 1. prospettiva neoliberista: il Terzo Settore è un produttore di servizi come tale
esso risponde a logiche di flessibilità e concorrenza nella produzione di po-litiche di welfare. Opportunamente regolato, il Terzo Settore permette di ri-durre la spesa sociale, migliorare la qualità dei servizi e aumentare la libertàdi scelta (Battistella, De Ambrogio, Ranci Ortigosa 2004; Gori, 2004). Nellaprospettiva neo-liberale le organizzazioni non profit sono fornitrici di ser-vizi in partnership pubblico-private: laddove la burocrazia statale risulta-va essere inefficiente e inefficace si cerca di riorganizzare il settore pubblicoin unità aziendali, di sostituire la fornitura concorrenziale con veri e pro-pri mercati tra pubblico, profit e non profit; di introdurre strategie di mar-keting e flessibilità; di utilizzare strategie di rendicontazione, strumenti dimisurazione delle performance e di controllo delle entrate e delle uscite.
Il neoliberismo ha dunque spinto il Terzo Settore nel dibattito sulla speri-mentazione di nuovi modelli contrattuali, sulla sistematizzazione degli im-pegni reciproci come nel caso del New Labour's Compact o della politicafrancese di inserimento per far fronte alla disoccupazione a lungo termi-ne. La posizione neoliberista raccoglie il diffuso malcontento rispetto a po-litiche pensate solo dall'alto, promuove riforme e crescita economica. L'ac-cento è sulla fornitura di servizi e sugli strumenti di privatizzazione. Si as-siste cioè ad un cambiamento nel ruolo delle organizzazioni non profit inqualità di erogatori di servizi: da enti/soggetti che affrontano domande spe-cifiche di beni quasi-pubblici, che integrano e completano la fornitura pub- LE ORIGINI SOCIALI DEL VOLONTARIATO blica, verso l'acquisizione di uno status di partner paritario della pubbli-ca amministrazione, come strumenti centrali di sviluppo e cambiamento; 2. prospettiva neo-tocquevlliana: il Terzo Settore rafforza la coesione e l'in-
tegrazione sociale mediante il contributo che apporta alla crescita di fidu-cia e reciprocità. Secondo i sostenitori di questa prospettiva, le istituzionidevono promuovere il Terzo Settore e valorizzarlo favorendo la parteci-pazione e la cittadinanza attiva (Rossi, Boccacin, 2006). Questa prospetti-va intende le organizzazioni non profit come espressione della società ci-vile, sottolineandone la funzione di integrazione sociale, partecipazione erafforzamento della comunità. Secondo questa linea di pensiero, la crescitaeconomica e il governo democratico dipendono criticamente dalla presenzadi capitale sociale, dall'esistenza di legami di fiducia e da norme di reciprocitàche facilitano l'interazione sociale. Le organizzazioni della società civile sa-rebbero una sorta di infrastruttura sociale che crea e facilita il senso di fi-ducia e l'inclusione sociale; 3. prospettiva della rendicontazione sociale (social accountability): le or-
ganizzazioni del Terzo Settore sono viste come strumenti di pressione perottenere dalla pubblica amministrazione e dalle imprese, maggiore tra-sparenza e responsabilità nei confronti degli impatti sociali e politici del-le loro azioni (Ceccarini, Diamanti, 2006). Questa prospettiva prende av-vio da una visione conflittualista e pluralista dei rapporti. Nella visione plu-ralista i conflitti di interesse ed identità non vengono eliminati ma trasformatiin confronti regolati che permettono il mantenimento di un livello accet-tabile di coesione sociale in termini di fiducia nei confronti delle istituzioni.
La società civile non è un mezzo di promozione della solidarietà, ma unmeccanismo di mobilitazione della pressione popolare al fine di creare unprogetto radicale di rafforzamento e cambiamento. Nella prospettiva del-la rendicontazione il non profit è uno strumento per migliorare l'efficienzadel governo attraverso la qualificazione della fornitura dei servizi pubblicie una programmazione più informata. Le iniziative di rendicontazione pos-sono essere considerate rilevanti perché potrebbero portare ad una eman-cipazione, in particolare di coloro che si trovano in situazioni di povertà,ampliandone le libertà individuali di scelta e di azione. L'attenzione sul-la società civile contribuisce all'importanza politica del Terzo Settore.
1.2 Volontariato e Terzo Settore nel sistema di welfare italiano
1.2.1 I modelli di welfare state La "Teoria delle origini sociali del settore non profit" ha mostrato come il Ter- zo Settore non sia qualcosa di spontaneo e libero, ma lo strumento di specifichepolitiche e il prodotto di una determinata configurazione ed organizzazione delwelfare state. L'analisi condotta dai ricercatori conferma che "esiste una connessione specifica tra modello di welfare state e grado di espansione, caratteristiche e ruo-lo del Terzo Settore" (Salamon, 1991). Nella teoria delle origini sociali la classi-ficazione dei sistemi di welfare si basa sul radicamento del Terzo Settore all'in-terno della struttura sociale ed economica; il radicamento viene misurato attra-verso dimensioni quali la spesa sociale e il numero di occupati. La classificazione distingue, quindi, quattro regimi a seconda di quali siano le dimensioni quantitative del settore e l'estensione della spesa pubblica in ser-vizi di welfare: • modello liberale: caratterizzato da un forte Terzo Settore in coincidenza con un basso livello della spesa sociale. Prevede un modello di finanziamen-to dove prevalgono le contribuzioni volontarie e private. Questo modelloè tipico della Gran Bretagna e degli Stati Uniti; • modello statista: caratterizzato dallo scarso impegno dello Stato, modeste dimensioni del Terzo Settore e prevalenza di sistemi tradizionali e familiari.
Vede la prevalenza del finanziamento tramite tariffe; • modello social-democratico: caratterizzato da elevata spesa sociale pubblica e scarsa estensione del Terzo Settore. Prevede la prevalenza del finanzia-mento pubblico. È tipico degli Stati scandinavi e in parte dell'Italia (sebbeneci siano notevoli differenze riguardo al livello effettivo della spesa socialepubblica e di welfare tra questi due Paesi); • modello corporativo: caratterizzato da elevata spesa pubblica e un forte Ter- zo Settore. Anche in questo caso il finanziamento è prevalentemente pub-blico. È tipico di Germania e Francia.
Un'altra tipologia di classificazione si focalizza soprattutto sull'estensione del- la copertura pubblica e sul grado di responsabilità di cura lasciato alle famiglie,non attribuendo importanza all'organizzazione della fornitura dei servizi sociali. Tra i paesi europei ed occidentali esistono differenze nei modelli di welfare legate alle specificità dei rapporti e delle competenze attribuite a Stato, merca-to, famiglia e Terzo Settore. Anttonen e Sibila (in Ranci, 2003) distinguono almenocinque modelli di sistemi assistenziali: • il modello scandinavo: caratterizzato da una notevole estensione dei ser- vizi sociali e da un elevato tasso di partecipazione femminile al lavoro; • il modello del sud Europa: caratterizzato da un'offerta alquanto limitata di servizi di cura, dalla predominanza di servizi resi tramite l'economia informaleo illegale e da una modesta quota di donne occupate; • il modello britannico: caratterizzato da programmi means-tested, che de- stinano le attività svolte soltanto alle quote più deboli della popolazione.
La gestione di questi servizi resta a forte dominanza pubblica; • il modello del centro Europa: caratterizzato da un sistema sussidiario in cui accanto al ruolo della famiglia si registra la numerosa presenza di orga-nizzazioni religiose e politiche ed il sostegno finanziario è pubblico; • il modello franco-belga: caratterizzato da un'estesa rete di servizi per l'in- fanzia che consente di mantenere elevata la quota di madri occupate. LE ORIGINI SOCIALI DEL VOLONTARIATO Entrambe le classificazioni costituiscono un importante contributo alla com- prensione dei legami tra sviluppo dei sistemi pubblici di welfare e ruolo del Ter-zo Settore. Un altro punto di vista nell'analisi comparata dei sistemi di welfare consiste nell'osservare il modello di organizzazione della fornitura di servizi sociali con-siderando, non solo il ruolo che il Terzo Settore assume nella fornitura dei ser-vizi, ma anche il tipo di finanziamento cui esso ricorre prevalentemente: in qua-le misura esso dipenda dallo Stato o da altre fonti finanziarie.
Si individuano quattro modelli di fornitura di servizi che rappresentano talvolta casi nazionali, talvolta la situazione che, all'interno di un Paese, si riscontra in unparticolare campo di attività (Ranci, 2003): • modello sussidiario: caratterizzato dallo Stato che finanzia generosamen- te i servizi forniti dal Terzo Settore, che rappresentano il principale forni-tore di servizi. Lo Stato assume la funzione di finanziamento e controllo,gestendo direttamente una piccola parte dei servizi, lasciando uno spazioresiduale allo sviluppo di imprese private lucrative.
La Germania rappresenta un caso emblematico: il Terzo Settore assorbe piùdel 60% dell'occupazione nel campo dei servizi sociali e il finanziamentopubblico copre il 65% della spesa; • modello di dominanza del Terzo Settore: caratterizzato da una ampia pre- senza del Terzo Settore a cui corrisponde un limitato impegno finanziariodello Stato, che copre soltanto parzialmente le esigenze finanziarie delleorganizzazioni che forniscono servizi. Maggiore spazio trovano le orga-nizzazioni non profit, spesso di origine religiosa.
I casi che rientrano in questo modello sono la Francia e la Gran Bretagna,nello specifico campo dei servizi per l'infanzia; l'Italia per i servizi residenzialie la Spagna per i servizi ai portatori di handicap; • modello a prevalente dominanza dello Stato: caratterizzato dall'offerta dei servizi sociali creata direttamente dallo Stato il quale attribuisce un ruo-lo residuale alle organizzazioni non profit che hanno una certa rilevan-za solo in settori specifici e, in ogni caso, ne dipendono finanziariamen-te in misura completa.
Il caso nazionale più emblematico è la Norvegia, ma, nel campo dei ser-vizi residenziali, anche in Francia viene adottato questo modello; • modello a dominanza di mercato: caratterizzato da una rilevante quota di servizi offerti da imprese private lucrative, affiancata dall'offerta diretta diservizi pubblici e da quella del Terzo Settore. Questo modello si differen-za dagli altri per una maggiore mercificazione dei servizi e per una mag-giore residualità dell'intervento dello Stato. Fin dagli anni '80 gli studi di Paci e di Ascoli evidenziano la complessifi- cazione e pluralizzazione delle forme di regolazione pubblica in Italia chevede l'articolarsi all'interno del sistema di welfare di istituzioni pubbliche,mercato, Terzo Settore e famiglia. Si parla in particolare di interdipendenza per indicare che lo stato di benessere si è realizzato attraverso prestazioni diservizio plurali. Questa pluralità è stata sintetizzata nell'immagine del pat-chwork che, ad una visione prettamente economicista contrappone l'ideadella complessità e della frammentazione. Il sistema di welfare si caratterizzaper un mix di attori in cui il Terzo Settore nelle sue componenti non è alter-nativo al pubblico, ma public agent (Ranci, 2004).
1.2.2 Principio di sussidiarietà, Terzo Settore e volontariato La legge 328/00 disegna un sistema di governance in cui rientra anche il vo- lontariato, non più soggetto residuale, ma componente a tutti gli effetti del sistema.
In questo scenario il filo conduttore che lega il volontariato al sistema pubblicoè la logica di sussidiarietà. A partire dalla legge 328 si riconosce il contributo pro-veniente dal volontariato e si afferma l'importanza che il settore pubblico sup-porti e anzi rafforzi tale settore in un'ottica di sussidiarietà. Si tratta di un signifi-cativo capovolgimento nella definizione del volontariato. La sussidiarietà indica una relazione di mutuo aiuto e collaborazione per il rag- giungimento del bene comune e della coesione sociale. In base al principio disussidiarietà si delinea un sistema di governance basato sul coinvolgimento e lacondivisione di soggetti del territorio, inseriti in un sistema a rete, che autono-mamente perseguono finalità comuni. Tale principio apre per il volontariato spa-zi di coinvolgimento nella realizzazione del sistema di governance. L'art. 1 comma 3 della legge 328/00 afferma infatti che "Gli Enti Locali, le Re- gioni e lo Stato, nell'ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevo-lano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi del-la cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fon-dazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli entiriconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, ac-cordi o intese operanti nel settore, nella programmazione, nella organizzazionee nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali". Da questo ar-ticolo si ricava l'indicazione per il sistema di raggiungere obiettivi di sussidiarie-tà verticale ed orizzontale.
La sussidiarietà verticale consiste nella ripartizione e nel decentramento del- le competenze degli organi statali tra le diverse amministrazioni locali (Regioni,Province, Comuni). L'esercizio delle responsabilità pubbliche viene ad essere sud-diviso tra i diversi enti territoriali; inoltre la responsabilità incombe di preferen-za sulle autorità più vicine ai cittadini, in quanto titolari di una più attenta chia-ve di lettura delle esigenze e dei bisogni. La sussidiarietà orizzontale è stata spesso intesa come semplice supplenza del- la società civile alle carenze delle istituzioni; essa, nelle intenzioni del legisla-tore è uno strumento di promozione, coordinamento e sostegno che permettealle formazioni sociali (famiglie, associazioni, volontariato, ecc.) di esprimere almeglio e con piena garanzia di libertà di iniziativa, le diverse e specifiche po-tenzialità.
LE ORIGINI SOCIALI DEL VOLONTARIATO Di fatto, lo scenario di innovazione e partecipazione del volontariato al sistema di governance promosso dalla 328 risulta compromesso, come mostrano i datidi una recente ricerca condotta da Irs (Istituto per la ricerca sociale) e CSVnet (Co-ordinamento nazionale dei Centri di servizio per il volontariato) sul territorio lom-bardo (Cicoletti, 2008). I risultati dell'indagine mostrano infatti come al terminedel secondo triennio dei piani di zona in Lombardia persista una "sensazione ge-nerale e diffusa del volontariato che, avendo partecipato anche attivamente alledue triennalità, non vede i risultati, non comprende l'utilità del proprio contributo,non sa se sia realmente utile ripresentarsi per una nuova programmazione". L'in-dagine, che si è focalizzata sul triennio 2006-2008 ha coinvolto 315 organizzazionidi volontariato. Dai dati emerge che di queste, 113 erano quelle convocate perla programmazione dei piani di zona, ma solo 84, pari al 27% del campione, han-no poi attivamente partecipato alla progettazione. Mentre quasi tutte le Odv han-no svolto un ruolo consultivo nella fase di analisi dei bisogni, la partecipazionenella fase della co-progettazione degli interventi e della definizione delle attivi-tà programmatorie è minore. Significativamente inoltre, una parte del volontariatolombardo intervistato, a fronte delle difficoltà di partecipazione effettiva ai pia-ni di zona sottolinea l'importanza di poter affidare la propria voce ad altri orga-nismi, indicando tra questi il Csv. Tale tendenza mostra un'esigenza di rappre-sentanza del volontariato come tale, "l'esigenza di sentirsi rappresentato all'in-terno di un mondo, quello del Terzo Settore, complesso, dove gli interessi spes-so si mescolano con i saperi". Non si tratta a ben vedere solo di un problema dipartecipazione o esclusione dal sistema di welfare. Il volontariato si trova a do-ver gestire anche un problema di frammentazione al proprio interno ed ancherispetto al più ampio Terzo Settore. Questa frammentazione è in primo luogo unproblema culturale, relativo alle modalità adottate dalle Odv nell'interazione conle altre componenti del sistema. In considerazione delle difficoltà incontrate dal volontariato per un'effettiva partecipazione al sistema di welfare, alcuni osservatori si sono chiesti se l'accre-sciuta attenzione alla collaborazione tra Stato e Terzo Settore, la progressiva pro-fessionalizzazione ed importanza da questo acquisite, la specializzazione abbianoescluso i volontari dal coinvolgimento diretto nell'erogazione di servizi a vantaggiodi lavoratori retribuiti e professionalizzati, oppure se esista la possibilità che i vo-lontari affianchino i professionisti rendendo così possibile la fusione di saperi edabilità relazionali per una più efficace presa in carico dei bisogni dei cittadini. Recentemente alcuni lavori condotti in Italia sul tema del contributo del vo- lontariato al sistema di welfare sottolineano l'ambiguità dell'odierna collocazio-ne del volontariato; si parla esplicitamente di "bivio" fra la riduzione burocrati-ca e la ripresa di una dinamica innovativa (Zamagni, 2002; Ranci Ortigosa, 2008).
Il volontariato è stato sempre più coinvolto nelle responsabilità e nella gestione del welfare. Secondo alcuni questo ha prodotto una deresponsabilizzazione daparte dell'ente pubblico e una perdita di autonomia e di coscienza critica da par-te del volontariato. La dipendenza da risorse economiche avrebbe spinto verso l'adeguamento a standard funzionali e strutturali connessi all'accesso a fondi pub-blici (v. contratti e convenzioni); sebbene i dati confermano che l'utilizzo è dif-fuso, ma non consistente. Questo induce a ritenere piuttosto che sia stato avviatoun processo di integrazione delle Odv con gli attori pubblici e non rapporti didipendenza. Rispetto invece ai rapporti con le altre componenti del Terzo Settore, il vo- lontariato continua ad essere l'attore in grado di rispondere con prontezza, fles-sibilità e capacità di ascolto ai bisogni emergenti, ma il processo di frammenta-zione ha reso urgente la necessità di operare in rete (Ranci Ortigosa, 2006; Fran-zoni, Anconelli, 2007).
La metafora della rete, a volte utilizzata in forma quasi rituale, evoca una du- plice immagine. Da un lato la rete viene considerata come una trappola, una strut-tura che imbriglia; essa si presenta come "un intreccio di legami e di vincoli checondizionano, indeboliscono, congelano le capacità, le potenzialità di emanci-pazione, di sviluppo, di libertà". Dall'altro la rete indica un intreccio le cui con-nessioni configurano rapporti, interdipendenze reciproche, sono in grado di rea-lizzare e accrescere legami e risorse comunitarie di solidarietà, di cura, "genera-no una trama di relazioni e nessi protettivi".
1.2.3 Esternalizzazione, accreditamento e convenzioneIl termine esternalizzazione è la traduzione del termine inglese outsourcing con il quale si indica il rapporto che viene ad instaurarsi tra il soggetto che ester-nalizza e quello chiamato a svolgere l'attività in questione.
Ciò rimanda ad una caratteristica del fenomeno che sembra importante anche al fine di una definizione generale: l'esternalizzazione si modella a seconda del-l'ambito entro il quale viene applicata; è difficile, infatti, parlare dell'outsourcingsenza fare riferimento all'attività specifica che si vuole esternalizzare.
Secondo l'interpretazione prevalente può dirsi esternalizzazione quel processo che un soggetto pone in essere per l'affidamento di una propria attività, o di par-te di essa, ad un altro soggetto, al fine di ottenere per sé un vantaggio in termi-ni prevedibili e quantificabili.
Il processo di esternalizzazione di servizi alla persona si è sviluppato soprattut- to attraverso il mutamento della forma organizzativa dei servizi, che sono passati dauna gestione esclusivamente diretta, alla "delega di produzione" ad agenti esterniall'amministrazione pubblica. La delega prevede il finanziamento dell'erogazione deiservizi da parte dell'autorità locale alle organizzazioni private che offrono la prestazione.
La pubblica amministrazione definisce i principi e predispone le misure per il più efficiente ed efficace servizio delle relative attività; tuttavia, le collaborazionicon gli enti pubblici nelle prime esperienze si sono configurate come una sortadi "appalto a mano d'opera" quantitativamente limitato (Franzoni, Anconelli, 2007).
Il parziale ritiro dello Stato dai compiti gestionali non si è espresso tanto con la riduzione dell'impegno di spesa, che permane, né nel diretto trasferimento asoggetti privati o non profit di servizi pubblici, quanto, afferma Ranci, nella "ri- LE ORIGINI SOCIALI DEL VOLONTARIATO nuncia a sviluppare ulteriori programmi gestiti direttamente dall'amministrazio-ne pubblica e nella parallela incentivazione dell'offerta dei privati". Inoltre, la ri-dotta disponibilità di risorse finanziarie pubbliche ha comportato un taglio neiservizi attraverso il blocco delle assunzioni.
Le relazioni fra organizzazioni private che erogano i servizi e soggetto pub- blico possono seguire due linee: una diretta, per cui è il soggetto pubblico chesceglie i criteri in base ai quali affidare i servizi alle organizzazioni private e se-leziona direttamente tali realtà (convenzionamento); una indiretta, per cui il sog-getto pubblico si limita a finanziare le organizzazioni scelte dall'utenza per i ser-vizi da esse forniti, dopo aver stabilito i criteri generali di ammissibilità delle sin-gole realtà a questo mercato di welfare (accreditamento) (Pavolini, 2003).
L'attore pubblico, definendo e imponendo ai soggetti standard quantitativi e qualitativi legati all'offerta di taluni servizi, opera di fatto una selezione dei for-nitori potenziali. Attraverso convenzioni ed accordi il Terzo Settore entra nel pro-cesso di programmazione e gestione dei servizi sociali e viene concepito comeuna risorsa strategica, non solo per quanto concerne l'implementazione degli in-terventi, ma anche e soprattutto in qualità di anello di congiunzione tra le domandeemergenti dalla società e il livello politico.
Lo strumento della convenzione è stato concepito dal legislatore come un'ope- razione contrattuale di natura associativa che viene redatta sulla base di una trat-tativa privata, allo scopo di coinvolgere direttamente i soggetti non profit nel-l'identificazione e nel sostegno dei bisogni a cui gli apparati pubblici intendonodare risposta. Attraverso la convenzione prevale il principio di integrazione: il pri-vato sociale viene considerato come una risorsa importante sia perché meglio ingrado di valutare e captare le caratteristiche della domanda che da essa si origi-na, sia perché meglio risponde a tali problematiche di cui ha maggiore conoscenza.
Il rapporto convenzionale può essere di due tipi:- l'ente pubblico interviene a parziale sostegno degli oneri assistenziali con-nessi; l'ente pubblico acquista il prodotto della cooperativa determinando con essaun rapporto immediato e diretto.
In genere la pubblica amministrazione nell'individuare i propri partner si ri- ferisce all'apposito registro gestito dalla Regione di riferimento, in cui risultanoregistrati i gruppi di volontariato, le cooperative sociali sia di tipo A che B, le azien-de private che operano nel campo dei servizi rivolti alla persona, distinte sullabase dei settori di intervento in cui esse operano e le diverse ragioni sociali.
L'iscrizione ai Registri regionali rappresenta un criterio di trasparenza come requisito per il convenzionamento. L'iscrizione dà luogo ad un controllo perio-dico sulla situazione patrimoniale, sul livello di professionalità e in tal modo cen-sisce e seleziona i potenziali interlocutori delle amministrazioni locali. Inoltre per-mette l'attuazione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, nel-la cui valutazione entrano considerazioni sul radicamento delle Odv al fine di tu-telare l'utenza e l'insieme dei servizi consolidati nel tempo.
In questo nuovo scenario resta aperto il dilemma autonomia-dipendenza del Terzo Settore dal settore pubblico. Tramite le convenzioni, i finanziamenti pub-blici rappresentano la maggior entrata delle organizzazioni. Ciò, da un lato è se-gno dell'attenzione degli amministratori alla co-progettazione, ma può anche es-sere segnale di difficoltà di accesso ad altre forme di finanziamento.
Alcuni studiosi hanno osservato però che la separazione tra la funzione di fi- nanziamento e quella di fornitura alimenta la competizione pubblico - Terzo Set-tore senza dare luogo ad un vero e proprio mercato dei servizi, sia perché il pub-blico mantiene il ruolo di regolazione e sia perché permangono legami collaborativiostili al meccanismo spinto della competizione. Piuttosto vengono garantite qua-lità e professionalità (Ascoli, Pavolini, Ranci, 2003).
1.2.4 Il piano di zonaIl piano di zona (pdz) rappresenta un'importante innovazione nel pano- rama delle politiche sociali. La legge 328 riconfigurando il sistema di gover-no si concentra sulla programmazione come fattore essenziale di innovazio-ne: la legge dispone che i Comuni debbano concertare la programmazionecon le Asl in una logica di integrazione operativa e farsi promotori di inizia-tive di mobilitazione di altri enti. Inoltre la legge poggia su due pilastri: la re-sponsabilità pubblica del sistema dei servizi e l'integrazione degli interven-ti. L'ente pubblico esce da una logica di esclusività per entrare in una logicadi governance, di regia degli attori seduti al tavolo della programmazione. Lospazio politico entro il quale l'ente locale si muove è quello del ruolo di pro-pulsore e regolatore di politiche ed azioni sociali ideate e attivate di concer-to con gli altri attori; dall'altro l'ente assume il ruolo di garante nei confron-ti dei cittadini, rispetto alle prestazioni erogate da una molteplicità di attorisociali che dovranno accreditarsi. In questo senso il piano di zona è uno stru-mento di costruzione del consenso ed anche occasione di integrazione a li-vello istituzionale, per promuovere la collaborazione tra istituzioni differen-ti. L'integrazione è sia gestionale che funzionale/operativa e richiede di lavorareper progetti tra più operatori.
In tutte le regioni sono stati istituiti gli uffici di piano e nel modello marchi- giano è prevista una specifica figura professionale, il coordinatore d'ambito, cheopera in maniera stabile come facilitatore del processo di programmazione e disupporto tecnico. La partecipazione di vari soggetti ai pdz è un indirizzo fondamentale: questa molteplicità può procurare difficoltà, ma rappresenta anche potenzialità e ricchezzada valorizzare. La progettazione partecipata è una specifica modalità tecnica perla trattazione di problemi e la costruzione di progetti adeguati alle finalità dellalegge. Si tratta di uno stile di intervento capace di coinvolgere un vasto numerodi attori che, integrandosi reciprocamente, possono fornire ricchezza e qualità.
Per un efficace progettazione partecipata, la partecipazione non può essere soloformale, senza riconoscere il potere dei soggetti coinvolti. Il coinvolgimento di LE ORIGINI SOCIALI DEL VOLONTARIATO soggetti portatori di capacità ed esperienze diversificate tende a costruire rispo-ste originali e creative ai bisogni, piuttosto che replicare modelli standardizzati.
Il rischio tecnico è proprio quello di accettare una visione neutrale del proces-so, mentre il rischio politico è di far passare per condivise decisioni prese altro-ve. Per questo è importante identificare bene gli attori, per avere presente la po-sta in gioco per ciascuno; predisporre uno schema concettuale del processo, ve-rificare l'efficacia del processo. Il pdz è uno strumento per governare processi in trasformazione. Il mo- dello incrementale di costruzione dei pdz parte dal presupposto che la real-tà si sviluppa per piccoli passi e si ridefinisce continuamente nel corso del-l'azione sotto la spinta di interessi particolari dei soggetti in campo, per cuila conflittualità e la necessità di negoziazione accompagnano tutto il percor-so di elaborazione e attuazione del piano. Il primo passo è la costituzione del-la rete dei soggetti; segue la raccolta dei dati sulla domanda e offerta di ser-vizi per costruire la base conoscitiva; la terza fase è l'analisi delle modalità digestione dei servizi a livello integrato; infine occorre stabilire i contenuti deipdz. Una volta definito il piano di zona i diversi attori lo fanno proprio attraversol'atto politico dell'accordo di programma, assumendo la responsabilità dellarealizzazione.
I piani di zona sono un dispositivo qualificante e in grado di promuovere il lavoro di rete tra più attori ed in modo progettuale. Sul piano concreto alla par-tecipazione prescritta dalla normativa non sembra corrispondere una sostanzia-le conferma della capacità-possibilità per le Odv di incidere sulle decisioni cheverranno prese. In vista di questo obiettivo si richiede al volontariato di transi-tare dall'attenzione sui bisogni all'attenzione nei confronti dei problemi sociali.
Laddove i bisogni, molteplici e soggettivi hanno configurato la partecipazione del-le Odv come un "prendere la parte di …", i problemi piuttosto devono essere ri-conosciuti da tutti per poter essere gestiti. Al volontariato si chiede di misurarsicon le problematiche ineliminabili e solo in parte fronteggiabili, interagendo consoggetti contigui e lontani; di diventare più competente nel capire i problemi enel riconoscerli (Olivetti Manoukian, 2008). Sul livello di coinvolgimento e partecipazione delle Odv ai piani di zona inci- dono fattori quali: il settore di intervento, l'estensione territoriale dell'attività, l'ap-partenenza a gruppi organizzativi, la presenza di personale retribuito, il periododi costituzione, le dimensioni sociali ed economiche. Le ricerche sul territorio na-zionale indicano che la partecipazione si costruisce a partire da un contatto diretto:l'ente titolare della programmazione convoca sulla base delle conoscenze diret-te, dei suggerimenti e delle esperienze pregresse. Concretamente poi, le Odv par-tecipano alla fase iniziale di mappatura ed analisi dei bisogni del territorio, svol-gendo in tal modo una funzione di tipo consultivo. In linea con quanto stabilitodalla 328, alle Odv si chiede di trasferire nel processo di programmazione le co-noscenze relative ai bisogni emergenti del territorio, ma la titolarità della proget-tazione resta pubblica (Mosca, 2008). 1.3 I volontari: profilo, competenze e formazione. Il lavoro di servizio
Da quanto fin qui esposto si profila una frattura tra l'espansione del volonta- riato e le difficoltà incontrate ad un effettivo inserimento nel sistema di welfare.
Si registra un miglioramento sia quantitativo, dato dall'incremento nel numero diOdv, sia qualitativo segnato dal miglioramento nella capacità operativa delle stes-se Odv, dall'aumento di sinergia con il mondo del privato oltre che con la sferapubblica, dalle maggiori entrate e dalla sensibilità per la programmazione e spe-cializzazione delle attività più che per il lavoro sulle emergenze. Cresce la diffu-sione sul territorio e cresce dunque la capacità dei cittadini di organizzarsi per tu-telarsi, rappresentare i bisogni e affrontare i problemi. Crescono anche le com-petenze interne alle Odv che si orientano alla formalizzazione nell'organizzazionee gestione delle attività attraverso la presenza di organi di controllo, regolamen-ti interni e, tra i collaboratori, sono sempre più frequenti associati e professioni-sti, oltre che volontari. Una quota molto alta di italiani usa il proprio tempo per attività che vanno dal- la assistenza gratuita alle persone in difficoltà alla sensibilizzazione civica e allapromozione culturale, dalla difesa dell'ambiente all'informazione politica: dun-que, attività rivolte al miglioramento delle condizioni di vita comune, non dal pun-to di vista economico, ma da quello della qualità e dell'equità sociale, che richiedonoricompense quali fiducia, gratitudine, collaborazione, senso di appartenenza.
Una lettura critica di questo fenomeno sottolinea come l'offerta di servizi e pre- stazioni da parte delle Odv abbia provocato una pressione da parte del settorepubblico e di altri settori sulle Odv, affinché diventino più "professionali" nel-l'erogazione dei servizi e nella gestione finanziaria. All'interno delle Odv i volontaridevono fornire la risorsa fondamentale del funzionamento, l'impegno volonta-rio ma anche svolgere compiti esecutivi, di direzione e di gestione. Ambrosini (1994,2005) classifica l'attività di volontariato in: 1. occasionale: si rapporta con le iniziative in modo sporadico, sulla base di
esigenze contingenti; 2. esecutivo: assume compiti piuttosto semplici, ma in modo continuativo ri-
spetto alle funzioni essenziali dell'Odv; 3. integrativo: svolge compiti significativi anche in relazione ai beneficiari;
4. professionale: mette a disposizione le proprie competenze con regolarità;
5. promozionale: svolge attività non rivolte ad utenti finali ma alla popolazione
in modo ampio (v. raccolta fondi, sensibilizzazione, ecc.); 6. gestionale: è coinvolto nelle attività di amministrazione e direzione, nelle
relazioni politiche e sociali con il contesto locale e istituzionale.
Nell'insieme l'impegno dei volontari risente di un potenziale conflitto tra at- tività di servizio e promozione della partecipazione. Nella risoluzione di questoconflitto un ruolo centrale, secondo alcuni, è giocato dai diversi modi di inten-dere e gestire la leadership nelle organizzazioni: alcuni dirigenti aggregano e dan-no possibilità di espressione, altri lasciano poco spazio all'autonomia. Inoltre mol- LE ORIGINI SOCIALI DEL VOLONTARIATO to incide anche il livello di istituzionalizzazione raggiunto dall'organizzazione. Concretamente, le regole da seguire secondo i dettami del new management • far conoscere, anche attraverso corsi di formazione, obiettivi e identità del- • istituire e formare un responsabile dell'accoglienza e dell'inserimento dei • valutare le competenze e le attitudini del nuovo arrivato per ottimizzare il • curare il coinvolgimento, concretamente e da subito, nell'attività dell'or- • cercare di venire incontro alla persona sui tempi e sui modi nei quali può fornire il proprio apporto; • mostrare disponibilità verso le domande e le proposte del nuovo arrivato;• trasmettere motivazioni non solo con le parole, ma anche con i compor- L'elemento di novità risiede probabilmente però nel volontariato come modo diverso, partecipato e responsabile di essere cittadini che, in quanto tali,investono parte del proprio tempo nel sociale. La legge 266 apre le porte al ri-conoscimento della rilevanza pubblica dell'attività svolta dai volontari, fino ad al-lora confinata negli organismi di solidarietà (Buscaglia, 1993), fino a poter par-lare oggi di un vero e proprio lavoro gratuito. Il valore e l'apporto delle organizzazioni di volontariato sono misurabili non solo in termini di partecipazione alla vita collettiva e creazione di servizi per lacollettività. Il volontariato, in quanto componente del Terzo Settore è ormai a pie-no titolo un attore rilevante nel raggiungimento degli obiettivi del sistema di wel-fare, sotto il profilo economico ed occupazionale.
Nel Terzo Settore ritroviamo forza lavoro retribuita e non retribuita. Queste due categorie danno luogo ad un continuum tra associazioni che fanno ricor-so in prevalenza agli uni piuttosto che agli altri o ad una combinazione (More-schi, 2003). La forza lavoro retribuita è costituita da persone nella fase centraledella propria carriera lavorativa che, rispetto alla forza lavoro volontaria, si oc-cupano più spesso di assistenza di base, funzioni di tipo tecnico e progettazio-ne (Ascoli, Pavolini, 2005). Già negli anni ‘80 negli Stati Uniti si era calcolato che il valore del tempo de- dicato al volontariato dai cittadini americani in un anno ammontava a 84 milio-ni di dollari (Pearce, 1994). Recentemente le ricerche della Johns Hopkins University hanno mostrato che le organizzazioni delle società civile muovono oltre 3trilioni di dollari nel mon-do, pari a 5,1% del Pil dei 35 paesi presi in considerazione. Da sole le organiz-zazioni sarebbero la settima potenza economica mondiale prima di Stati quali l'Ita-lia, la Russia, il Canada e subito dopo di Francia e Gran Bretagna; muovono unaforza lavoro pari a circa 40milioni di lavoratori full time.
La forza lavoro della società civile comprende stipendiati (57%) e volontari (43%); nei paesi sviluppati la forza lavoro della società civile supera di un terzo quelladei paesi in via di sviluppo, dove probabilmente le relazioni di aiuto sono ancoraconnotate in modo tradizionale da istituzioni familiari, vicinato, parentela, ecc.
C'è da rilevare tuttavia che laddove c'è meno personale retribuito nella societàcivile ci sono anche meno volontari; solo nel caso dei paesi scandinavi, un bas-so livello di personale retribuito nella società civile è legato ad un alto numerodi volontari, questo rispecchia una lunga tradizione storica in cui lo Stato è siafornitore che finanziatore di servizi.
LE ORIGINI SOCIALI DEL VOLONTARIATO Capitolo 2
di volontariato
e capitale sociale
Il bene comune "è rappresentato
(PETRELLA R., IL BENE COMUNE, "
DIABASIS, REGGIO EMILIA, 1997, P. 16) Nel precedente capitolo si è visto che la rilevanza economica del Terzo Setto- re, ma in particolare del volontariato, emerge nella fase operativa quando i diversiattori sono chiamati ad integrarsi rispetto alle pratiche ed agli ambiti di lavoro. Tut-tavia, per poter completare il dibattito circa l'impatto del volontariato, l'attenzio-ne sarà ora indirizzata alla natura ed alle potenzialità distintive del volontariato. Come evidenziato nel precedente capitolo, il volontariato è stato classifi- cato su base economica e collocato all'interno del non profit. In altri casi si sot-tolinea il contributo apportato nell'organizzazione del sistema di welfare; inquesto caso il volontariato viene inteso come componente del Terzo Settorecon il rischio, da alcuni evidenziato, di una accezione semantica residuale ri-spetto a Stato e mercato, sebbene in linea con l'aspirazione ad un rapporto allapari. Secondo Ascoli, ad esempio, dietro il Terzo Settore si nasconde una va-rietà tale di organizzazioni che questo viene ad essere un'etichetta, una puraconvenzione, priva di valenza teorica e pratica, utile solo ad identificare ciòche è fuori dal business e dal governmental.
Solo recentemente si inizia a parlare di voluntary sector a sottolineare il ca- rattere volontario e non coercitivo, gratuito e non soggetto a regole che prescindonole libertà individuali (Spes, 2004). Nel voluntary sector convivono due stili del volontariato, il volontariato col- lettivo e il volontariato individuale, in cui i volontari non sono colti come in-dividui isolati, ma come appartenenti a reti di relazioni informali ed associati-ve. Le due rappresentazioni convivono rispetto a diversi piani di osservazione: percorso biografico: dal volontariato come forma di vita collettiva nellaquale le aspirazioni personali sono subordinate agli obiettivi dell'orga-nizzazione, al volontariato come attore individuale che agisce sulla basedella contingenza della situazione e delle esigenze che via via si presentano; ORGANIZZAZIONI DI VOLONTARIATO E CAPITALE SOCIALE motivazione personale: nello stile collettivo deriva dal senso del doveree della responsabilità, nel modello individuale è auto centrata e deriva dal-le proprie esperienze e attitudini. A volte la scelta di operare nel volon-tariato può derivare da una ricerca di senso; il volontariato viene visto comestrumento per far fronte a problemi personali e come campo di possibi-lità per auto realizzarsi e raggiungere i propri obiettivi; impegno: l'impegno nello stile collettivo è intenso, stabile e continuo neltempo dato dal forte senso del dovere e dell'affiliazione. Nello stile in-dividuale l'impegno è irregolare e occasionale. La durata e l'intensità del-l'impegno sono flessibili e adattabili alle diverse esigenze e situazioni delsingolo individuo; ambiente organizzativo: nel modello collettivo è costituito da strutture pocopermeabili al cambiamento e caratterizzate da sostanziale stabilità. Il le-game di appartenenza è forte e la leadership centralizzata; questo con-tribuisce a rafforzare l'identità di gruppo. Nel modello individuale le at-tività sono improntate alla spontaneità ed alle inclinazioni soggettive men-tre passa in secondo piano la condivisione di obiettivi generali dell'or-ganizzazione e risulta limitata un'azione di coordinamento generale; ambito di intervento: nel modello collettivo è determinato dalla condi-visione di idee politiche, religiose e da convinzioni personali; nella cor-nice individuale la scelta è determinata dalle esperienze di vita e dalle pre-ferenze; rapporto con il mondo del lavoro: nel modello collettivo il confine tra vo-lontari e lavoratori è netti, fondato su competenze distinte e sulla scarsaprofessionalità dei volontari. Nello stile individuale l'orientamento è am-bivalente data la crescente collaborazione tra figure e la somiglianza strut-turale tra Odv e altre organizzazioni. Il rapporto Iref (Istituto di ricerche educative e formative) segnala, a questo proposito la sostanziale tenuta dell'associazionismo organizzato come bacinodi reclutamento dei volontari, ma contemporaneamente l'emergere di un vo-lontariato informale, contraddistinto dall'impegno in piccoli gruppi locali.
Il volontario è tradizionalmente descritto come un individuo che crede in una grande quantità di valori quali la solidarietà, la giustizia sociale, la non violen-za, la legalità e la qualità della vita. Gli orientamenti valoriali vengono spessopresi a riferimento per delineare lo stile del volontario, il suo impegno nella cre-scita di "beni comuni", sia simbolici come l'etica, in cui l'uomo e la giustizia so-ciale sono al centro della vita, che materiali, disponibili per tutti i cittadini. So-litamente però si rifiuta l'immagine del volontario-eroe, persona eccezionale e"superman"; il volontario è un cittadino responsabile che ha cura di sé, deglialtri e dell'ambiente in cui vive. Le motivazioni che muovono i volontari continuano a provenire dal- l'esperienza diretta e dal vissuto emozionale e culturale, piuttosto che da un'ana-lisi dei bisogni non coperti dallo Stato e di norma l'ingresso in una Odv av- viene tramite reti informali basate su conoscenze dirette dell'organizzazionee dei suoi membri. Tuttavia recenti ricerche mostrano alcuni cambiamenti nelprofilo dei volontari.
Il volontario è un cittadino disposto ad aiutare, ma con un impegno a ter- mine e al di fuori di un contesto associativo. L'obiettivo del volontario è sul pro-blema sociale e il volontariato diventa una dimensione di vita scelta. Caltabia-no (2006), ma anche Rossi e Boccacin (2006) parlano in proposito di volonta-riato riflessivo, non iscritto in modelli di comportamento collettivi, ma dipen-dente da considerazioni personali. Ciò che mobilita il volontario è lo specifi-co problema dunque l'azione solidale che, tradizionalmente concepita come lacapacità dei membri di una collettività di agire nei confronti di altri come sog-getto unitario, non può essere svincolata dal suo melieu sociale. L'azione soli-dale è condizionata in primo luogo dalla prossimità o contiguità fisica e/o men-tale verso il problema stesso. Il coinvolgimento del volontario dipende moltodalla sua posizione nei confronti della questione. Si può trattare di un fenomenoche interpella direttamente il volontario perché è incorporato nella sua vita quo-tidiana; oppure può trattarsi di un problema lontano e in questo caso la pros-simità si costruisce ancorando l'oggetto sconosciuto nell'immaginario individualeattraverso un processo riflessivo che coniuga esperienza, apprendimento e coin-volgimento emotivo. L'azione solidale è inoltre condizionata dalle modalità diattivazione, che possono essere individuale o di gruppo. La sovrapposizione delle due rappresentazioni e il non completo superamento dell'una sull'altra permettono di cogliere l'articolazione dei mutamenti struttu-rali e delle trasformazioni che hanno interessato il volontariato.
2.1 Le trasformazioni strutturali
Il dibattito sul volontariato a lungo è stato polarizzato su due posizioni. Da un lato coloro che nella crisi del welfare state e nel fallimento del binomio Sta-to-mercato hanno visto un incentivo al ricorso all'aiuto strumentale delle retiinformali, familiari e del privato sociale. Dall'altro lato coloro che alle causeesterne, legate ai fallimenti di Stato e mercato, associano cause interne ossiamotivazioni che nascono all'interno della società civile, circa la necessità di or-ganizzarsi per rispondere in modo autonomo alla crescente gamma di bisogniprodotti dalle nuove condizioni sociali. Le trasformazioni avvenute qualifica-no il volontariato come contesto favorevole alla partecipazione dei cittadini eluogo di forti legami di fiducia; "tutti elementi di quel capitale sociale semprepiù identificato come motore di sviluppo delle moderne economie" (Cima, Bar-betta, 2003). Nella classificazione internazionale delle organizzazioni della società civile si fa riferimento ai settori di attività. Salamon e colleghi ne hanno individuateundici più una categoria residua: ORGANIZZAZIONI DI VOLONTARIATO E CAPITALE SOCIALE 7. advocacy 9. cooperazione internazionale 10. congregazioni religiose La società civile non è solo un luogo di lavoro, di impegno, ma svolge speci- fiche funzioni, da quella di advocacy e di tutela dei diritti a quella di coscienzacritica permettendo a gruppi sociali di portare all'attenzione generale e pubbli-ca una serie di problemi affinché se ne faccia carico (Ceccarini, Diamanti, 2002).
Oltre questa funzione politica la società civile ha una funzione espressiva essendoveicolo di espressione in campo artistico, culturale, religioso, ecc., attraverso cuila società si arricchisce di contributi.
Infine un'ulteriore importante funzione è quella di contribuire alla costruzio- ne della comunità, nel creare cioè capitale sociale, quell'insieme di fiducia e re-ciprocità che sono alla base di un'efficace politica democratica ed economia dimercato in quanto stabilisce connessioni tra gli individui e coinvolgimento in as-sociazioni in cui vengono trasmesse e condivise norme di cooperazione poi espor-tate nella vita politica ed economica.
La funzione di servizio è quella che intende creare servizi in ambiti quali quel- lo sanitario, sociale, educativo; quella espressiva è svolta da organizzazioni chesi occupano di cultura, religione, valori, interessi, benefici. Si tratta di una distinzionesolo analitica che nella realtà non si ritrova. Al livello internazionale le ricerchemostrano che tra le Odv prevale l'orientamento a svolgere la funzione di servi-zio in campo educativo (23%), dei servizi sociali (19%) e sanitario (14%). I di-pendenti sono più presenti nelle Odv a funzione di servizio, i volontari sono piùnumerosi in quelle a funzione espressiva e nelle attività di advocacy. L'Italia, comela maggior parte dei paesi, rientra tra quelli dove la forza lavoro svolge funzio-ne di servizio (62%) piuttosto che espressiva (35%); solo in Svezia quest'ultimaraggiunge il 73% ed è comunque prevalente nei paesi del nord ed est Europa. Un ulteriore aspetto è quello che riguarda la provenienza dei finanziamenti.
Per oltre la metà le entrate provengono dalle quote di partecipazione (53%) op-pure dal governo (35%) o infine da donazioni (12%). L'Italia è tra i paesi in cuile organizzazioni della società civile si reggono sulle quote di partecipazione (61%),sui fondi governativi (37%) e sulle donazioni (3%). Se però si considera tra le vocianche il tempo dei volontari le percentuali cambiano: diminuisce il peso delle quo-te (43%) a favore di donazioni (30%) e sostegno governativo (27%). Anche in Ita-lia, se si considerano i volontari, il reddito prodotto dalle organizzazioni provie-ne per il 50% dalle quote, per il 30% dai finanziamenti e per il 20% dalle dona-zioni. L'Italia rientra tra i paesi del modello europeo di società civile. Questo modello si differenzia sia da quello anglosassone che da quello nord-europeo. La popo-lazione coinvolta raggiunge qui il 7,8% di quella economicamente attiva, molta di questa forza lavoro è pagata mentre il reddito deriva soprattutto da finanzia-menti pubblici. La forza lavoro è concentrata sulla funzione di servizio nei set-tori educativi (25%), dei servizi (23%) e sanitario (20%). In generale questi pae-si sono caratterizzati da un modello di collaborazione tra Stato e società civile ba-sato sul principio di sussidiarietà. I dati più recenti (Istat, 2006) confermano che il volontariato in Italia è carat- terizzato da frammentazione verso gruppi sempre più piccoli e da polarizzazio-ne tra la crescente diffusione di realtà molto piccole e organizzazioni di grandidimensioni. Le grandi Odv erogano servizi e generano occupazione; le più pic-cole sono cruciali nel garantire partecipazione, solidarietà e democrazia. Inoltrepiuttosto marginale sembra essere la presenza di personale retribuito, specie sein rapporto di lavoro dipendente, e scarse anche le entrate economiche. Questidati sono particolarmente importanti tenuto conto del dibattito sul turn-over esulla crisi di partecipazione dei cittadini all'azione volontaria e alle difficoltà perle organizzazioni di coinvolgere giovani. Le risposte che si stanno diffondendovedono il moltiplicarsi di iniziative di coordinamento tra varie Odv per proget-tare o collaborare su temi comuni o trasversali alle proprie caratteristiche (minoriin difficoltà, affido, ecc.).
2.2 Il capitale sociale
Il volontariato organizzato, all'interno del Terzo Settore, è dotato di una spe- cifica soggettività sociale che è quella della cultura del dono e si articola in unapluralità di itinerari e pratiche (Rossi, Boccacin, 2006). Culture e pratiche formano il capitale sociale del volontariato, da cui il vo- lontariato stesso produce fiducia (cioè orientamenti valoriali), regole (cioè il pro-prio progetto) e cultura civica (cioè l'identità). Secondo una prima accezione, in-fatti, il capitale sociale indica l'insieme di risorse e di accessi alle risorse che è pos-sibile ricavare dalle reti di relazioni; in questo senso il capitale sociale modellagli stili di vita. Successivamente il capitale sociale dà luogo a fiducia e reciproci-tà accrescendo i livelli di altruismo. Come è stato osservato, "l'esistenza di un ricco tessuto associativo costituisce uno dei caratteri peculiari della società moderna; è attraverso la presenza di li-bere e forti associazioni volontarie che si realizza quel pluralismo dei valori e del-le idee che è alla base della democrazia" (La Valle, 2003). Un tratto distintivo del-le Odv, rilevato da gran parte della letteratura è il contributo alla produzione dicapitale sociale. Questa chiave di lettura è stata ulteriormente sviluppata lungodue direttive a seconda che si sia analizzata la relazione tra fiducia interpersonalee appartenenza ad Odv oppure il capitale sociale sia stato riconosciuto caratte-ristica delle reti sociali. Recenti lavori condotti su dati norvegesi (Wollenbaek, Selle, 2004) hanno tro- vato che la partecipazione ad Odv ha un impatto statisticamente significativo sul- ORGANIZZAZIONI DI VOLONTARIATO E CAPITALE SOCIALE la costruzione di capitale sociale, tuttavia, l'importanza di questo impatto è rela-tivamente scarsa. Altre ricerche condotte soprattutto negli Stati Uniti conferma-no che la partecipazione alle Odv aumenta la fiducia e il senso di reciprocità; inol-tre si è visto che l'attività di volontariato è positivamente associata con il benes-sere personale, in quanto i volontari si dichiarano più soddisfatti delle loro vitedei non volontari (Isham, Kolodinsky, Kimberly, 2006). Come è stato osservato, l'impegno civico crea capitale sociale, il quale ha una valenza positiva per la società, l'economia e il sistema politico. Le Odv sarebbe-ro una sorta di infrastruttura sociale della società civile che crea e facilita il sen-so di fiducia e l'inclusione sociale. Secondo questa linea di pensiero, la crescitaeconomica e il governo democratico dipendono criticamente dalla presenza dicapitale sociale, dall'esistenza di legami di fiducia e da norme di reciprocità chefacilitano l'interazione sociale. In Italia, come mostrato da Putnam, le regioni conalti livelli di fiducia e impegno civico sono anche quelle con un più alto livellodi stabilità politica, efficacia governativa, solidarietà e crescita economica. In modoancor più significativo Putnam attribuisce la presenza di elevati livelli di fiduciaal nord piuttosto che al sud Italia, alla presenza di una fitta rete di Odv. L'argomentazione a favore dell'impegno civico si fonda ampiamente sugli ef- fetti positivi e spesso indiretti dell'associazionismo e della partecipazione: le Odvsono forme di capitale sociale perché rappresentano reti di relazioni di fiduciae reciprocità che vanno oltre la familiarità e la conoscenza personale e si esten-dono alla possibilità di cooperazione sociale (La Valle, 2003). L'approccio culturalista a cui si rifanno molti degli studiosi del capitale sociale sottolinea proprio la funzione del volontariato di sviluppare un atteggiamento orien-tato alla fiducia ed al senso civico. Inoltre, le norme di reciprocità generalizzataincoraggiano la cooperazione "poiché riducono gli incentivi alla trasgressione,ridimensionano l'incertezza" (Stoppiello, 2003). L'argomentazione a favore dell'impegno civico si fonda ampiamente sugli ef- fetti positivi e spesso indiretti dell'associazionismo e della partecipazione: le Odvsono forme di capitale sociale perché rappresentano reti di relazioni di fiduciae reciprocità che vanno oltre la familiarità e la conoscenza personale e si esten-dono alla possibilità di cooperazione sociale (La Valle, 2003). Secondo questa vi-sione, le Odv ricoprono un'importante funzione di servizio e di integrazione so-ciale e partecipazione: la reciprocità, la cittadinanza e la fiducia sono contenutenelle reti di impegno civico e sono strettamente legate allo sviluppo della de-mocrazia. Coleman e successivamente Becker hanno definito il capitale sociale dal pun- to di vista micro, come attributo dell'individuo piuttosto che come proprietà del-le reti sociali. Il processo che combina beni e tempo produce qualcosa di desi-derabile, un prodotto. Il capitale sociale non produce dunque utilità, ma svolgeun'importante funzione di utilità (Isham, Kolodinsky, Kimberly, 2006). Anche Alessandro Pizzorno predilige una visione microsociologica, ma so- stiene che non tutte le relazioni sociali sono portatrici di capitale sociale, lo sono solo quelle che prevedono il riconoscimento dell'identità dell'altro, sono esclu-se cioè quelle che si svolgono tra due sconosciuti, come lo scambio e l'incon-tro e quelle che prevedono l'annullamento dell'identità dell'altro, come sfrut-tamento e ostilità. Egli descrive inoltre due tipi di capitale sociale: "di solida-rietà", che si ha quando un gruppo funge da garante nella relazione tra due opiù individui, interni o esterni, assicurando attraverso premi (come solidarie-tà) e sanzioni (degradazione, espulsione), l'onestà nel rapporto; "di reciproci-tà", che si ha nella relazione tra due o più individui tra i quali si presuppone ilmutuo appoggio.
Da un punto di vista micro, la coesione sociale tende a coincidere con il ca- pitale sociale e indica il grado di fiducia nei confronti delle reti familiari, associative,ecc. e delle istituzioni e il senso di appartenenza alla comunità; per capitale so-ciale si intende, generalmente, il grado di coesione e di fiducia esistente tra gliindividui di una determinata comunità politica. Dagli anni novanta ad oggi mol-ti economisti si sono dedicati allo studio del capitale sociale. Recentemente è sta-to sottolineato che lo sviluppo di una società può dipendere anche dalla presenzadi capitale sociale, inteso come l'insieme di tutte quelle norme implicite e rego-le informali che permettono lo sviluppo di relazioni di reciprocità e di fiducia tragli individui, favorendo lo sviluppo di azioni collettive.
Nelle riflessioni più recenti si è soliti distinguere tra capitale sociale bonding, bridging e linking. Il capitale sociale bonding (vincolo) è la rete delle relazio-ni fiduciarie che si instaura all'interno di determinati gruppi sociali omogenei.
Il capitale sociale bridging (ponte) è l'insieme delle reti fiduciarie tra membriappartenenti a gruppi diversi; insiemi eterogenei di persone che permettonoil contatto tra ambienti diversi. Infine, il capitale sociale linking (collegare) ri-guarda le relazioni di fiducia verticali che collegano gli individui o le reti so-ciali cui appartengono.
Il volontariato è capitale sociale linking in grado di cucire il tessuto comune del territorio, di produrre relazionalità. Il gusto individuale di fare volontariato èpiuttosto una costruzione sociale, la condivisione inconsapevole di uno spaziosociale che permette di avere una medesima percezione delle pratiche sociali trai componenti di una società (Volterrani, Tola, Binotti, 2009).
Volontariato è sinonimo di gratuità, ossia di capacità di oltrepassare l'orizzonte economico come unica chiave di lettura dell'agire umano e dello sviluppo del-la società. Il volontariato è gratuito in quanto non prevede una retribuzione del-l'azione individuale, né ha fini di lucro per l'impresa collettiva. Gratuità è una cor-nice culturale in grado di riconoscere e dare significato alle dimensioni della re-lazione e del sociale: l'azione volontaria è volta a rimuovere gli ostacoli che im-pediscono ad ogni persona di accedere alla dimensione relazionale e sociale diriconoscimento reciproco e di dignità (Csv Marche, 2002). La gratuità arricchiscel'azione del volontario dell'elemento della relazione: non solo prestazioni, ma le-gami e scambi. La riflessione in questo senso è orientata a superare la classica di-cotomia valore d'uso/valore di scambio per sottolineare il valore di legame so- ORGANIZZAZIONI DI VOLONTARIATO E CAPITALE SOCIALE ciale insito nelle attività di volontariato tanto che, secondo alcuni, il volontaria-to è mantenimento e proclamazione del bene comune. 2.3 Le caratteristiche delle organizzazioni di volontariato
Dal punto di vista culturale, la presenza di organizzazioni della società civile diventa fondamentale in un sistema che voglia qualificarsi come democratico. Nonbasta più essere cittadini, e quindi provare sentimenti di benevolenza e solida-rietà, ma bisogna diventare con-cittadini in grado di assumersi impegni e diritti-doveri non occasionali. In questa logica, l'associazionismo è tra i fattori determinantila crescita economica e culturale di un'area avendo un ruolo rilevante come for-ma di mobilitazione collettiva e come strumento di aggregazione della doman-da (Stoppiello, 2003). Il volontariato è una forma di partecipazione sociale che contribuisce alla qua- lità della vita del paese: nel volontariato ritroviamo tanto una dimensione attivadi presenza gratuita quanto una dimensione politica di soggetto che partecipa allarimozione degli ostacoli che creano svantaggio, degrado, perdita di coesione so-ciale. Nel volontariato ritroviamo: tradizione borghese di impegno morale a promuovere iniziative di tutela; tradizione socialista che, in nome della libertà afferma la necessaria par-tecipazione della società civile alla liberazione delle classi deboli; tradizione cattolica di lotta per la giustizia e la liberazione dall'oppressione.
Le tre tradizioni si ritrovano nell'art. 3 della Costituzione che sancisce il prin- cipio di solidarietà.
La legge n. 266/1991 evidenzia la funzione di incentivo alla partecipazione so- ciale svolta dal volontariato (art.1) e la gratuità dell'attività volontaria, nonché ilriconoscimento di quest'ultima solo all'interno delle organizzazioni (art. 2). talelegge definisce i requisiti che una "organizzazione di volontariato" deve soddisfareaffinché sia riconosciuta come tale (art. 3); istituisce e regola i Registri regionali(art. 6) ai quali le Odv sono tenute ad iscriversi se intendono ottenere agevolazionifiscali (art. 8), contributi pubblici e convenzioni (art. 7) descritti dalla legge stes-sa. Crea inoltre l'Osservatorio nazionale per il volontariato con compiti di censi-mento delle organizzazioni, di ricerca e studio, di promozione allo sviluppo delvolontariato. Tale organo provvede inoltre alla pubblicazione di un Bollettino pe-riodico di informazione e di un rapporto biennale sull'andamento del fenomenoe alla promozione di una Conferenza nazionale del volontariato alla quale parte-cipano tutti i soggetti istituzionali, i gruppi e gli operatori interessati (art. 12).
La figura del volontario è invece delineata da cinque differenti leggi.
Nella legge sulle organizzazioni non governative (49/87), il volontario è il cit- tadino maggiorenne in possesso di conoscenze tecniche e qualità necessarie perrispondere alle esigenze dei paesi in via di sviluppo. Deve operare senza fini dilucro per almeno due anni; ma è stipendiato. La legge sulle Odv (266/91) stabilisce che il volontario può seguire corsi di for- mazione e chiedere permessi dal lavoro, ma la sua prestazione deve essere per-sonale, spontanea e gratuita. Viene esclusa ogni forma di remunerazione, ma sonoconsentiti i rimborsi spese. Nella legge sulle cooperative sociali (381/91) sono previsti tra i soci anche i soci volontari. Le prestazioni del socio volontario devono essere gratuite; ha di-ritto a rimborsi documentati, ma non a contratti di lavoro. Egli deve comunquepossedere una quota del patrimonio e questo determina un rapporto di conte-nuto patrimoniale. I volontari della protezione civile (9/01) effettuano le proprie prestazioni in modo prevalentemente personale, volontario e gratuito, ma durante la loro pre-stazione hanno diritto al mantenimento del posto di lavoro, del trattamento eco-nomico e previdenziale, della copertura assicurativa. Le Aps (Associazioni di promozione sociale, legge 383/00) prevedono la pre- valenza di prestazioni volontarie e i volontari hanno diritto a flessibilità nell'orariodi lavoro e le loro prestazioni devono essere prevalentemente volontarie, libe-re, gratuite e senza fini di lucro. Oggi le Odv non sono piccoli enti caritativi, ma hanno una forte specializ- zazione, promuovono attività di servizio e di advocacy, stimolano il coinvolgi-mento diretto di utenti, erogano servizi anche in modo continuativo. L'orienta-mento ideologico e conflittuale lascia spazio a collaborazioni "nella consapevolezzache la crescita delle responsabilità pubbliche migliora le condizioni di lavoro del-le Odv" (Ranci 2004, 72).
A questo proposito, secondo alcune recenti ricerche, i volontari segnalano in particolare la necessità di diffondere una cultura della solidarietà e della cittadi-nanza responsabile e di coinvolgere le nuove generazioni in attività di volonta-riato, mantenendo saldo il contenuto che qualifica l'azione, ovvero la relazionetra persone. Viene sottolineata inoltre l'importanza, per il volontariato, di esse-re portavoce delle esigenze dei più deboli e di saper comunicare le proprie azio-ni informando sulle proprie attività e partecipando con le istituzioni alla pro-grammazione dei servizi e all'elaborazione di progetti di interesse sociale. Un'ul-teriore area di investimento è identificata nell'esigenza di nuove forme di colla-borazione anche con gli altri enti del Terzo Settore, finalizzate su bisogni speci-fici, per meglio rispondere ai bisogni del territorio.
La Carta dei Valori del Volontariato proposta dalla Fondazione italiana per il Volontariato e dal Gruppo Abele definisce il volontariato sia come servizio e, cometale, solidale, universale, gratuito e scelto, sia come pratica che alimenta la de-mocrazia, crea le condizioni per il riconoscimento della dignità delle persone, con-sente l'esercizio della cittadinanza. Anche la normativa italiana (legge n. 266/91)indica l'esperienza del volontariato come continuativa, gratuita, rivolta a perso-ne non appartenenti alla propria cerchia di relazioni ordinarie e avente fini di so-lidarietà e promozione. Solidarietà e gratuità sono pertanto i motori delle Odv.
ORGANIZZAZIONI DI VOLONTARIATO E CAPITALE SOCIALE 2.3.1 La dimensione organizzativaCon i termini "associazione volontaria" si indicano quei gruppi di individui che sono nati spontaneamente e nei quali la partecipazione avviene per iniziativa vo-lontaria dei singoli associati. Le associazioni non hanno come scopo il profittodei membri, ma gli associati operano per perseguire uno scopo comune. Inoltresi tratta di gruppi privati, non dipendenti da ente pubblico, anche se possono ri-ceverne il sostegno. Infine, per i membri di un'associazione non sono previsteprestazioni retribuite e le attività svolte devono essere rivolte a terzi che non sia-no legati da vincoli affettivi e parentali ai soci. In questa categoria è possibile col-locare un sotto-insieme formato da gruppi con caratteristiche più rigide: le "or-ganizzazioni di volontariato". Le Odv sono definite dalla legge 266/91 e tale de-finizione viene adottata anche dall'Istat per la rilevazione di dati sulla partecipa-zione sociale degli italiani. L'articolo 3 della legge 266 stabilisce che il volonta-riato per essere tale deve essere organizzato. L'associazione si riferisce ad un gruppo di persone che, condividendo un me- desimo obiettivo scelgono la vita associativa per perseguirlo; l'organizzazione èuno strumento di lavoro che consente il raggiungimento dell'obiettivo fissato me-diante l'utilizzo di specifiche risorse, tra le quali risulta determinante l'attività uma-na. Il lavoro è piuttosto ciò che precisa il concetto di organizzazione come luo-go sociale, psicologico e tecnico in cui vengono usati strumenti e si creano re-lazioni per compiere un certo lavoro, per produrre un prodotto o un servizio men-tre, la mancanza di retribuzione è ciò che caratterizza il volontariato. Il volonta-riato è dunque un lavoro non pagato tale da esigere, a tutti gli effetti, un'orga-nizzazione (Pearce, 1994). 2.3.2 La dimensione della solidarietàQuando si studia il legame tra associazioni volontarie e meccanismi democratici, il primo riferimento sono gli scritti di Alexis de Tocqueville, secondo cui, il buonfunzionamento di un regime democratico deriva anche dalla libertà di associazionee dalle modalità con cui questa viene utilizzata dagli individui. Egli individua unfilo conduttore tra la democrazia e la capacità dei cittadini di operare insieme perraggiungere un obiettivo comune. A questa capacità lo studioso attribuisce un va-lore positivo sostenendo che le iniziative provenienti dalla volontà dei cittadini sonopreferibili alle associazioni promosse o costituite dall'alto, dai governi, in quantocontribuiscono ad evitare dispotismo e tirannide della maggioranza. Nei regimi democratici l'attitudine ad associarsi è una vera e propria neces- sità: l'uomo democratico deve unirsi agli altri, creando associazioni tanto più po-tenti quanto più grandi, se vuol prendere parte alle decisioni che riguardano lacollettività, sostenere un grande scopo o far valere la propria opinione. Solo così,afferma Tocqueville, può evitare l'impotenza, la solitudine, l'improduttivo rin-chiudersi in se stesso, e dunque fuggire il dispotismo. Inoltre, nessun governopuò sperare di sostituirsi alle associazioni spontanee, non riuscirebbe in alcunmodo a svolgerne degnamente i compiti. Storicamente le organizzazioni della società civile hanno avuto una spiccata vocazione assistenziale. Con il termine "assistenza", infatti, generalmente ci riferiamoa interventi generici di soccorso rivolti a individui bisognosi che temporaneamenteo permanentemente sono incapaci, in modo autonomo, di risolvere la propria si-tuazione di indigenza. Proprio grazie alla strutturazione normativa degli interventi,ci è stato possibile distinguerla dall'assistenza sociale che nel corso del tempo èandata sempre più configurandosi come un diritto del cittadino che si trova in unostato di bisogno, di essere aiutato.
Con il termine assistenza sociale Ferrera identifica "l'insieme degli interventi ri- volti a contrastare e potenzialmente a superare situazioni di indigenza attraverso ser-vizi sociali e prestazioni monetarie tipicamente finanziati tramite la fiscalità generale".
Nell'accezione più classica la solidarietà definisce la distribuzione organica del- la ricchezza al fine di creare una ricchezza comune. A partire dalla crescente pro-fessionalizzazione degli interventi si assiste ad una discontinuità sostanziale conil passato. La solidarietà acquisisce una matrice altruistica, non a fine di lucro, ba-sata in parte o in tutto sul lavoro volontario (Ascoli, Pavolini, 2005). Al concettodi altruismo altri preferiscono quello di pro socialità. Parlare di altruismo portaa considerazioni sull'utilità e l'interesse del volontariato, mentre il riferimento allapro socialità permette di analizzare e di cogliere gli elementi cognitivi e situazionalidella scelta volontaria (Pearce, 1994).
La solidarietà è forse il primo orizzonte del volontariato; evoca l'idea di don- ne e uomini che soccorrono l'altro, che si mettono al servizio della comunità. Evo-ca l'idea di cittadini impegnati che contribuiscono in modo fattivo a mitigare al-cuni dei mali della società. Ai volontari si attribuiscono comportamenti solidalicon cui tessono la tela del legame sociale. In molteplici sfere della società ritro-viamo l'opera spesso silenziosa dei volontari che si rendono artefici di atti di re-sponsabilità civica ed umanitaria. A questo proposito alcuni hanno parlato di "vol-to invisibile dell'altruismo" (Caltabiano, 2006). 2.3.3 La dimensione della gratuitàIl concetto di dono è riemerso nel dibattito contemporaneo sull'individuali- smo, ad indicare lo scambio sociale totalmente opposto a quello strumentale edeconomico, tipico della vita quotidiana dell'uomo occidentale moderno. Studiosicome Marcel Mauss hanno considerato il dono quale mezzo di scambio arcaico,antecedente al mercato; a differenza dello scambio economico, nel dono man-ca la ricerca della massimizzazione del profitto da parte di chi dona e chi riceve.
Inoltre, sempre secondo Mauss, il dono non può essere considerato né atto stru-mentale, né atto puramente gratuito, in quanto "crea allo stesso tempo un circuito di obbligazioni reciproche, riassumibile nel triplice obbligo di dare - ricevere - ricambiare".
Recentemente il dono è stato definito come "ogni prestazione di beni e servizi effettuata, senza garanzia di restituzione, al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale tra le persone".
ORGANIZZAZIONI DI VOLONTARIATO E CAPITALE SOCIALE In tal modo il dono può essere anche il "dono a estranei". La mancanza di rap- porti di amicizia, la non sicurezza di ricevere qualcosa in cambio, il riferimentoa destinatari anche lontani non ostacolano l'agire gratuito. Esempi di tale feno-meno sono le donazioni in denaro offerte ad associazioni o progetti che opera-no in zone povere del mondo, la donazione di sangue, midollo spinale, organi,oppure l'offerta del proprio tempo libero per assistere anziani estranei in diffi-coltà, o per partecipare ad un corteo di protesta. Il dono struttura rapporti di fiducia, in quanto il donatore non sa se riceve- rà o meno qualcosa in cambio ma donerà solo se si fida dei propri simili. At-traverso il dono, la fiducia costituisce il collante fondamentale del sociale. Al-l'interno delle associazioni di volontariato, la caratteristica del dono diviene bi-sogno di legame con l'Altro e il volontario esprime la propria capacità di mo-bilitare risorse gratuite, ossia di impegnarsi in forme non utilitaristiche di par-tecipazione sociale. Capitolo 3
Il valore sociale
del volontariato
nelle Marche
3.1 Quanto conta il volontariato
La regione Marche è una delle regioni con la più alta incidenza del volonta- riato: nel 2003 si registravano 53 Odv ogni 100.000 abitanti, oggi sono salite a 59,segno che il volontariato è uno dei fattori principali di coesione sociale in que-sta regione. Dai dati del censimento regionale le Odv nella regione Marche nel2008 sono in totale 1177; di queste 924 sono le iscritte al Registro regionale (Rr)e 253 quelle non iscritte. A queste vanno aggiunte 152 sedi secondarie che nonhanno autonomia giuridica e patrimoniale. La presenza delle Odv si concentranelle province di Ancona (393), Pesaro-Urbino (284) e Macerata (238) (tab. 3.1,Grafico 3.1 e 3.2).
Tab. 3.1 - Odv iscritte e non iscritte al Rr per provincia
Fonte: Censimento 2008 IL VALORE SOCIALE DEL VOLONTARIATO NELLE MARCHE Grafico 3.1
Fonte: Censimento 2008 Grafico 3.2
Fonte: Censimento 2008 Ad una presenza così significativa di Odv corrisponde un coinvolgimento at- tivo della popolazione: oltre 36.000 sono i volontari nelle Marche, nel dettagliodistribuiti secondo quanto riportato nella tabella seguente (tab. 3.2). Tab. 3.2 - Volontari attivi per provincia
Fonte: Censimento 2008 Il volontariato taglia trasversalmente la regione e arriva a coinvolgere diret- tamente anche gli intervistati di cui, un decina circa, ha affermato di avere o averavuto esperienze personali di volontariato. Alcuni degli intervistati provengonoda esperienze di volontariato nell'associazionismo cattolico; oppure, sempre dagiovani, hanno maturato la scelta dell'obiezione di coscienza: "ho iniziato da giovane nei gruppi cattolici ma un po' per tutta la vita ho avu-to un percorso di contatto con queste realtà" (coordinatore ambito) "la mia attività di volontariato nasce in ambito parrocchiale, e soprattuttocon la Caritas" (assessore provinciale).
L'esperienza personale continua anche ora, sebbene in forme diverse rispet- "in passato sono stata volontaria e nel presente il mio volontariato è di for-ma un po' particolare … gruppo di acquisto solidale" (docente università).
Oggi tutti gli intervistati hanno contatti con il volontariato per il loro lavoro. Gli esponenti del Terzo Settore e i coordinatori d'ambito in particolare han- no contatti frequenti e costanti con le Odv; si tratta di un metodo di lavoro adot-tato ormai da anni e che è entrato a far parte della prassi del servizio: "Quotidianamente, tutti i giorni! come approccio da sempre, da quando fac-cio questo lavoro e svolgo questa funzione. Anche prima di svolgere questafunzione avevo un raccordo continuativo" (coordinatore ambito).
Il tipo di rapporti che intercorre tra l'istituzione e le Odv varia all'interno dello stesso ambito sociale, dai più semplici contatti informali fino alla colla-borazione nel lavoro di progettazione. A volte infatti la singola associazioneche intende realizzare un piccolo progetto si rivolge all'ambito per un supporto.
I rapporti più stabili si hanno nei tavoli tematici cui le Odv vengono chiama-te a partecipare in linea con quanto stabilito dalla L.328; in maniera sostanziale,infine, istituzione ed Odv lavorano insieme sulla progettazione. Affinché av-venga questo passaggio è necessario che il volontariato assuma un ruolo pro-positivo: "Contatti… informali, quando loro cercano l'ambito per progetti quindi, con-tatti… non strutturati, non stabiliti da…. Poi altre volte, invece, l'incontroavviene in modo stabile nei tavoli tematici della partecipazione; quindi, ta-volo minori, disabili, anziani, disagio ecc. ecc. … Terza modalità, l'incon-tro del volontariato, l'incontro in quelli che abbiamo chiamato laboratori dicoprogettazione, cioè, quando … dai bisogni, dagli obiettivi… declinati dalpiano di zona, si entra nella progettualità concreta in cui alcune associa-zioni di volontariato incominciano a entrare nell'ottica di, non solo dire ‘ibisogni sono questi, gli obiettivi sono quest'altri', ma dire ‘noi potremmo ave-re… svolgere un ruolo attivo nella progettualità'" (coordinatore ambito).
IL VALORE SOCIALE DEL VOLONTARIATO NELLE MARCHE Come precisato da un assessore provinciale, l'effettiva collaborazione avvie- ne solo se le Odv danno prova di "serietà": "Per ogni progetto noi ci siamo appoggiati ad una associazione e abbiamocercato di coinvolgere quelle che erano il massimo della serietà e del radi-camento nel territorio sullo specifico del progetto che andavamo a realizza-re" (assessore provinciale).
Un indicatore della serietà ricercata è dato dall'iscrizione della Odv al Registro "Abbiamo avuto e abbiamo contatti con tutte le associazioni iscritte all'alboe presenti nei vari comuni; poi tra queste ci sono quelle più attive e quelle meno,quelle più propositive o meno" (coordinatore ambito).
Non sembrano invece crearsi distinzioni in base al settore in cui operano le Odv sebbene i contatti più frequenti avvengano con le Odv che lavorano nell'ambitodella sanità, del disagio, della povertà o con i minori nel settore affido: "In generale collaboro con tutti, sia associazioni come lo Iom, che sono di aiu-to alle donne operate al seno, sia le associazioni che lavorano nell'Anpas, siacentri sociali in cui vengono svolte attività di volontariato o attivati gruppidi auto-mutuo-aiuto. E anche organizzazioni come il banco alimentare" (as-sessore provinciale).
Semmai differenze sono rilevabili tra chi, forse perché più distante dal vo- lontariato come nel caso dei direttori sanitari, vede nel volontariato un soggettoin grado di portare alla luce i bisogni nascosti della popolazione e chi, non risparmiaqualche critica alle Odv. Soprattutto per quella parte di intervistati che riconoscenel volontariato un soggetto attivo del sistema di welfare, le aspettative circa lacontinuità nelle prestazioni e nell'erogazione dei servizi sono piuttosto alte e, qua-lora disattese, sollevano critiche: "Il ruolo delle associazioni è quello di porre in luce queste situazioni, di darevisibilità allo scopo di attirare su di esse l'attenzione dell'opinione pubblicae dello Stato" (direttore sanitario) "Se c'è un difetto nel volontariato è proprio la caratteristica insita nell'atti-vità del volontario che, in quanto volontario, presta la propria azione ‘quan-do mi va'. E questo porta ad una difficoltà nel garantire la continuità" (co-ordinatore ambito).
Sulle modalità della collaborazione il modello è quello delineato dalla legge 328. L'impulso alla collaborazione, come confermano gli intervistati, è arrivatodalla legge 328 e successivamente dalla costituzione nel 2002 degli ambiti sociali.
Questi interventi hanno permesso di "parlare una nuova lingua", di avviare per-corsi di co-costruzione degli interventi: "L'impulso vero e proprio è arrivato dalla 328 e dalla legge regionale e poi dal2002 con la costituzione degli ambiti dove per la prima volta c'è stata l'op-portunità un po' con tutti i soggetti di parlare una nuova lingua, di cono-scersi" (coordinatore ambito).
Specie in un primo momento la logica della progettazione partecipata viene declinata in un ruolo di protagonismo del volontariato e, intorno alle nuove me-todologie di lavoro crescono l'interesse e l'entusiasmo: "Eravamo ai primi anni del Piano di zona e quindi c'era un po' l'entusia-smo per il ruolo del volontariato e il protagonismo" (Terzo Settore).
Successivamente le competenze e gli ambiti di intervento si sono via via de- finiti con maggiore chiarezza fino a delineare un rapporto di interdipendenza incui al volontariato si riconosce il ruolo di antenna dei bisogni e dei problemi delterritorio, mentre l'ente pubblico mantiene la titolarità degli interventi. L'acqui-sizione di questo modello di lavoro, che rispecchia le indicazioni della 328, si con-ferma un passaggio non naturale, mediato piuttosto dall'acquisizione di un lin-guaggio comune. Sebbene quindi l'iniziativa provenga dalle stesse Odv è l'entepubblico che orienta le indicazioni e mette a sistema le diverse risorse del terri-torio, in una logica di interdipendenza: "Uno dei compiti svolti dal volontariato è proprio quello di anticipare i biso-gni che successivamente vengono rilevati dall'ente pubblico… il privato so-ciale è l'antenna più alta che c'è sul territorio, da cui possiamo evincere su-bito qual è l'andamento delle problematiche; poi successivamente tutto que-sto viene recepito dall'ente locale che ri-orienta le indicazioni che provengonodal privato sociale" (coordinatore ambito) "il rapporto parte dalle richieste che ci vengono fatte. Ci vengono rivolte delle ri-chieste, spesso si tratta di sostegno ad iniziative e poi da lì il rapporto si appro-fondisce perché cerco di capire quale intervento può mettere meglio a sistemail sostegno che possiamo dare e l'intervento messo in campo" (assessore provinciale).
L'ambito di Pesaro in questo rapporto di interdipendenza individua due pia- ni di lavoro: quello politico, rispetto al quale interagisce con il volontariato attraversola figura di un referente e quello operativo in cui si rapporta con le singole Odv: "un referente tecnico per le vie di indirizzo per le politiche generali, per le at-tuazioni tecniche delle linee di indirizzo che ci danno i sindaci, poi, dopo,nei tavoli di ascolto, ma in realtà nei tavoli di progettazione o nei tavoli diconcertazione, il volontariato è presente in base alla sua proposta, alla suarisorsa" (coordinatore ambito).
Per cercare di delineare in modo esaustivo quanto conti il volontariato nel la- voro degli intervistati, abbiamo chiesto quante fossero le Odv presenti nel loro IL VALORE SOCIALE DEL VOLONTARIATO NELLE MARCHE territorio di riferimento, sulla base delle loro conoscenze. Le risposte ottenute sonoin linea generale piuttosto vaghe e solo in un caso l'intervistato ha fornito il datocorretto ed in linea con quelli ufficiali; per il resto si conoscono in modo sfoca-to i contorni di questa presenza.
Si sa, ad esempio, che il mondo del volontariato è un mondo vasto che quan- titativamente raggiunge le diverse centinaia di organizzazioni e che, dal punto divista culturale, rispecchia il forte senso di solidarietà ed altruismo della popolazione: "Buoni sentimenti ed ai buoni principi che ci portiamo dietro nel senso chel'attitudine a spendersi in forma solidaristica e l'altruismo derivano da fat-tori che ci portiamo dietro come cultura" (assessore regionale).
Si sa inoltre che, rispetto ad altre regioni, le Marche hanno un tasso di cresci- ta del volontariato più alto; che la presenza è diversificata sul territorio tra l'entroterrain cui i volontari operano in modo più tradizionale e la fascia costiera, dove è pos-sibile osservare un maggiore fermento di iniziative. Infine un altro dato acquisi-to è quello che riguarda il profilo dei volontari: si tratta soprattutto di persone adul-te ed appartenenti alla fascia medio-alta della popolazione mentre sono semprepiù rari i giovani: "Però le Marche si caratterizzano come una regione in cui c'è il più alto tas-so di crescita del volontariato… L'altra cosa interessante è la diversificazio-ne dei settori tra fascia costiera ed entroterra: nella fascia costiera dove è mag-giore l'urbanizzazione e si concentra la popolazione c'è una maggiore di-versificazione degli interventi mentre nell'entroterra prevalgono le associa-zioni che operano nel settore socio-assistenziale, protezione civile … un cam-po un po' più tradizionale" (docente universitaria) "qualcosa di diffuso, specie nella fascia medio-alta della popolazione. I gio-vani sono più difficili da coinvolgere" (Terzo Settore) Gli intervistati, compresi i coordinatori d'ambito e gli assessori provinciali che pure avevano mostrato di conoscere le caratteristiche del fenomeno e hanno espe-rienza quotidiana di contatto, faticano a dare indicazioni precise circa l'ammon-tare delle Odv presenti sul territorio. Il volontariato sembra essere un fenomenodifficilmente quantificabile in quanto, come hanno sottolineato gli stessi intervi-stati, si avverte la necessità di distinguere tra Odv iscritte e non iscritte al Regi-stro regionale; e, tra quelle iscritte, quelle effettivamente operanti. L'immagine chepotremmo utilizzare a questo proposito è quella dell'imbuto: nella percezione de-gli intervistati, man mano che si procede dal numero di Odv presenti, a quelleiscritte a quelle operative, il numero scende.
La difficoltà nel riuscire a quantificare il fenomeno solleva il dubbio che sia possibile raggiungere un simile obiettivo: "Credo che nessuno sia riuscito ancora a fare un censimento di tutto" (co-ordinatore ambito).
3.2 Le organizzazioni di volontariato e il sistema di welfare
Abbiamo chiesto agli intervistati di dirci quanto nella loro esperienza e nella loro percezione le Odv siano presenti nel sistema di welfare locale e regionalee con quali caratteristiche.
Il Piano sociale Regionale 2008-2010 richiama il concetto di partecipazione de- mocratica in cui la democrazia non è solo quella diretta o rappresentativa, ma pre-suppone l'ingresso vero e proprio delle formazioni sociali nell'esercizio delle fun-zioni pubbliche. In linea con il principio di sussidiarietà orizzontale sancito dal-la 328 il sistema si fonda sul carattere pubblico del servizio che prescinde dallanatura pubblica o privata del soggetto che, in nome proprio, lo gestisce. Nella sus-sidiarietà orizzontale, non di stampo neoliberista, non si verifica il ritrarsi dellafunzione pubblica per lasciare spazio alla libera iniziativa del privato, ma esat-tamente l'opposto; prefigura infatti uno stato sociale in cui la funzione pubblicasi espande associando le formazioni sociali al suo esercizio nei quattro momen-ti della pianificazione, progettazione, gestione e valutazione. La caratterizzazione in senso solidaristico della funzione sociale, il suo anco- raggio alla definizione di diritti sociali realmente esigibili e il riconoscimento del-la sussidiarietà orizzontale sono elementi centrali del Piano sociale Regionale. Inparticolare, l'applicazione del principio di sussidiarietà passa attraverso il rico-noscimento della condivisione da parte dei soggetti privati di pubbliche re-sponsabilità. La partecipazione delle formazioni sociali non profit alle pubblicheresponsabilità ne potenzia la funzione sociale. Un primo dato che emerge dalle interviste è la percezione del volontariato come di un settore il cui intervento si concentra sulle fasce marginali e più deboli del-la popolazione: "Ho potuto verificare come alcune risposte essenziali, come dare un primo al-loggio, dare un letto, un pasto caldo … ci sono solo ed esclusivamente le Odva farlo e questo è un problema" (assessore regionale).
Specie per quanto riguarda le emergenze e il settore della povertà, le Odv sem- brano essere la risposta più efficace e spesso l'unica esistente. "Credo che si faccia un'azione di supplenza, ma d'altra parte legittima e ne-cessaria, perché bisogna affrontare certi problemi, lei si immagini tutto il pro-blema dei non-autosufficienti o comunque il problema degli anziani" (Ter-zo Settore) "le fasce deboli, le povertà, quelle che non sono anche ufficialmente ricono-sciuti come fasce deboli, soprattutto anche questo, o anche extracomunita-ri, così, in genere non ci sono servizi" (Terzo Settore).
Il lavoro con le fasce deboli cui le Odv garantiscono il diritto di accesso a pre- stazioni e servizi costituisce la chiave di ingresso del volontariato al sistema di wel- IL VALORE SOCIALE DEL VOLONTARIATO NELLE MARCHE fare. Soprattutto in questi settori le Odv svolgono un ruolo di supporto quandonon di supplenza; inoltre rappresentano una fonte di risparmio per il sistema: "Si prende carico di problematiche anche di tipo patologico e sono di gran-de supporto al sistema sanitario per tutto ciò che riguarda l'accesso" (diret-tore sanitario) "se non ci fosse l'associazione di volontariato, non ci sarebbe welfare state….se non ci fosse questa presenza variegata e… e anche capillare, delle as-sociazioni di volontariato, secondo me i problemi sarebbero molto molto piùgravi di quelli che oggi appaiono" (Terzo Settore).
La presenza delle Odv nel sistema di welfare solleva la questione del ruolo at- tribuito loro. Gli intervistati più critici parlano di marginalizzazione, di sussidia-rietà orizzontale impropria che attribuisce al volontariato un ruolo che non gli ap-partiene, o anche di eccessiva vicinanza alle istituzioni pubbliche, quasi a rivendicareun'immagine di volontariato "puro": "Nella sostanza c'è un processo di marginalizzazione nei rapporti con il pub-blico" (docente universitario) "un ruolo di sussidiarietà orizzontale non sostitutivo, in generale, anche semi pare che il rischio ci sia di una sussidiarietà impropria … i servizi essenziali,previsti dalla normativa, previsti dai decreti li deve svolgere l'ente pubblico;un'associazione di volontariato che dice: "No, lo faccio io!", non va bene, cioèl'associazione di volontariato è un valore aggiunto" (coordinatore ambito) "come tutte le associazioni in questo periodo, sono un pochino troppo avvi-cinate alla pubblica amministrazione e finiscono per essere assorbite" (assessoreregionale).
Sono piuttosto i coordinatori d'ambito a rimandare un'immagine delle Odv come soggetti integrati nel sistema di welfare: "L'altra cosa è che le loro prestazioni le abbiamo inserite nella rete dei ser-vizi; non riuscendo a soddisfare tutte le necessità, noi scriviamo lettere ai di-versi organismi dicendo: ‘qui non ci siamo riusciti, potete fare voi qualchecosa?' quindi insomma, c'è un rapporto di questo tipo, quindi le associazio-ni di volontariato, quelle che erogano servizi, prestazioni, ecc, fanno parteintegrante della rete dei servizi" (coordinatore ambito).
Rispetto al sistema di welfare il contributo del volontariato è sia quello di se- gnalazione delle necessità e dei bisogni sul territorio, che di "umanizzazione" delsistema: "Di stimolo, di segnalazione di… pungolo quasi alle amministrazioni, ma èun ruolo anche di collaborazione e….insomma come se fosse un percorso co- mune, che dobbiamo camminare insieme a queste associazioni" (assessoreprovinciale) "c'è un contributo umano che ricade fortemente nel contesto sociale perchési moltiplica: quello che tu fai, non solo l'intervento, si moltiplica sulla società;è il valore sociale" (assessore provinciale).
Nel rapporto con le istituzioni si coglie il valore sociale delle Odv. Queste sono una presenza importante di supporto alle politiche degli enti locali ed anche nel-la promozione della cultura della solidarietà: "L'importante è che siano le istituzioni pubbliche a salvaguardare il ruolo delvolontariato, che non è di sostituzione né alle cooperative né alla gestione de-gli enti locali, ma è di supporto alle politiche degli enti locali" (coordinatoreambito) "è un po' lo spirito, come dicevo prima, della 328 il volontariato deve avereun respiro tale per… per fare un'azione culturale, quindi, diciamo, un re-spiro tale, nel senso, avere un minimo di energie riservate a questo, quindi,promozione di una cultura della solidarietà" (coordinatore ambito).
La collaborazione assume i tratti di un processo che risponde tanto alle necessità del sistema quanto a quelle delle stesse Odv che, se non vogliono essere auto-referenziali, devono rientrare "in questa organizzazione di sistema". Secondo gliintervistati, la collaborazione prevede una distinzione tra pubblico e privato taleper cui il privato non può di fatto sostituire il pubblico: "Anche nei rapporti tra pubblico e privato di cui oggi si parla tanto, si diceche bisogna coinvolgere di più il privato. Certamente questo può essere, maci sono cose per cui il volontariato e il privato non possono sostituire il pub-blico" (assessore regionale).
Inoltre la distinzione tra pubblico e privato non può essere data per scon- tata, ma si costruisce in primo luogo attraverso il lavoro degli operatori e deivolontari: "Fondamentalmente però qualsiasi problema lo conosci se sei in contatto conil volontariato ed è qualcosa di differente dai servizi. I servizi possono rivela-re un rapporto diverso, già più contestuale con l'utente mentre nel volontariatoil rapporto è più spontaneo. In questo il volontariato costituisce un arricchi-mento! Le associazioni danno molto anche in termini di arricchimento per glioperatori dei servizi: ascoltare i bisogni che portano avanti, venire a conoscenzadelle attività che portano avanti magari in modo informale queste sono coseche a volte al pubblico sfugge. Il quadro completo delle situazioni lo dà il vo-lontariato. Inoltre il volontariato riesce ad avviare attività, magari anche conpoco e che però danno dei notevoli risultati" (coordinatore ambito) IL VALORE SOCIALE DEL VOLONTARIATO NELLE MARCHE "anche altre associazioni che svolgono un volontariato anche abbastanza spe-cialistico e quindi i volontari si formano attraverso dei corsi proprio di ag-giornamento e di formazione professionale … questi volontari, però, aveva-no timore di entrare nelle… nelle famiglie, nelle case dove bisogna stare die-tro al malato tutto il giorno, ventiquattro ore su ventiquattro, … il volonta-rio va lì e, diciamo, occupa il posto del familiare e i volontari riconosceva-no questa difficoltà e quindi chiedevano alle istituzioni di poter anche or-ganizzarsi con una formazione, che può essere data dalla struttura sanita-ria o…" (assessore provinciale) "un livello molto ampio, ma esecutivo, cioè le associazioni fanno, appunto,esecuzione di attività, fanno difficoltà, invece, ad entrare nella fase di pro-grammazione, quindi della programmazione della politiche, di condivisio-ne delle decisioni, questo per due motivi: sia perché non so veramente poi quan-to ci sia interesse a coinvolgerle nella fase di programmazione, perché quel-la è una fase delicata e l'altra cosa, per una difficoltà del volontariato, per-ché appunto questo tipo di volontariato è un volontariato forse un po' più dif-ficile quello, comunque, di programmare, fare una politica, studiare, capi-re documenti, capire le priorità e invece le associazioni nella maggior par-te dei casi sono molto concentrate sul fare" (Terzo Settore).
La collaborazione tra istituzioni pubbliche e Odv si costruisce inoltre rispet- to ad ulteriori due aspetti: il livello di formalizzazione dei rapporti e la presenzadelle Odv nei tavoli di lavoro.
Secondo quanto affermato dagli intervistati il livello di formalizzazione dei rap- porti è in funzione del livello di strutturazione raggiunto dalle Odv: "All'interno delle istituzioni sanitarie solo strutturandosi le organizzazioni rie-scono a dare un contributo mentre qualche anno fa giravano solo i volonta-ri nei reparti ma era una cosa … ora c'è una vera a propria collaborazionecon la struttura ospedaliera e quindi il volontario interviene su un preciso com-pito e in precisi orari, in modo programmato" (coordinatore ambito).
La strutturazione è un percorso interno alle Odv che può essere favorito an- che attraverso un'azione di formazione dei volontari: "Nel tempo hanno imparato a strutturarsi, ad essere più consapevoli e que-sto anche grazie al fatto che insieme abbiamo pensato a percorsi di forma-zione ed iniziative per renderli anche più consapevoli del loro ruolo, non soloessere genitori che rivendicano e basta: non sono un sindacato dei familia-ri, ma possono portare valore aggiunto" (coordinatore ambito).
In linea generale il livello di strutturazione viene percepito come piuttosto bas- so. I volontari, secondo gli intervistati, sono poco disposti a svolgere mansioni relative agli adempimenti formali, aspetto questo che invece viene rintracciatoall'interno delle cooperative sociali e in generale delle imprese sociali che svol-gono attività di pubblica utilità e si basano sul modello della governance parte-cipativa: "La maggioranza dei volontari è disposta ad impegnarsi in attività concre-te ma meno in coinvolgimento sugli adempimenti formali, sulla partecipa-zione ai tavoli, sulla rendicontazione sociale. Questo aspetto, che poi avvi-cinerebbe il volontariato al mondo delle cooperative, è limitato o comunquesi fa una gran fatica" (Terzo Settore) "è richiesto un impegno non indifferente, se non altro per una serie di ob-blighi; faccio riferimento a quelli di rendicontazione: bilancio, libri conta-bili, bilancio sociale obbligatorio e tutto questo non so quanto sia convenienteper una Odv" (docente universitario).
Un indicatore dell'avvenuta strutturazione e della capacità delle Odv di dare vita a rapporti formalizzati con le istituzioni pubbliche è rappresentato dall'iscrizioneal Registro regionale: "L'iscrizione al Registro generale del volontariato è una fase importante checi dice che le associazioni stanno diventando sempre più formali" (Terzo Set-tore).
Sul tema dell'iscrizione delle Odv al Registro regionale sono interessanti an- che i dati che provengono dal censimento.
Il grafico (Grafico 3.3) mostra il dato relativo all'anno di costituzione delle Odv nella regione Marche. Si vede come a partire dagli anni ‘90 il numero di Odv siacostantemente aumentato e, in special modo, dopo il 2000. Sul totale delle Odvquelle iscritte al Registro regionale crescono negli anni e segnano l'andamentodel fenomeno. Le Odv non iscritte rimangono sempre una quota minoritaria.
IL VALORE SOCIALE DEL VOLONTARIATO NELLE MARCHE Grafico 3.3 - Anzianità organizzazione
Fonte: Censimento 2008 A partire da questo dato, per quanto sommario, si vede come il numero di Odv sia costantemente aumentato e con esso il numero di quelle che si iscrivono alRegistro regionale. L'iscrizione al Registro regionale e il lavoro di strutturazione interno qualifi- cano l' Odv in modo sostanziale, aprendo la strada alla collaborazione con le isti-tuzioni pubbliche e private: "Perdi di vista l'aspetto formale, le relazioni istituzionali, l'esigenza di co-municare le cose che fai, l'esigenza anche di darsi una veste giuridica ade-guata, in alcuni casi, l'esigenza di avere un percorso interno associativo piùdemocratico, insomma, tutta una serie di cose che possono sembrare formalinel senso classico, ma che a volte diventano anche sostanziali" (Terzo Set-tore).
Dal punto di vista delle istituzioni, la formalizzazione dei rapporti è una im- portante garanzia di chiarezza rispetto al modo in cui le Odv agiscono e segnail passaggio da un rapporto personalistico tra Odv e singolo assessore, alla ca-pacità delle Odv di integrarsi nel sistema: "È importante perché, se l'amministrazione pubblica deve entrare in contatto,c'è bisogno che sia garantita una chiarezza anche dal punto di vista costi-tutivo, nel modo in cui cercano e si procurano le risorse e nel modo in cuiagiscono" (assessore provinciale) "sta passando il discorso, ecco non volontariato-assessore, ma volontariato-ambito" (coordinatore ambito).
I dati raccolti attraverso il censimento permettono di cogliere alcuni aspetti re- lativi alle modalità ed alla qualità delle collaborazioni che le Odv hanno con al-tre istituzioni (tab. 3.3) La formalizzazione della collaborazione tramite accordi scritti con le istituzioni interessa la metà delle Odv regionali iscritte al Registro, con punte nelle provin-ce di Fermo ed Ancona.
Tab. 3.3 - Accordi scritti con istituzioni (Odv iscritte al Rr)
Fonte: Censimento 2008
241 100,0 318 100,0 177 100,0 112 100,0 76 100,0 924 100,0 Il quadro appare notevolmente rovesciato qualora si prendano in considera- zione le Odv non iscritte. In questo caso oltre la metà delle Odv regionali (64,2%)dichiara di non aver formalizzato la propria collaborazione con altre istituzionitramite la firma di un qualche accordo (tab. 3.4). Circa un terzo delle Odv non iscritte al registro regionale ha formalizzato il pro- prio rapporto di collaborazione; e soprattutto nelle province di Macerata ed Asco-li Piceno questa quota sale ulteriormente. Tab. 3.4 - Accordi scritti con istituzioni (Odv non iscritte al Rr)
100,0 75 100,0 61 100,0 44 100,0 30 100,0 253 100,0 Fonte: Censimento 2008 IL VALORE SOCIALE DEL VOLONTARIATO NELLE MARCHE Le Odv marchigiane sembrano intrattenere ricorrenti rapporti formali soprat- tutto con i comuni (591), altre organizzazioni non di volontariato (274), le Asl (218)e altre Odv (200); hanno rapporti, sia pure in misura inferiore ai primi, con re-gioni, enti privati, province, altre istituzioni pubbliche ed enti religiosi (tab. 3.5).
La frequenza dei contatti è elevata e piuttosto distribuita, soprattutto nel caso delcontatto con le Asl. Rispetto alle province, Ancona è quella in cui la collaborazione formale con i diversi enti ed istituzioni è più ricorrente, mentre Ascoli Piceno è quella in cuisingole organizzazioni dichiarano di aver avuto un elevato numero di collabo-razioni con ogni singola istituzione. Tab. 3.5 - Istituzioni con cui le Odv hanno accordi scritti
AZIENDE SANITARIE LOCALIALTRE ISTITUZIONI ASSOCIAZIONI NON DI VOLONTARIATOENTI RELIGIOSI E/O CONSULTECOOPERATIVE SOCIALI 1 DI ALTRO TIPOIMPRESE PRIVATE Fonte: Censimento 2008 Oltre che attraverso accordi formali, le Odv collaborano con altre istituzioni pubbliche e private anche in modo informale. In questo caso piuttosto che la ri-correnza abbiamo cercato di capire quale sia la frequenza dei contatti. I dati chesi riferiscono ai rapporti informali ed ai contatti segnano una linea di confine net-ta tra istituzioni con cui le Odv mostrano di avere un rapporto consolidato, rispetto alle quali si può supporre abbiano ottenuto accreditamento e altre istituzioni, pub-bliche o private, con cui i contatti sono meno frequenti. Gli enti con cui i con-tatti sono più frequenti sono i comuni e le Asl, ma le Odv collaborano spesso an-che con altre Odv, con le scuole e con altre istituzioni pubbliche (tab. 3.6). Tran-ne alcuni casi isolati, le Odv hanno contatti con tutte le istituzioni sul territorio.
Un altro dato piuttosto interessante è quello che riguarda i contatti con i partitipolitici. Questo tipo di istituzione non compare nella tabella poiché è l'unica concui le Odv affermano di non avere contatti di alcun tipo. I contatti ed i rapportitra Odv e "politica" sono tradizionalmente presenti nel dibattito. Il dato a nostradisposizione andrebbe ulteriormente indagato, ma alcune osservazioni ed alcu-ne ipotesi possono essere avanzate in proposito. In primo luogo la mancanza dicontatti sembrerebbe confermare quanto osservato dagli stakeholder intervista-ti, i quali apprezzano la crescente capacità delle Odv di sganciarsi da rapporti per-sonali con gli assessori e percorrere la via del confronto e della rivendicazionesul terreno istituzionale. In secondo luogo e pur con molte riserve, la distanza se-gnata dalla politica e dai partiti politici conferma quanto emerso da precedentiricerche. Il valore sociale del volontariato sta anche nella capacità di essere espres-sione di democrazia in quanto risponde con l'impegno personale e tangibile allacrisi delle ideologie. Tab. 3.6 - Frequenza dei contatti con le istituzioni pubbliche e private
ALTRE ISTITUZIONI PUBBLICHE COORDINAMENTI CONSULTE COOPERATIVE SOCIALI ALTRI ENTI NON PROFIT Fonte: Censimento 2008 IL VALORE SOCIALE DEL VOLONTARIATO NELLE MARCHE Un ultimo aspetto indagato in relazione ai contatti con le istituzioni pubbli- che e private è quello che riguarda la soddisfazione delle Odv rispetto alla col-laborazione (tab. 3.7).
In linea generale sembra esserci una buona soddisfazione da parte delle Odv rispetto ai contatti con tutte le istituzioni. Contatti del tutto insoddisfacenti sonorari e limitati alla collaborazione con le asl; 8 delle oltre 170 Odv che hanno avu-to contatti con le asl valutano negativamente il rapporto. L'insoddisfazione riguarda, in misura ridotta, anche i rapporti con gli enti pub- blici, i Comuni, le Province e la Regione. Tab. 3.7 - Valutazione della collaborazione con le istituzioni
Del tutto
ALTRE ISTITUZIONI PUBBLICHE COORDINAMENTI CONSULTE COOPERATIVE SOCIALI ALTRI ENTI NON PROFIT Fonte: Censimento 2008 Il dato forse più interessante è però quello relativo alla soddisfazione. A rac- cogliere il più alto livello di soddisfazione sono i contatti con gli enti religiosi, lealtre Odv, le scuole e le cooperative. Ad avere rapporti con questo tipo di isti-tuzioni sono relativamente poche Odv, ma in percentuale questi sembrano es-sere le collaborazioni più soddisfacenti. Infine, rispetto alle collaborazioni con le Regioni, le Province e le Asl, le Odv dichiarano con più frequenza di essere abbastanza soddisfatte. Sul piano operativo, l'esperienza di collaborazione che raccontano gli inter- vistati è quella di Odv ed istituzioni che si ritrovano intorno ad un interesse re-ciproco, piuttosto che ad un tavolo di lavoro: "Tavoli di lavoro veri e propri, in cui si parla ufficialmente tra sanità e as-sociazioni sarei ipocrita se dicessi che se ne fanno: non se ne fanno ma si pos-sono e si riescono a trovare punti di interesse reciproco come l'esperienza con-dotta con l'associazione paraplegici marchigiani … per una coincidenza for-tuita abbiamo scoperto di avere un comune interesse: noi ad una riorga-nizzazione del call-center e loro a farsi carico di una parte di questo lavo-ro. Probabilmente arriveremo ad una convenzione … si è trattato i quel casodi un tavolo di lavoro in cui si è ragionato su questioni di interesse recipro-co" (direttore sanitario).
Come evidenziato dalla letteratura, sul piano operativo emerge l'ambiguità tra la partecipazione delle Odv ai tavoli di lavoro riconosciuta come utile soprattut-to in quanto le Odv rappresentano una sorta di antenna sul territorio in grado diintercettarne i bisogni e di individuarne le problematiche e il posto concretamenteassegnato loro: "Su alcuni settori di intervento il volontariato costituisce una risorsa anchedal punto di vista conoscitivo e quindi mi sembra utile cercare di coinvolgerloin tavoli di lavoro" (docente universitario) "è fondamentale perché hanno una conoscenza delle problematiche che spes-so è superiore o per lo meno qualitativamente differente a quella che posso-no avere semplicemente i servizi istituzionali. È ovvio che il loro apporto è pre-zioso in questo senso; inoltre, anche nella realizzazione degli interventi, laloro mediazione presso i cittadini è fondamentale" (coordinatore ambito).
Specie dal mondo imprenditoriale la partecipazione del volontariato ai tavoli di lavoro viene problematizzata attraverso un'attenta valutazione del posto attribuitoal volontariato. I tavoli di lavoro, sostengono i rappresentanti del mondo profit, pre-vedono la concertazione, un metodo di lavoro che deve essere attentamente e cor-rettamente interpretato dal volontariato, se non vuole correre il rischio di essere stru-mentalizzato. Nonostante la riconosciuta utilità gli intervistati osservano la difficol-tà da parte delle Odv a partecipare ai tavoli di lavoro; non si tratta tuttavia solo diuna difficoltà operativa, legata alla conciliazione dei tempi dei volontari con quel-li delle istituzioni, ma anche di una sorta di ritardo culturale che vede ferme le Odvsu posizioni etiche piuttosto che di consapevolezza del proprio ruolo politico: "Spesso ci si aspetta dalle persone che vengono a questi tavoli dei discorsi tec-nici e invece il volontariato rilancia con argomenti legati al riconoscimen-to, alla società civile … si affronta il problema con il cuore grondante di la-crime che è eticamente perfetto ma operativamente non porta a niente" (do-cente universitario) "i tavoli di concertazione presuppongono… un investimento di medio - lun-go periodo, perché comunque, insomma, le discussioni, appunto le politiche IL VALORE SOCIALE DEL VOLONTARIATO NELLE MARCHE vanno condivise, vanno individuate le priorità e a volte l'associazionismo in-vece vorrebbe che venisse fatto tutto e subito" (Terzo Settore).
3.3 Le organizzazioni di volontariato e il Terzo settore
Un ultimo aspetto legato alla presenza delle Odv nel sistema di welfare regionale e dunque al loro valore sociale è quello che riguarda il profilo, o meglio l'iden-tità, del volontariato all'interno del Terzo Settore. Il dibattito su questo aspetto si sviluppa a partire dalla capacità delle Odv di lavorare in rete. Le ricerche realizzate evidenziano che la mancanza di lavoro direte tra Odv è un limite al ruolo di anticipatore di risposte ai nuovi bisogni e diintercettazione; al contempo l'incapacità di coordinarsi e di esprimere una rap-presentanza unitaria sono considerati fattori che indeboliscono e mettono in cri-si il ruolo "politico" del volontariato. Una delle caratteristiche attribuite al mondo delle Odv e riconosciuta anche dagli intervistati è quella della estrema frammentazione che rende pressante lanecessità di integrazione. Dietro la frammentazione gli intervistati colgono un at-teggiamento di competizione e quasi di "gelosia", di difesa nei confronti di quel-lo che viene percepito come un terreno d'azione esclusivo: "Ogni associazione è fortemente gelosa della propria identità e quindi temeche unirsi o mettersi in relazione con un'altra associazione possa significa-re perdita di identità" (coordinatore ambito) "spesso le associazioni sono concentrate intorno al problema che le caratte-rizza e poco aperte ad un discorso di collaborazione e di integrazione in rete"(direttore sanitario) "spesso le associazioni sono prese, appunto, … dall'esigenza di fare, a voltesono prese dalla voglia di distinguersi rispetto ad altre associazioni, c'è sem-pre chi è più volontario di altri, chi è più genuino di altri, chi è più… chi hapiù spirito spontaneo di altri, e questa voglia di distinguersi non aiuta a farerete" (Terzo Settore).
In questo senso il tema dell'identità sembra porsi a monte dei rapporti, come differenziazione rispetto all'altro. Le Odv faticano quindi a creare una rete chesia funzionale ai loro obiettivi; più spesso la rete viene imposta e le Odv sten-tano, o almeno così sembra, a costruire la propria identità in una logica di plu-ralismo: "Stiamo vivendo tutti quanti una grande difficoltà ad attivare reti che sia-no funzionali alla propria mission e se la rete è imposta, chiaramente è dif-ficile che funzioni" (coordinatore ambito) "quando tu progetti e fai delle politiche assieme ad altre associazioni devi co-munque fare un passo indietro rispetto comunque alla tua identità no? per-ché la tua identità la vai a giocare insieme alla identità di altri e questo nonè facile" (assessore provinciale).
Le Odv faticano a fare rete tra loro anche se su specifici progetti riescono a collaborare. La metodologia della rete non rispecchia, secondo gli intervistati, ilmodus operandi delle Odv anche perché la rete presuppone una figura di rife-rimento e di coordinamento che invece spesso manca: "Se non serve per fronteggiare qualcosa, un problema, una situazione o unobiettivo è difficile che funzioni… in alcuni casi c'è, ma fa fatica perché è piùdifficile che sia qualcuno che si può occupare per conto di tutti della manu-tenzione e questa è la difficoltà dell'associazionismo" (coordinatore ambito) "non è possibile parlare di reti organizzate; vedo collaborazioni che via viasi possono costituire intorno a singoli progetti o obiettivi ma parlare di reteè qualcosa di differente. La rete presuppone qualcuno che se ne occupi in ma-niera stabile e strutturata e questo non lo vedo" (coordinatore ambito).
L'importanza del lavoro di rete viene sottolineata anche dai rappresentati del mondo cattolico e della comunicazione: lavorare in rete è, secondo questi inter-vistati, una necessità se si vuole che il lavoro sia utile, efficace e professionale: "Negli ultimi dieci anni la necessità di lavorare in rete è sempre più forte per-ché si è finalmente capito che anche il servizio volontario deve essere effica-cemente coordinato, veramente utile e, in qualche modo, professionale" (rap-presentante mondo cattolico).
Un impulso al lavoro di rete viene riconosciuto al Csv attraverso un lavoro culturale di promozione. La progettazione sostenuta e promossa dal Csv vie-ne valutata in modo positivo come prassi in grado di coniugare azione e pen-siero di rete: "A questo cambiamento culturale ha contribuito sia il Csv, che muovendosi per sostenere ogni associazione nei progetti sta costruendo rete e promuovendoi tavoli di lavoro che portano a comprendere che, nello stare insieme, l'identi-tà viene rafforzata e non svilita" (coordinatore ambito).
Il tema dell'identità è il filo conduttore anche quando si affronta la questione del posto riservato al volontariato all'interno del Terzo Settore. Un primo dato che emerge è la percezione della frattura esistente tra le varie componenti. All'interno del Terzo Settore un ruolo di primo piano viene attribuitoal mondo della cooperazione sociale in considerazione non tanto dell'ampiez-za del settore quanto della sua rilevanza economica. Numericamente infatti, lecooperative sociali sono meno rispetto alle Odv, ma spesso hanno dimensionielevate come numero di operatori. Inoltre, le cooperative sociali vengono descritte IL VALORE SOCIALE DEL VOLONTARIATO NELLE MARCHE come soggetto predominante in quanto possono prendere in appalto servizi e crea-re posti di lavoro. Uno dei coordinatori d'ambito sintetizza queste differenze ope-rando una dicotomizzazione tra cooperative sociali in grado di gestire servizi pe-santi ed Odv che lavorano sulla promozione e sull'offerta di servizi leggeri: "Da una modalità più complessa come quella con le cooperative che gestisconoservizi anche pesanti, come l'assistenza domiciliare o il trasporto disabili; aquella con realtà meno strutturate ma che fanno servizio di promozione sulterritorio" (coordinatrice ambito).
L'osservazione di queste fratture non esaurisce le considerazioni riferite alle specificità delle Odv. Proprio rispetto al Terzo Settore gli elementi che sottolineano l'identità delle Odv e ne qualificano l'immagine sono almeno tre: la capacità e l'apertura alla spe-rimentazione di servizi ed interventi innovativi, la capacità di lavorare nei setto-ri della marginalità e della povertà, la forte spinta dal basso: "C'è un pezzo, secondo me, che può curare solo l'associazionismo … l'aper-tura di nuove sperimentazioni, per esempio … E poi tutto il tema delle povertà"(coordinatore ambito) "l'elemento interessante del volontariato è proprio che questa spinta alla par-tecipazione, alla risposta ai bisogni viene dal basso" (Terzo Settore).
Al volontariato si riconosce e dal volontariato ci si aspetta un lavoro capilla- re sul territorio di ricerca, attenzione ed intercettazione; tutto ciò misura, nei di-scorsi degli intervistati, il valore sociale del volontariato. Capitolo 4
La funzione economica
io apro bottega quando tu hai bisogno (FOCUS GROUP VOLONTARI"
SAN BENEDETTO DEL TRONTO) Nel precedente capitolo abbiamo visto che le Odv sono una componente pre- ziosa nel sistema di welfare con specifiche caratteristiche e funzioni attribuite, an-che rispetto alle altre componenti del Terzo Settore. In questo capitolo cerche-remo invece di ricostruire le rappresentazioni degli intervistati circa il valore eco-nomico che è possibile attribuire al lavoro delle Odv e dei volontari. La rilevan-za economica di una organizzazione è data dal livello delle entrate, ma anche dal-la capacità di far fronte alle carenze economiche tramite la mobilitazione del la-voro volontario e/o retribuito. Se si tiene conto della rilevanza economica è pos-sibile tracciare una linea di continuità tra i diversi soggetti del Terzo Settore. Si tratta di un dibattito, come abbiamo avuto modo di vedere, ancora poco svi- luppato non solo in Italia. L'ampia letteratura fino ad ora prodotta ha colto infattiil valore economico del Terzo Settore nel suo insieme, ma mancano analisi sulvalore economico del voluntary sector.
Sono possibili diversi metodi di calcolo, diretti ed indiretti, del valore econo- mico. Tra i metodi diretti vi è quello di attribuire il prezzo di mercato equivalenteai beni e servizi prodotti dal terzo Settore. Tra i metodi indiretti, basati piuttostosulla valorizzazione del lavoro, figurano quelli che si basano sui costi di sostitu-zione e sui costi opportunità. Nel caso dei costi di sostituzione, si calcola il co-sto che si dovrebbe sopportare se il lavoro svolto dal volontario si dovesse ac-quistare sul mercato. Nel caso dei costi opportunità, viene calcolato il salario cheil volontario guadagnerebbe lasciando il volontariato ed entrando nel mercato (Mo-reschi, 2003). Il lavoro forse più esaustivo che in Italia ha utilizzato il metodo dei costi op- portunità è quello condotto dal gruppo di ricerca coordinato dal prof. Barbettasulla base dei dati relativi al censimento 2001 del Terzo Settore. Il dato interes-sante e rispetto al quale si concentrano e si focalizzano le analisi è quello che si LA FUNZIONE ECONOMICA DEL VOLONTARIATO riferisce all'occupazione. Il censimento del 2001 ha stimato che l'occupazione pro-dotta dal Terzo Settore è pari al 3% di quella nazionale. Se tra gli occupati nel Ter-zo Settore si considerano non solo i lavoratori retribuiti, ma anche quelli non re-tribuiti, l'occupazione risulta pari al 6% di quella nazionale e al 9% di quella neiservizi. Questa forza lavoro produce il 2% del Pil nazionale (Moreschi, 2006).
Altre ricerche condotte nella provincia di Arezzo hanno mostrato che gli oc- cupati nel terzo Settore rappresentano il 2,2% del totale della forza lavoro ed il5% del totale dei lavoratori nel ramo dei servizi. Inoltre, tenendo presente che l'Oc-se per il 2001 indica un ammontare di 134 ore medie al mese di lavoro, si è sti-mato che i volontari nella provincia di Arezzo svolgano un'attività pari a quelladi circa 3000 lavoratori a tempo pieno (Ascoli, Pavolini, 2005).
Una critica spesso mossa a queste ricerche riguarda la necessità di conte- stualizzare i dati rispetto alle caratteristiche del mercato del lavoro nel Terzo Set-tore, in cui le opportunità di lavoro sono spesso sotto-remunerate e tali da nonrappresentare veri e propri posti di lavoro.
Inoltre, il Terzo Settore pur attenuando le conseguenze negative della man- canza di lavoro, ma non offre un contributo positivo nella crescita dell'occupa-zione. La potenzialità occupazionale del Terzo Settore, infatti, va a coprire il la-voro offerto dagli enti pubblici che commissionano l'erogazione di servizi ad unaorganizzazione non-profit. Non si tratta, pertanto, di un'occupazione "aggiunti-va" rispetto a quella del settore pubblico quanto, piuttosto, di un'occupazione "so-stitutiva" rispetto alla stessa.
Alla luce di questo dibattito, abbiamo cercato di capire se e quale valore eco- nomico viene attribuito al volontariato. Inoltre abbiamo chiesto agli intervistatidi confrontarsi con i diversi metodi di calcolo e con le "filosofie" sottese.
4.1 Il volontariato produce?
Ricondurre la discussione circa il valore ed il ruolo del volontariato su di un piano economico costituisce un'operazione non sempre facile che incontra re-sistenze culturali e difficoltà metodologiche. La triangolazione di metodi qualitativi e quantitativi che caratterizza il presente lavoro ha permesso di cogliere non solo la fotografia sul territorio, ma anche ilpunto di vista degli stakeholders e degli addetti ai lavori.
Un primo aspetto che si è cercato di far emergere è quello che riguarda l'utili- tà del volontariato. Agli intervistati è stato infatti chiesto se il volontariato serve e,in particolare, a chi serve. Le risposte ottenute sono riconducibili a due posizionifondamentali: l'una che vede il volontariato utile alla società ed al sistema di wel-fare e l'altra che riscontra l'utilità del volontariato nella vita dei singoli volontari.
Il volontariato serve alla società affinché ci sia coesione:"Il volontariato è indispensabile per far sì che la società sia amalgamata, siagiusta" (assessore provinciale).
Il volontariato serve inoltre al sistema di welfare poiché è in grado di capta- re i bisogni del territorio e conseguentemente di supportare le istituzioni pubblichenella messa a punto di risposte efficaci: "Il welfare non potrebbe reggersi senza volontariato. È una sorta di pungo-lo… le associazioni, capta le situazioni in anticipo e prima che divenganobisogni conclamati, sostiene le persone più fragili" (coordinatore ambito) "serve molto nella messa a punto di risposte efficaci per i bisogni della citta-dinanza" (coordinatore ambito).
Il rischio evidenziato è tuttavia che le istituzioni si servano del volontariato in modo strumentale: "A volte serve anche alle istituzioni, quando appunto lo vivono come strumento, in maniera strumentale, quindi come erogatore di servizi a basso prezzo, sen-za invece la volontà di coinvolgerlo in modo programmatico" (assessore pro-vinciale).
Secondo alcuni intervistati tuttavia, il volontariato serve in primo luogo agli stes- si volontari che, attraverso questa attività riescono ad ottenere un miglioramen-to della qualità della propria vita: "Al volontario in un percorso di miglioramento della qualità della propria vitae di crescita perché poi è questo quello che porta il rapporto con l'altro" (co-ordinatore ambito) "sento una più alta considerazione di sé delle persone che fanno volontario,si sentono, diciamo così, qualche caso ho visto, in certe situazioni, insomma,persone che, diciamo così, hanno riempito maggiormente il senso della lorovita con questa esperienza" (coordinatore ambito).
Particolarmente interessante è la posizione di chi vede nel volontariato un'uti- lità che esula dal rapporto volontariato/sistema di welfare. Alcuni intervistati so-stengono che il volontariato serva ai destinatari cui si rivolge l'attività dei volon-tari; in tal modo si profila una rappresentazione del volontariato che non rientrapienamente nelle logiche dello scambio: "Serve alle persone che vivono una situazione di sofferenza" (assessore pro-vinciale) "il volontariato serve ai poveracci, agli sfigati, a quelli che in questo momentonon hanno voce, a quelli che in questo momento fanno fatica a vivere, se vuoiti faccio l'elenco, ma ti faccio piangere. Il volontariato penso che serva a quel-li che hanno la povertà dentro in tutti i sensi: fisica, sociale, economica" (co-ordinatore ambito).
LA FUNZIONE ECONOMICA DEL VOLONTARIATO Questo dato sembra essere in linea con quanto rilevato da altre indagini, secondo cui, i volontari ritengono che il volontariato sia utile all'azione del privato socialesia rispetto ai beneficiari, che alla comunità in generale (Rossi, Boccaccin, 2006). Successivamente abbiamo chiesto agli intervistati di dirci cosa produce il vo- lontariato. Riprendendo la classica distinzione tra beni e servizi, quasi la metà de-gli intervistati sostiene che il volontariato produca in prima battuta servizi: "È ovvio che sotto questa dizione classica di beni e servizi, il volontariato pro-duce servizi, prevalentemente servizi" (direttore sanitario).
Attraverso il volontariato si producono servizi dai più semplici ai più complessi, con i quali si interviene sulle fasce più deboli della popolazione. Secondo alcu-ni piuttosto che produrre servizi il volontariato contribuisce alla loro produzio-ne mentre risultato dell'attività dei volontari è piuttosto il bene comune, ossia so-lidarietà e relazioni: "Il volontariato produce un bene pubblico che è solidarietà, che è fiducia, cheè relazioni, che è scuola di democrazia" (docente universitario) "quando mio figlio mi ha chiesto: ‘Papà tu che mestiere fai?', gli ho detto: ‘Fac-cio l'operatore sociale', non ci ha capito niente, gli ho detto: ‘Allora, guarda,l'operaio della Benelli produce le moto, l'avvocato produce sentenze e quan-t'altro, io produco relazioni, cioè il mio lavoro è produrre relazioni'" (coor-dinatore ambito) "la parola produttivo è spesso… è legata a qualche cosa che, insomma, a chefare con dei beni che hanno una contropartita. Beni o i servizi che vengo-no venduti sul mercato e in questo caso il volontariato non produce, produ-ce relazioni, che non sono un oggetto monetizzabile, ma che sono fonda-mentali" (Terzo Settore).
Coerentemente con l'immagine che vuole il volontariato produttore di servi- zi, il valore attribuito è quello di scambio. Ciò risponde anche al ruolo di rap-presentanza svolto dalle Odv: "Il gioco più frequente è quello del valore di scambio perché è quello legatoalla rappresentanza; molte associazioni sono di rappresentanza e con l'en-te fanno un lavoro di scambio" (coordinatore ambito).
L'argomentazione opposta pone l'accento sull'aspetto della gratuità a partire dal quale è possibile attribuire un valore d'uso al prodotto del volontariato: "Oggi il volontariato mostra anche questo aspetto, cioè ci ricorda che se an-che il mercato ha vinto, non c'è solo il mercato, che se anche questa econo-mia ha ridotto tutto alla massimizzazione del profitto, invece ci sono perso-ne che continuano ad avere come valore la gratuità e continuano ad averecome valore l'aiuto reciproco" (Terzo Settore).
Alcuni degli intervistati sostengono inoltre che al volontariato non sia possi- bile attribuire un valore di scambio poiché il prodotto, anche nel caso dei servi-zi, non possiede alcune delle caratteristiche economiche fondamentali quali lapresenza di un contratto e quindi di un obbligo e la valorizzazione dell'attivitàlavorativa: "Il valore è che non c'è un contratto. Contratto vuol dire anche obbligo e que-sto non c'è. C'è o dovrebbe esserci, una tensione diretta al fare" (coordina-tore ambito) "un servizio che sicuramente ha un costo molto minore che se lo stesso ser-vizio venga erogato nella maniera istituzionale…Perché? Perché non c'è lavalorizzazione dell'attività lavorativa, non c'è stipendio" (direttore sanitario).
L'attribuzione di un costo diretto al prodotto del volontariato, operazione sem- plificata dagli stessi intervistati, porta ad evidenziare il risparmio che si realizzaattraverso il coinvolgimento fattivo delle Odv nella creazione di servizi: "Produce un grosso risparmio per gli enti che dovrebbero produrre determi-nati servizi" (fondazione bancaria) "molto produttivo, indirettamente, ma produttivo, cioè, nel senso, toglie alloStato tutta una serie di cose… di cui si fanno carico loro, quindi, diventa pro-duttivo anche quello" (assessore provinciale).
Il calcolo diretto del valore economico incontra alcune resistenze, in primo luo- go quella di essere un metodo che contribuisce ad occultare le responsabilità del-le istituzioni: "È monetizzabile ma non ha senso ed è preoccupante perché si rischia di vo-ler oscurare con il volontariato quelle che sono le responsabilità degli enti pub-blici" (coordinatore ambito).
In modo più specifico, il metodo del calcolo diretto risponde all'interesse di valutare l'impatto del volontariato, di valutarne il valore sociale e l'utilità prodottama la valutazione ottenuta non si presta alla gestione efficiente delle risorse: "Ai fini gestionali, se vado a vedere quello che è l'equilibrio economico di unaorganizzazione e devo assumere anche decisioni e fare scelte, vado a vede-re i costi e tra questi vedo se ho personale volontario … nell'analisi costi-pro-venti ai fini gestionali devo tenere conto anche delle risorse volontarie che hoimpiegato perché devo renderle efficienti, ottimizzarne l'impiego anche se nonpago nulla per impiegarle; le devo comunque gestire in modo efficiente" (do-cente universitario).
La misurazione economica deve tener conto, come sottolineato da questo in- tervistato, anche della presenza dei volontari che rappresentano una delle risorse LA FUNZIONE ECONOMICA DEL VOLONTARIATO disponibili che concorre alla realizzazione della mission organizzativa. Recentiricerche hanno mostrato che i volontari rappresentano una parte delle risorse uma-ne, cui vanno aggiunte quelle organizzative ed economiche, le sovvenzioni pub-bliche e le donazioni. Alcune recenti ricerche hanno indagato le opinioni dei vo-lontari rispetto all'applicazione di un orientamento imprenditoriale e volto al rag-giungimento degli obiettivi di efficienza nella gestione delle Odv. Secondo i vo-lontari, le risorse a disposizione dovrebbero essere combinate dando priorità allacrescita qualitativa e quantitativa delle attività, piuttosto che al rispetto dell'identitàculturale delle Odv. In linea generale però le Odv mostrano un'attitudine im-prenditoriale medio-bassa: la cultura dei volontari italiani non è quella del qua-si mercato ma si fonda sulla personalizzazione e qualità delle performance (Ros-si, Boccaccin, 2006). 4.2 Fare il volontario
I dati del censimento rimandano una presenza piuttosto massiccia di risorse umane che ruotano intorno alle Odv: sono oltre 38.000, considerando sia le Odviscritte che quelle non iscritte al Registro regionale, i cittadini che come volon-tari, collaboratori o dipendenti si mobilitano nella regione Marche. All'interno delle Odv iscritte troviamo prevalentemente volontari (31.575) ma anche dipendenti (453); collaboratori (437), tra cui è possibile comprendere pro-fessionisti che svolgono azioni di consulenza e collaborazione retribuita; giova-ni in servizio civile (355) e religiosi (199). I volontari da soli rappresentano oltreil 95% delle risorse umane (tab. 4.1).
Tab. 4.1 - Risorse umane presenti nelle Odv iscritte al Rr
DEL SERVIZIO CIVILE E DEGLI OBIETTORIDIPENDENTI Fonte: Censimento 2008 La presenza di volontari nelle Odv iscritte sembra essere in linea con il numero di Odv presenti nelle diverse province: più alto il numero di Odv, maggiore è lapresenza dei volontari. Questa corrispondenza si riscontra per le province di Pe-saro-Urbino, Ancona e Macerata mentre a Fermo, dove il numero di Odv era in-feriore a quello di Ascoli Piceno, sembrano esserci più volontari. I religiosi sono presenti in particolare nelle province di Pesaro-Urbino e Mace- rata; i volontari in servizio civile si concentrano nella provincia di Ancona e Fermo;la metà dei dipendenti delle Odv si trovano nella provincia di Ancona mentre i col-laboratori sono presenti soprattutto nelle Odv della provincia di Ascoli Piceno. Se si escludono i volontari, i cittadini impegnati in vario modo all'interno del- le Odv sono complessivamente 1.445, pari a circa il 4,5% delle risorse umane. Diquesti, il 32% lavora in una Odv come dipendente e un ulteriore 30% è collabo-ratore; seguono i giovani in servizio civile e i religiosi (tab. 4.2).
Tab. 4.2 - Risorse umane nelle Odv iscritte al Rr esclusi i volontari
DEL SERVIZIO CIVILEE DEGLI OBIETTORIDIPENDENTI Fonte: Censimento 2008 Nella provincia di Pesaro-Urbino le risorse umane non volontarie si distri- buiscono in modo piuttosto equilibrato tra religiosi, collaboratori e dipendenti,mentre marginale risulta essere la presenza di giovani in servizio civile. Ad An-cona i dipendenti raggiungono quasi il 50% delle risorse umane non volontariecui si aggiunge un ulteriore 25% composto da collaboratori. Anche a Macerata idipendenti sono in percentuale numerosi e, insieme con questi, i giovani in ser-vizio civile. Ad Ascoli la figura più ricorrente dopo i volontari sono i collabora-tori e a Fermo i giovani in servizio civile. La presenza di risorse umane nelle Odv non iscritte mostra caratteristiche si- mili a quelle rintracciate per le Odv iscritte (tab. 4.3). Prevalgono i volontari (5.040),seguiti da dipendenti (62) e collaboratori (50); tuttavia sono più numerosi i reli-giosi (43) dei giovani in servizio civile, che sono appena 14. Il numero di volontari in questo caso non segue la presenza di Odv sul terri- torio. Se infatti, le Odv non iscritte si trovano ad Ancona piuttosto che a Mace- LA FUNZIONE ECONOMICA DEL VOLONTARIATO rata, ad Ascoli Piceno piuttosto che a Pesaro-Urbino e Fermo, i volontari sono piùnumerosi nelle Odv non iscritte di Macerata piuttosto che di Ancona, di Fermopiuttosto che di Pesaro-Urbino. Tab. 4.3 - Risorse umane nelle Odv non iscritte al Rr
DEL SERVIZIO CIVILE E DEGLI OBIETTORIDIPENDENTI Fonte: Censimento 2008 Se si escludono i volontari, i numeri relativi alle altre risorse umane sono piccoli, anche se in linea con altre rilevazioni e non permettono che alcune cau-te considerazioni. Circa un terzo dei religiosi si concentra nella provincia di Ma-cerata; la metà dei dipendenti si concentra nella provincia di Ancona; i colla-boratori sono piuttosto numerosi sia a Macerata, che ad Ancona e Fermo. Se si considerano invece le singole province, Pesaro-Urbino ed Ascoli Pi- ceno sono quelle in cui i religiosi rappresentano la risorsa umana più frequentedopo i volontari; nelle altre province sembra essere più frequente il ricorso adipendenti o collaboratori. In linea generale, l'iscrizione al Registro regionale sembra differenziare le Odv anche rispetto alle risorse umane. Dal punto di vista quantitativo le Odviscritte hanno mediamente un numero di risorse umane maggiore rispetto allenon iscritte e anche qualitativamente sembrano emergere differenze. Figurecome i volontari del servizio civile, piuttosto numerosi nelle Odv iscritte sonodel tutto assenti in quelle non iscritte, come nel caso delle province di Pesa-ro-Urbino e Fermo. Altre figure, come i religiosi, che nelle Odv iscritte risul-tavano relativamente meno numerose, in quelle non iscritte assumono un di-screto "peso". Da quanto fin qui detto, la risorsa umana più importante per le Odv della regione continua ovviamente ad essere quella dei volontari. I volontari attivipossono essere utilmente distinti in volontari sistematici e saltuari. Dai dati delcensimento, la loro presenza varia sia tra le diverse province, che tra Odv iscrit-te e non iscritte. I volontari attivi nelle Odv iscritte sono oltre 31mila; di questi i due terzi sono volontari sistematici (21.659), per il resto si tratta di volontari saltuari. Anco-na è la provincia con il maggior numero di volontari, sia sistematici che sal-tuari. Tra le province, Macerata sembra essere quella che, subito dopo Anco-na, vede una significativa presenza di volontari sistematici; mentre a Pesaro sonopiuttosto numerosi i volontari saltuari (tab. 4.4).
Tab. 4.4 - Volontari attivi nelle Odv iscritte al Rr
SISTEMATICIVOLONTARI SALTUARI 2.214 Fonte: Censimento 2008 Nelle Odv non iscritte la composizione dei volontari attivi e la distribuzio- ne sul territorio presenta alcune differenze. Oltre la metà dei volontari attivi nelle Odv non iscritte sono volontari si- stematici. Questi sono presenti soprattutto nelle province di Macerata e Ancona.
La presenza di volontari saltuari è invece numericamente significativa nelle pro-vince di Ancona, Ascoli Piceno e Fermo (tab. 4.5).
Tab. 4.5 - Volontari attivi nelle Odv non iscritte al r.r.
SISTEMATICIVOLONTARI SALTUARI 189 Fonte: Censimento 2008 La motivazioni che spingono al volontariato, così come riscontrate dalla letteratura, sono il desiderio di rispondere ai bisogni della società, di espri-mere liberamente se stessi e l'importanza attribuita al valore della solidarietà.
La scelta di diventare volontario è una decisione che attiene al singolo indi-viduo. LA FUNZIONE ECONOMICA DEL VOLONTARIATO Ciò che sostiene la motivazione è spesso un'esperienza vissuta:"Recentemente è nata un'associazione che si occupa di demenze senili, del-l'Alzheimer e la presidente ha deciso di fondare questa associazione sulla basedi un'esperienza vissuta con il papà e oggi credo che sia una delle associa-zioni più attive sul territorio. Poi c'è una coscienza sociale che molte perso-ne hanno, per fortuna. E la consapevolezza che ognuno può dedicare unaparte della propria vita agli altri e questo ti fa star bene con te stesso" (assessoreprovinciale).
Chi fa volontariato è un individuo che ha vissuto su di sé gli stessi problemi e, forte della propria esperienza, decide di aiutare anche altri a superare le stes-se difficoltà.
In senso più generale la spinta a fare volontariato viene dalla presa di coscienza dei limiti e delle mancanze insiste nel sistema di welfare: "La presa di coscienza che ci sono dei limiti in questo stato sociale, che ci sonodelle esigenze, dei bisogni, spesso inespressi oppure in qualche caso espressichiaramente ai quali il pubblico non riesce a dare risposta" (Terzo Settore).
La presa di coscienza non lascia indenni rispetto al proprio stile di vita. Il vo- lontariato è un'attività che allarga gli orizzonti e libera i tempi di vita: "Allarga gli orizzonti e vede che tutto sommato può dedicare del tempo aglialtri e ecco, questa è una prima diciamo area di motivazione, poi il volonta-rio diventa un portatore sano di quella problematica, quindi è lui che si li-bera il tempo:… passare dal tempo libero al tempo liberato" (Terzo Settore).
Dietro l'attività di volontariato c'è, secondo alcuni, una sorta di innamoramento che passa attraverso le esperienze: "All'inizio le motivazioni possono essere anche abbastanza rarefatte, incer-te: è facendolo che può scaturire l'innamoramento fino a diventare in alcunicasi un valore identificante; diventa una parte della mia identità fare vo-lontariato e quindi diventa difficile farne a meno! E quindi anche le moti-vazioni diventano più radicate" (docente universitario).
Il volontariato segna una linea di confine che, una volta oltrepassata, difficil- mente permette di tornare indietro. In questo senso dietro l'elevato turn over divolontari è possibile leggere un percorso di ricerca, piuttosto che la decisione diabbandonare il settore: è frequente per i volontari scontrarsi con attività, con con-testi, con ambienti non rispondenti alle proprie aspettative ma questo non sco-raggia dal fare volontariato, piuttosto induce alla ricerca della Odv rispondenteai propri standard: "È un mondo che quando lo si conosce difficilmente si prendono poi le di-stanze, una sorta di demarcazione che una volta superata non si torna in-dietro anche se magari poi si fanno molte cose diverse, non ultima il soste- gno economico ad una qualche iniziativa … è un modo per sentirsi parte diun qualcosa che nessuno ti obbliga a fare" (coordinatore ambito).
L'attività di volontariato segna l'ingresso nel mondo della gratuità, dell'assenza di tornaconto, della messa a disposizione delle proprie risorse di tempo, men-tali e fisiche: "Gratuità significa mettere a disposizione una parte del proprio tempo, unaparte delle proprie risorse, una parte delle proprie energie mentali e fisiche,per fare qualcosa senza aspettarsi nulla in cambio" (Terzo Settore).
La gratuità si delinea quasi fosse una competenza richiesta ai volontari insie- me ad altre; un ingrediente che forma l'habitus del volontario: "La gratuità di sicuro, l'attenzione ai bisogni del territorio, la capacità del dia-logo con le istituzioni, quindi il discorso della concertazione e il rimuoverele cause dell'ingiustizia; quindi non solo riparare, l'assistenzialismo, non soloriparare le ferite, ma rimuovere le cause" (coordinatore ambito).
Proprio per il fatto di richiedere determinate competenze, il volontariato è quel- lo che corrisponde alla dimensione organizzativa. Da questo punto di vista c'èun sostanziale accordo tra tutti gli intervistati: non è possibile parlare di volon-tariato singolo, individuale. Azioni quali quelle di buon vicinato (prendersi curadel vecchietto solo, rendersi disponibili a fargli la spesa, ecc,) rientrano piutto-sto nella sfera delle reti di prossimità: "Io più che di volontariato parlerei di reti di prossimità, ovvero è importan-te che le persone si attivino singolarmente, anche aldilà di un'associazionedi volontariato, e anzi questo avviene, ecco, nella consapevolezza che que-sto appartiene più, appunto, alle così dette reti di prossimità" (Terzo Settore).
Quello che viene riconosciuto possibile è la presenza di una spinta individuale che tuttavia risulta infine riconducibile alla dimensione collettiva: "L'acquisto nelle botteghe del commercio equo e solidale, i gruppi Gas …sin-goli fino ad un certo punto perché comunque si rifanno a qualcosa di col-lettivo" (docente universitario) "ci sono anche delle spinte individualistiche, un volontario … una personache dopo una vita di lavoro, una volta in pensione recupera il vecchio me-stiere di suo padre o di suo nonno e magari apre un laboratorio di cerami-ca per disabili. Quella persona si è messa a disposizione ed è diventata il lea-der, il motore di questa cosa; poi la sua idea da individuale è divenuta il cuo-re portante di un'associazione, un valore aggiunto" (coordinatore ambito).
La dimensione organizzativa emerge fortemente anche dai dati del censimento.
L'attività di volontariato è un'attività che richiede impegno; il raggiungimen- LA FUNZIONE ECONOMICA DEL VOLONTARIATO to del'obiettivo condiviso dai volontari passa attraverso l'utilizzo di strumenti dilavoro opportuni quali riunioni di programmazione, confronto e verifica del la-voro svolto. Tra le Odv iscritte ai registri regionali, oltre il 74% effettua riunioni periodicamente e un ulteriore 20% con una frequenza non programmata; solo il 3% dichiara dinon effettuare mai riunioni. Tra le province, Ascoli Piceno è quella in cui l'80%delle Odv dichiara di effettuare riunioni periodicamente. Nel caso delle Odv noniscritte, le percentuali sono simili ma con maggiore frequenza le riunioni avvengonoin modo non programmato.
Il ritrovarsi tra volontari non risponde però solo agli obiettivi di lavoro. L'at- tività di volontariato è anche un modo per accrescere le proprie competenze re-lazionali: tra volontari ci si incontra in modo informale anche per iniziative ricreativee di svago.
Complessivamente oltre un terzo delle Odv dichiarano incontri periodici in- formali, legati ad attività di socializzazione e un ulteriore 40% organizza questimomenti con frequenza non periodica. 4.3 Volontariato: altruismo, formazione e… lavoro
L'ultima ricerca pubblicata dalla Fondazione Zancan e intitolata "Il futuro del volontariato" dedica particolare attenzione al tema della crisi del volontariato.
Come sottolinea lo stesso presidente della Fondazione, l'indagine nasce dal-l'esigenza di interrogarsi su fenomeni quali il calo numerico dei volontari, la man-canza di apporto giovanile, una sorta di ‘inquinamento' dell'azione volontaria(con l'introduzione di compensi sottoforma di rimborsi spese forfetari) e la cre-scente incertezza sui valori stessi del volontariato. Dall'indagine è emerso chei volontari, pur riconoscendo alcuni problemi, non ritengono ci sia effettivamenteuna crisi. Questo significa, sempre secondo il presidente, da un lato che i direttiinteressati non tengono abbastanza conto delle contraddizioni presenti e dellecriticità esistenti ed evidenti; dall'altro che c'è scarsa autocritica, poiché si ten-de ad attribuire all'esterno le colpe per i problemi che sono anche interni al vo-lontariato. Sulla scia di queste osservazioni abbiamo sollecitato gli intervistati ad espri- mersi rispetto al profilo dell'odierno volontario. Un nodo di riflessione piuttostoimportante a questo riguardo è quello della formazione dei volontari. È ormai opi-nione condivisa anche tra gli intervistati che per fare volontariato occorre dotarsidi strumenti: "Non basta la motivazione a voler essere utile bisogna anche sapere con qua-li strumenti ci si può rendere utili" (coordinatore ambito).
Il problema della formazione è poi: quanto la formazione deve essere di base? Quanto deve essere professionalizzante? Rispetto a queste domande l'accordo degli intervistati si divide tra chi ritiene che i volontari debbano acquisire una competenza specifica rispetto al settore incui operano e quanti affermano che ai volontari deve essere data una formazio-ne ampio sul senso civico, le idealità.
Non potendo prescindere da una presenza attiva del volontariato nel sistema di welfare, l'acquisizione di competenze specifiche e relative al proprio settoredi intervento è indispensabile per il buon esito degli interventi realizzati. Al con-trario, non possedere gli strumenti tecnici adeguati mette a rischio la realizzazionedelle azioni: "A volte il non avere degli strumenti tecnici adeguati comporta che nella rea-lizzazione dei progetti gli obiettivi vengono mancati con effetti paradossali"(coordinatore ambito).
Competenze professionalizzanti sono sia quelle di tipo tecnico/strumentale che anche quelle comunicativo-relazionali: "Chiaro che in una Pubblica assistenza, se devi andare in ambulanza, al-cune cose le devi saper fare, ma il volontario non può diventare il parame-dico" (docente universitario) "nella mensa del povero i volontari hanno a che fare con la sfera relazionale-comunicativa e quindi la formazione deve essere sul come ci si rapporta aglialtri, sul come si cerca di evitare situazioni asimmetriche in cui tu passi comequello che fa la carità. In molti casi il rapporto tra volontario e utente va cu-rato" (docente universitario).
Alcuni dei coordinatori fanno però notare che ai volontari, diversamente che agli operatori non sono richiesti compiti di presa in carico; semmai la capacitàdi gestire e rielaborare gli elementi più emotivi e di coinvolgimento: "Non credo che serva questo ad un volontario; non è l'operatore che deve fareo che ha compiti di presa in carico da svolgere in termini di raggiungimen-to degli obiettivi" (coordinatore ambito) "l'approccio iniziale è sempre più di tipo emotivo … invece, secondo me, è ne-cessario, proprio per riuscire in quello che uno intende fare, non che deve es-sere freddo e distaccato, però avere una lucidità che ti permette di interve-nire senza lasciarti troppo coinvolgere dalla situazione, magari, … di disa-gio, di…, così, o delle emergenze" (coordinatore ambito).
Pur riconoscendo il volontariato come parte del sistema ai volontari non sa- rebbe dunque necessario offrire una formazione specifica, ma piuttosto questaserve per poter condividere gli obiettivi e coordinare le attività: "Per diventare parte di un sistema bisogna avere e sapere qual è l'obiettivoda raggiungere insieme e provare ognuno a raggiungerlo in maniera coe- LA FUNZIONE ECONOMICA DEL VOLONTARIATO rente. Il volontario, come parte di un sistema, deve essere formato in modoche l'obiettivo venga raggiunto senza conflitti, senza contrasti, senza incoe-renze anche di metodologie e di pratiche" (assessore provinciale).
In questa chiave di lettura la formazione è piuttosto una supervisione, un pas- saggio di conoscenze e competenze progressivo, che avviene anche in modo in-formale tra i volontari delle stesse Odv: "Credo che però serve e serve molto una formazione come supervisione, unasorta di autorevole supervisione esterna che sa intervenire nei momenti no-dali, nelle fasi difficili o importanti del volontario e delle situazioni di cui faparte" (coordinatore ambito) "una formazione che lo aiuti, lo supporti e lo faccia cambiare cammin fa-cendo in positivo credo che sia importante" (coordinatore ambito) "una formazione che può essere interna, quindi, le persone con più esperienzadanno una formazione interna all'interno… nell'ambito dell'associazione… le persone che nella vita fanno un lavoro nell'ambito sociale e poi comunqueanche il tempo libero lo dedicano a questo, per gli altri soci sono un puntodi riferimento importante" (assessore provinciale).
La critica sollevata dagli intervistati è infatti quella di una eccessiva forma- zione in cui si perde di vista la forte spinta motivazionale ed ideologica dei vo-lontari: "La formazione dei volontari conta molto purché non prenda la malattia diquesto periodo moderno per cui tutto quello che viene fatto con il cuore vie-ne abbandonato e viene sostituito il cuore alla competenza, ma non c'è com-petenza che lo sostituisca" (assessore regionale).
La formazione segna una linea di confine incerta e porosa tra altruismo e pro- fessionalità. Se, come già osservato in precedenza, la formazione dei volontari èuno dei presupposti che garantisce alle Odv la capacità di dare continuità al pro-prio operato, essa può rivelarsi anche un elemento su cui far leva per mantene-re i volontari all'interno delle Odv. Spesso i volontari lasciano, si allontanano, se-gno questo che la motivazione e la spinta iniziali a volte non bastano; occorre daparte delle Odv la capacità di gestire ed organizzare le proprie risorse umane: "E poi la formazione è importante anche per dare una continuità" (diretto-re sanitario) "il rischio per l'associazione di perdere un volontario e quindi il problema del-la non-continuità: i volontari come vengono possono andarsene e allora ilproblema è mantenerli. E mantenerli non dipende tanto dalla remunerazioneeconomica perché poi viene meno il senso ma ci potrebbe essere un coinvol- gimento del volontario in quelle che possono essere anche le iniziative di ge-stione… rendendoli partecipi delle scelte prese a livello di progetti, coinvol-gerli non solo come operatori ma nella fattibilità e progettualità" (docente uni-versitario).
Nell'ambito del censimento è stato chiesto di indicare se i volontari avesse- ro partecipato nell'ultimo anno a corsi di formazione di base o a corsi di ag-giornamento (tab. 4.6). Il dato della tabella si riferisce quindi al numero di odvi cui volontari, nell'ultimo anno, hanno partecipato a corsi di formazione; inol-tre era possibile indicare insieme sia la modalità "corsi di base" che quella "cor-si di formazione". Tab. 4.6 - Odv iscritte i cui volontari hanno partecipato a corsi di for-
mazione

Corsi di aggiornamento Nessuna formazione Fonte: Censimento 2008 In totale sono 357 le Odv i cui volontari hanno partecipato a corsi di for- mazione di base, pari circa al 39% delle Odv iscritte ai Registri regionali; 251quelle i cui volontari hanno partecipato a corsi di aggiornamento, pari circa al27%, mentre la metà quasi delle Odv iscritte non hanno avuto volontari che ab-biano partecipato ad alcun corso di formazione. Si tratta di uno scenario rin-tracciabile anche in riferimento alle singole province, pur con alcune lievi va-riazioni. La provincia in cui le Odv in percentuale hanno visto i loro volontari mag- giormente coinvolti in corsi di formazione di base è quella di Macerata: il 40% cir-ca delle Odv iscritte dichiara che i propri volontari hanno partecipato a corsi diformazione di base. La provincia invece in cui le Odv, in percentuale, hanno vi-sto i loro volontari maggiormente coinvolti in corsi di aggiornamento è quella diAncona: il 30% circa delle Odv iscritte dichiara che i propri volontari nell'ultimoanno hanno partecipato a corsi di aggiornamento.
Infine Pesaro è la provincia con la più alta percentuale di Odv i cui volonta- ri non hanno partecipato ad alcun corso di formazione nell'ultimo anno (51%). Tra le non iscritte sono 88 quelle i cui volontari hanno partecipato a corsi di formazione di base, pari al 35% circa; sono invece 72 quelle che hanno parteci-pato a corsi di aggiornamento, pari al 28% circa. Infine sono 129 le Odv i cui vo-lontari nell'ultimo anno non hanno partecipato ad alcun corso di formazione, parial 51% (tab. 4.7). LA FUNZIONE ECONOMICA DEL VOLONTARIATO Tab. 4.7 - Odv non iscritte i cui volontari hanno partecipato a corsi di for-
mazione

Corsi di aggiornamento Nessuna formazione Fonte: Censimento 2008 Rispetto alle Odv iscritte, le non iscritte mostrano una minore frequenza di vo- lontari nella partecipazione ai corsi di base mentre non sembrano esserci parti-colari differenze nel caso della frequenza a corsi di aggiornamento. La professionalità richiesta fa parte del bagaglio di serietà ed autorevolezza del volontario, cui spetta di coniugare l'altruismo e il proprio senso di responsabili-tà con l'impegno e la dedizioni richiesti: "Un minimo, ecco, un minimo di attrezzatura ce la vuole, quello non è incontrasto con l'altruismo, fa parte di un bagaglio di serietà, autorevolezza,ecco il bagaglio di autorevolezza del volontariato" (coordinatore ambito) "professionalità nel senso di responsabilità, soprattutto delle azioni che si com-piono" (assessore provinciale).
Il richiamo alla responsabilità da parte dei volontari chiarisce ulteriormente la rappresentazione del valore economico del volontariato e le funzioni a questoattribuite. Al volontario non si chiede di svolgere il proprio lavoro da professio-nista ma di essere professionale. Anche in considerazione di ciò, la valorizzazionedell'attività di volontariato può avvenire solo in modo indiretto, attraverso il cal-colo dei costi di sostituzione e dei costi-opportunità. Dalle interviste emergono inoltre interessanti spunti riconducibili all'oppor- tunità di utilizzare l'uno piuttosto che l'altro dei metodi. I costi di sostituzione siriferiscono ai costi che le Odv dovrebbero sostenere per acquistare sul mercatoil lavoro svolto dai volontari. Questo metodo si applica però solo in parte al casodelle Odv in quanto, come osservato dagli intervistati, all'interno delle odv il con-fine tra volontari e professionisti è netto.
Volontari e professionisti convivono all'interno di una stessa Odv, ma con com- piti ben distinti: i primi più spesso coinvolti nel lavoro operativo, gli altri soven-te impegnati negli aspetti più burocratici ed amministrativi: "I volontari vedono di buon occhio l'entrata di professionisti purché si occupinodi quei compiti che i volontari non vogliono fare e cioè, progettazione, co-municazione, rendicontazione, tutta la parte più burocratica. Quindi al-leggerire i ruoli che vanno oltre l'ambito del volontariato strettamente ope-rativo" (docente universitario).
I costi-opportunità invece si riferiscono al salario che il volontario guadagne- rebbe lasciando il volontariato ed entrando nel mondo del lavoro. Sollecitati suquesto aspetto, gli intervistati concordano circa la possibilità di individuare nel vo-lontariato alcune delle caratteristiche attribuibili all'attività lavorativa, sia in terminidi mansioni svolte, che relativamente alla capacità del volontariato di generare be-nefici, sia per chi svolge tale attività e sia per chi ne beneficia. Riconoscono in talmodo il valore del lavoro svolto dai volontari, la capacità di produrre attraversoquesto lavoro un bene pubblico, ma sono allo stesso tempo consapevoli dei li-miti insiti nel tracciare un parallelismo tra lavoro e volontariato. Tali limiti risiedonotanto nel fatto che i beni ed i servizi prodotti non siano monetizzabili, quanto nelfatto che dietro l'attività dei volontari ci sia una forte spinta motivazionale.
Rispetto alla questione delle mansioni, secondo gli intervistati, pur non essendo ricorrente si può osservare, specie da parte dei più giovani, un impegno nel vo-lontariato come momento di passaggio e di sperimentazione in vista dell'ingressonel mondo del lavoro: "A volte il volontariato si fa anche per trovare lavoro; per alcuni tipi di la-voro può essere un canale, specie dove si prevede un periodo di tirocinio. Inaltri casi per imparare delle competenze: magari persone che stanno facen-do o hanno finito la Siss o precari delle scuole che spesso fanno volontaria-to nei corsi di italiano per gli stranieri e quello è un modo per acquisire com-petenze" (docente universitario) "molti spesso passano dal volontariato magari per sperimentare il mondo delsociale come mondo in cui poter lavorare. Il volontariato aiuta a capire cosasignifica anche lavorare, aiuta a chiarire le idee" (coordinatore ambito).
L'esperienza di volontariato in questo senso serve per imparare a svolgere de- terminati compiti che potranno essere richiesti anche nel mondo del lavoro. Maè soprattutto rispetto alla valutazione economica di tale attività che le risposte de-gli intervistati paiono essere degne di nota. Tenuto conto dell'esistenza di un sep-pur debole filo che unisce il volontariato al mondo del lavoro risulta interessan-te, secondo gli intervistati, attribuire un valore economico al volontariato indivi-duando indicatori in grado di misurare i costi-opportunità. Per convenzione la let-teratura individua il tempo, ossia le ore di lavoro svolte dai volontari, come in-dicatore di misurazione. A partire dal monte ore è possibile stimare l'equivalen-te di tale impegno in termini di lavoratori a tempo pieno. Su questa linea si stan-no muovendo, ad esempio, alcuni progetti di ricerca promossi da Ilo (Interna-tional labour office) e dalla "Johns Hopkins" University.
Dai dati del censimento a nostra disposizione è possibile avanzare in propo- sito alcune caute ipotesi. Il censimento 2008 ha stimato che mediamente le Odvmarchigiane iscritte richiedono ai volontari un impegno settimanale di 5 ore. Sedunque consideriamo 20 ore come media mensile di impegno richiesto e mol-tiplichiamo questo numero di ore per il numero di volontari presenti nelle Odv LA FUNZIONE ECONOMICA DEL VOLONTARIATO iscritte al Registro regionale del volontariato (31.575), otteniamo che ogni mesevengono richieste ai volontari delle associazioni iscritte circa 631.500 ore di la-voro. Considerando che l'Ocse per il 2001 indica un ammontare di 134 ore me-die al mese di lavoro, si può ritenere che le ore mensili richieste ai volontari del-le associazioni iscritte al Registro regionale del volontariato sia pari all'impegnodi 4.712 lavoratori a tempo pieno.
Lo stesso calcolo, effettuato sulle Odv non iscritte al Registro regionale del vo- lontariato per le quali è stata stimata una richiesta media di 4 ore settimanali, por-ta a ritenere che le ore di lavoro mensili svolte dai volontari di tali organizzazio-ni corrispondono all'impegno di 601 lavoratori a tempo pieno.
Concludendo, pur con le opportune cautele, possiamo affermare che le Odv marchigiane nel loro lavoro muovono un impegno mensile pari a quello di 5.313lavoratori a tempo pieno.
4.4 "Se il volontariato fosse un lavoro…": il punto di vista dei volontari
Sul tema del volontariato come attività lavorativa sono stati sollecitati anche i volontari intervistati nel corso dei focus group. In parte i volontari riprendono considerazioni espresse dagli stakeholders: l'at- tività di volontariato è impegnativa, richiede tempo ed essere volontari è un eser-cizio di responsabilità sociale. I volontari avvertono di essere i protagonisti di un passaggio culturale che, se non ha intaccato l'idea della solidarietà ha però modificato le pratiche: "Fino a quando i gruppi vincenziani erano fatti per far ritrovare le vecchiesignore era un conto ma oggi noi abbiamo a che fare con problemi anchecomplessi, in questi giorni ci siamo occupati di una ragazza madre che ve-niva dalla strada … problemi anche difficili da affrontare. Noi ci siamo do-vute confrontare con cose nuove, dalla legge sulla privacy alla bioetica e poila questione immigrazione: spesso abbiamo a che fare con immigrati e quin-di dobbiamo sapere cosa fare e come fare" (fg volontari - San Benedetto delTronto).
Tornano nelle affermazioni dei volontari l'importanza della formazione e la differenza tra volontariato ed attività remunerata. La formazione, soprattutto quel-la di base, è un sostegno per il volontario nei momenti di crisi, quando si sta percedere e in questo senso la formazione contribuisce a prevenire il fenomeno delburn-out. Particolarmente interessanti sono anche le posizioni espresse rispetto al con- fine tra volontariato e lavoro. A differenza di quanto emerso dalle interviste congli stakeholders, per i quali la linea di confine tra i due ambiti era segnata dallaremunerazione, i volontari spostano il confine sulla questione tempo. Fare vo-lontariato richiede tempo ma soprattutto richiede che il volontario scelga di de- dicare o donare il proprio tempo. Si tratta di un tempo scelto, non obbligato maliberato; inoltre si tratta di un tempo elastico, non fisso. Infine si tratta di un tem-po imprevedibile: "La peculiarità è che non venga considerato come un impegno fisso, un la-voro fisso … il tempo deve essere una questione di qualità: come tu lo fai. Lofai perché te lo senti" (fg volontari - Ascoli Piceno) "poi la questione degli orari nel volontariato, ognuno dedica quello che può,il tempo lasciato libero dal lavoro o dallo studio ma comunque la scelta è to-tale" (Ff volontari - Fermo) "e poi rispetto al tempo non può essere approssimativo ma può essere elasti-co e magari anche con turni a seconda del settore di lavoro" (fg volontari -Ascoli Piceno) "l'orario poi non esiste: h24. L'evento è imprevedibile può capitare in ogniora della giornata e tu devi essere ogni volta pronto. E comunque è volon-tariato, non sei obbligato, ma devi essere sempre disponibile" (fg volontari -Fermo).
Fare volontariato è un'attività impegnativa che coinvolge l'individuo a 360 gra- di. Si è volontari sempre, per tutto il corso della propria vita ma soprattutto si èvolontari in ogni momento e non solo dentro l'Odv: "Anche sul lavoro sono volontaria. Mi porto dietro questa motivazione, un po'perché lavoro nel sociale e un po' perché ci metto del mio nella disponibili-tà all'ascolto, all'accoglienza. E soprattutto non dobbiamo mai dimenticareche dietro la nostra motivazione c'è anche un sano egoismo: lo facciamo per-ché vediamo che l'altro ci sta dando, ci sta aiutando a completare la nostraidentità. Altrimenti sarebbe una contraddizione: in associazione faccio la vo-lontaria e poi sul lavoro la burocrate" (fg volontari - Fermo).
Questa continuità nulla toglie allo sguardo che il volontario è in grado di por- re sui bisogni e sui problemi sociali. Un esempio in tal senso riguarda la praticadell'affidamento temporaneo. La disponibilità mostrata dalle famiglie affidatarieesula, secondo i volontari, da considerazioni strettamente economiche. Si scegliedi diventare famiglia affidataria mossi dall'obiettivo del bene del bambino laddovequesta motivazione, nell'operato dei servizi, ben si sposa con considerazioni re-lative al risparmio economico ottenuto: "Noi come associazione stiamo facendo un progetto sull'affido insieme al-l'ambito. L'affido parte da due motivazioni diverse, da una parte chi solle-cita l'iniziativa e dall'altra i volontari che si mettono a servizio. La differenzaè sul risparmiare, perché un bambino in una casa costa, in famiglia costamolto meno. Io come volontario mi muovo comunque nell'obiettivo del bene LA FUNZIONE ECONOMICA DEL VOLONTARIATO del bambino poi, se si può risparmiare è un bene, ma non è quella la miapreoccupazione. Il volontario è su una linea diversa rispetto alla mentalitàdell'operatore. Chi si mette nell'ottica di mettere a soqquadro la propria fa-miglia per accogliere un bambino, che ha una sua storia né bella né bruttama sicuramente diversa; chi accetta di relazionarsi con genitori a cui è sta-to tolto il figlio; chi, comunque deve rapportarsi con le istituzioni pubblichee sociali come può pensare ai soldi! Certo, anche nella nostra associazioneci sono dei professionisti, ma hanno un orario; per noi, come volontari è sen-za orario: io apro bottega quando tu hai bisogno" (fg volontari - San Bene-detto del Tronto).
Un ultimo aspetto emerso dai focus group con i volontari è quello che riguarda il finanziamento alle Odv. I volontari sono consapevoli della necessità di riceverefinanziamenti per poter gestire le spese interne alle Odv e anche per poter ga-rantire la propria attività. In alcuni casi ai finanziamenti esterni si aggiungono do-nazioni, raccolte fondi ed autotassazione: "Non dimentichiamoci che la sopravvivenza delle Odv è legata economica-mente alle convenzioni e queste devono essere garantite da servizi profes-sionalmente corretti. Io non so se esiste una Odv che vive solo di contributi"(fg volontari - Fermo) "noi comunque cerchiamo di sostenerci con la tessera annuale e poi le ini-ziative. Domenica prossima facciamo la ‘Festa del dolce' e lì faremo una rac-colta fondi" (fg volontari - Fermo) "anche i budget sono ridotti; noi come associazione caritativa abbiamoun'autotassazione e poi il nostro giornalino, le iniziative, le raccolte fon-di… qualche volta abbiamo avuto donazione anche da banche e donazionianonime e da lì partiamo e ci allarghiamo" (fg volontari - San Benedettodel Tronto).
Le considerazioni espresse dai volontari spostano nuovamente lo sguardo su valutazioni non esclusivamente economiche. I finanziamenti alle Odv sono unanecessità; servono alle Odv. Le considerazioni espresse dagli stakeholder e dai volontari in merito alla mi- surazione del valore economico del volontariato segnano un primo passo nellacostruzione di un linguaggio comune e di indicatori in grado di raggiungere que-sto obiettivo. In seguito occorrerà osservare cosa accade dentro le singole orga-nizzazioni, in che modo da un lato viene promossa la dialettica tra salvaguardiadell'identità organizzativa e costruzione di istanze di collaborazione con le altrecomponenti del sistema di welfare, dall'altro in che modo il lavoro dei volonta-ri può essere opportunamente valorizzato. Capitolo 5
5.1 Il ricambio generazionale
Il tema del ricambio generazionale e quello della crisi di partecipazione van- no presi molto seriamente. Le ricerche più recenti sono concordi nel ritenere che il volontariato non rie- sce a coinvolgere i giovani. Le motivazioni principali, a detta dei volontari, stan-no nel fatto che la scuola non promuove la partecipazione a esperienze di gra-tuità e che i giovani sono indifferenti o rassegnati di fronte alle scelte politiche.
Inoltre, la precarietà del lavoro è un fattore che non facilita forme di volontaria-to continuativo (Fondazione Zancan, 2009).
Un primo aspetto da tenere in considerazione è dunque quello dell'identità e di come questa si costruisca per i più giovani anche a partire dall'esperienzadel fare volontariato. Oggi uno dei discorsi più ricorrenti sui ragazzi e sui giovani è quello delle "iden- tità fragili". Costruirsi un'identità, diventare donne e uomini con una buona sti-ma di se stessi e in grado di contribuire, di dare il proprio apporto al benesserecollettivo e all'interesse generale non è mai stato facile. Soprattutto i giovani con-temporanei si trovano però nella situazione di definire la propria identità da soli,di fronte a proposte diverse, divergenti, in una sorta di complessità ingoverna-bile delle varie proposte culturali. Questo per molti significa fare scelte legate al-l'immediatezza del quotidiano, cercando più di barcamenarsi con vari espedientinelle difficoltà, che non di formarsi un percorso di vita, costruirsi un progetto sucui spendere la propria vita. L'esperienza di volontariato e la riflessione su di essa rappresentano una stra- ordinaria opportunità per realizzare concretamente e con entusiasmo esperienzee crescita sui temi della cittadinanza, della partecipazione, della responsabilità DOVE VA IL VOLONTARIATO dei singoli e delle comunità, della solidarietà, del bene comune. Queste espe-rienze rappresentano una concreta e significativa "scuola" per apprendere nonsolo teoricamente questi concetti, per dare corpo, entusiasmo e contenuti ai con-cetti di comunità, interesse generale, regole condivise. Cittadinanza e parteci-pazione civica oggi si apprendono anche con le esperienze di volontariato, vi-vendo questi valori.
Curiosamente si è spesso ritenuto che il volontariato si basasse per lo più sul- l'impegno di persone ormai in pensione o alla ricerca di un'attività, magari nontroppo costrittiva, che desse loro l'opportunità di sentirsi ancora utili. Un'idea to-talmente superata stando a quanto emerge da una ricerca effettuata dal Diparti-mento per gli Affari Sociali qualche tempo fa su un campione di 1600 giovani trai 15 e i 29 anni: sono tantissimi, addirittura uno su sette, quelli che fanno volon-tariato ed il 60% di essi continua il suo impegno oltre il primo anno. Dalla ricer-ca emerge che il settore socio-sanitario è quello che esercita la maggior attrazione:ben il 48% degli intervistati s'impegna nell'assistenza sociale, il 32% in quella sa-nitaria mentre il 18% pratica attività educative. Per molti l'esperienza del volon-tariato è in continuità con l'esperienza di solidarietà vissuta in parrocchia, Acr, Scout.
Questi dati a livello nazionale sono confermati da una ricerca condotta dal Csv dal titolo "Giovani e Volontariato nelle Marche". Secondo quanto emerso dallaricerca, circa il 14% degli studenti di scuola media superiore nelle Marche ha svol-to attività volontaria almeno una volta. L'aspetto interessante è che sulla parte-cipazione non sembrano incidere significativamente né variabili strutturali (il ses-so o l'età) né variabili culturali (il tipo di scuola frequentata o l'orientamento re-ligioso). Questo significa che il volontariato è un comportamento trasversale checoinvolge ed attrae tutti. L'altra caratteristica è quella che tecnicamente chiamiamola "pluriappartenenza". Con questo termine ci si riferisce, nell'analisi della par-tecipazione al volontariato, al fenomeno diffuso del far parte contemporaneamentedi più Odv e/o associazioni. Tra i ragazzi la partecipazione ad una Odv avvienecontemporaneamente con l'impegno in associazioni sportive o in parrocchia. Pos-siamo quindi parlare di pluriappartenenza. Un'immagine ricorrente del volontariato, associata alle caratteristiche di gra- tuità e di aiuto, è quella del dono. Fare volontariato è un modo da parte di alcu-ni per donare le proprie energie ed il proprio tempo, per attivarsi nell'affronta-re e magari risolvere i problemi di altri che sono in stato di bisogno. Esiste infattiun legame, riscontrato anche nell'indagine marchigiana, tra attività di volontariatoed atteggiamenti solidali.
Dunque molti ragazzi e ragazze si avvicinano al volontariato spinti da una for- te motivazione alla solidarietà, al volersi sentire utili, al voler far crescere la pro-pria autostima; e non manca la voglia di fare volontariato per condividere mo-menti insieme agli altri, agli amici e a quelli che potranno diventarlo. L'esperienzadi volontariato rappresenta un momento di crescita e in effetti molte Odv sem-brano funzionare da laboratorio per la formazione di competenze conoscitive erelazionali. Far parte di una Odv significa impegnarsi in attività dirette verso l'uten- za ed assumersi responsabilità anche in merito alla gestione dell'organizzazionestessa. Per altri sembra più difficile riuscire a spendersi in questa attività, maga-ri perché non è sempre facile conciliare con altri impegni, o perché si sono avu-te esperienze pregresse che hanno lasciato un segno negativo o più semplice-mente perché non si sa bene come fare e a chi rivolgersi.
I canali che introducono al variegato mondo del volontariato sono moltepli- ci, non ultimo il controverso anno di Servizio civile nazionale (Scn). Per molti de-gli addetti ai lavori il Scn si differenzia profondamente dall'esperienza del vo-lontariato, a partire dalle motivazioni sottostanti questa scelta, poco riconduci-bili agli aspetti valoriali tradizionalmente riscontrati a fondamento della scelta deivolontari. Nell'esperienza del Scn si rendono piuttosto manifeste motivazioni legate ai percorsi formativi in vista del proprio futuro e motivazioni strettamente strumentalicome la remunerazione. Molti sono i ragazzi che approcciano il Scn senza mo-tivazioni valoriali forti alle spalle. Alcune recenti ricerche mostrano però che lemotivazioni sono frutto di processi decisionali articolati: pur partendo da livellidi coinvolgimento valoriale molto bassi, l'anno di servizio civile comporta per chilo sceglie il dover fare i conti con alcuni dei valori fondanti delle organizzazionipresso le quali si opera e dunque i ragazzi hanno occasione di maturare una sen-sibilità sociale durante l'esperienza di servizio. Piuttosto ricorrenti sono le aspettative rispetto alla formazione che spesso sot- tintendono la scelta del Scn come risposta alla crisi occupazionale. Molti ragaz-zi hanno l'aspettativa di venir assunti o di aver instaurato con l'ente un rappor-to di lavoro che dà luogo a diritti/doveri. In questo senso è importante lanciaremessaggi chiari e non dar luogo a logiche di scambio improprie. Infine l'aspet-to della remunerazione diretta ed indiretta (acquisizione di crediti) è il nodo for-se più delicato specie in mancanza da parte dell'ente di un progetto (piano or-ganizzativo) e di una visione politica.
Laddove esiste, la remunerazione dà luogo ad una visione dinamica e pro- cessuale dell'esperienza. Il rapporto volontariato lavoro continua ad esisterema non in una (mancata) logica di causa - effetto bensì in modo mediato. Lavalenza del Scn è quella di permettere ai ragazzi di conoscere un settore, for-marsi e tutto questo serve nell'immediato per avere un reddito accettabile eper fare qualcosa di utile e in prospettiva per approcciare un'opportunità dilavoro. Si opera dunque un capovolgimento: la remunerazione diviene il tra-mite per la riscoperta di un mondo altrimenti lontano. La remunerazione in po-sitivo garantisce l'indipendenza e l'autonomia nell'avvicinarsi al mondo del-la solidarietà. L'esperienza poi ha un impatto significativo di socializzazionealla solidarietà ed alla partecipazione; rendendo secondario l'aspetto remu-nerativo. È stato chiesto agli intervistati se, secondo loro, il volontariato continua ad es- sere una scuola di formazione per i più giovani. In linea generale si riconosce lavalenza educativa dell'esperienza di volontariato: DOVE VA IL VOLONTARIATO "Il volontariato non è solo dare te stesso, ma anche stare a contatto con glialtri, socializzare i problemi e le risposte. Questa è una grande scuola di vita"(assessore regionale).
L'esperienza del volontariato rappresenta una scuola di formazione che met- te a contatto con la realtà, anche con la realtà della sofferenza di fronte ad unasocietà sempre più patinata. Questo apre gli occhi sulle necessità altrui e formaad un atteggiamento altruista.
Rispetto alla politica ed ai partiti, il volontariato intercetta la popolazione più giovane e, secondo alcuni, l'agire altruistico è ciò che caratterizza il cittadino de-mocratico: "Il volontariato intercetta giovani più dei partiti e più delle associazioni dipromozione sociale… il volontariato internazionale,e certe forme di volon-tariato, ma credo che anche il volontariato sia in difficoltà con i giovani" (Ter-zo Settore) "è l'unica palestra penso civica che esiste oggi perché la politica non è più…non è più questa palestra di educazione civile e di responsabilità, che una vol-ta in qualche maniera aiutava i giovani anche a esprimersi" (Terzo Settore) "penso anche che per le nuove generazioni non esiste solo il pubblico o il pri-vato, esiste anche il Terzo Settore e fino a quando non lo capiscono non sa-ranno cittadini democratici responsabili" (fondazioni bancarie).
È soprattutto all'interno del Terzo Settore che è possibile rintracciare questa rappresentazione del volontariato come scuola di vita e di cittadinanza. 5.2 Il Csv
I Centri di servizio per il volontariato (Csv) in Italia nascono e si sviluppano a partire dalle indicazioni contenute nella legge 266/91 "Legge quadro sul vo-lontariato". Tale legge all'art. 15 prevede che, per il tramite degli enti locali e at-traverso modalità di finanziamento da parte delle fondazioni di origine bancaria,vengano istituiti nel nostro paese Centri di servizio a disposizione delle orga-nizzazioni di volontariato e da queste gestiti. Scopo dei Csv è quello di sostene-re e qualificare l'attività delle organizzazioni sul territorio. A tal fine, l'art.4 del De-creto del Ministero del Tesoro dell'8 ottobre 1997 stabilisce che i Csv: • approntano strumenti e iniziative per la crescita della cultura della solida- rietà, la promozione di nuove iniziative di volontariato e il rafforzamento diquelle esistenti; • offrono consulenza e assistenza qualificata nonché strumenti per la pro- gettazione, l'avvio e la realizzazione di specifiche attività; • assumono iniziative di formazione e qualificazione nei confronti degli ade- renti ad organizzazioni di volontariato; • offrono informazioni, notizie, documentazione e dati sulle attività di vo- lontariato locale e nazionale. Di fatto, il lavoro svolto dai Csv è molto ampio ed articolato. L'individuazio- ne dei compiti attributi ai Csv dal decreto ministeriale non esaurisce la moltepli-cità delle attività svolte e orientate alla diffusione e crescita qualitativa delle atti-vità di volontariato attraverso il supporto, la consulenza e l'assistenza alle orga-nizzazioni. I Csv nascono e indirizzano la loro attività al supporto del volonta-riato favorendone il processo di regolamentazione e formalizzazione. Oltre a ciòil decreto individua come compito dei Csv quello di promuovere il volontariatoe la cultura della solidarietà. Come è stato notato, questo è uno dei compiti piùdifficili per i centri in quanto "non direttamente interpretabile in servizi di baseda mettere a disposizione attraverso l'individuazione di consulenti, operatori, at-tività informative e formative" (Granelli, 2001). Laddove il volontariato è un'esperienza di conoscenza della realtà, spesso quel- la più nascosta, i Csv rappresentano "forme e percorsi dove il volontariato, in coo-perazione con i propri interlocutori, diviene soggetto del proprio sviluppo", comerichiesto dalle più recenti normative (Catarci, 2007). Gli intervistati mostrano di apprezzare alcune iniziative in particolare realiz- zate dal Csv, quali i progetti con le scuole, la capacità di costruire reti e l'atten-zione per la formazione.
Il Csv è conosciuto inoltre per l'attività degli sportelli che erogano supporto, servizi ed accompagnamento alle Odv: "Il primo è quello di fornire servizi al volontariato e su questo credo che sia-no arrivati abbastanza al top nel senso che ormai… insomma, erogano mol-ti servizi, quindi le associazioni di volontariato sono supportate in modo im-portante dal Csv. Ecco adesso, no? c'è il futuro, bisogna vedere se limitarsi aquesto, oppure se fare dell'altro, ma qui il dibattito è aperto" (coordinatoreambito).
Come anticipato da questo coordinatore d'ambito l'orizzonte del Csv contie- ne il tema della rappresentanza; aspetto quanto mai delicato, come sottolinea-no gli stessi intervistati: "Un ruolo delicato: deve sostenere e allo stesso tempo non essere direttivo; la-vorare sulla concertazione cercando di far maturare i concetti del senso delservizio, della motivazione" (coordinatore ambito) "devono essere capaci di mantenere le distinte identità delle tante tante asso-ciazioni, però facendone un corpo unico quando è necessario, raccordandole,fornendo delle interfaccia capaci poi di dialogare con tutti" (coordinatoreambito).
DOVE VA IL VOLONTARIATO Rispetto a questo orizzonte le voci critiche sono limitate:"I gruppi di volontariato non possono scendere in piazza una volta all'an-no quando il Csv gli fa lo… come si chiama, lo stand per… per la festa delvolontariato… il volontariato ha questo ruolo, diciamo, un po' più profeti-co, culturale che deve portare avanti" (coordinatore ambito).
È significativo tuttavia che le critiche mosse al ruolo di rappresentanza del Csv provengano da uno dei coordinatori d'ambito.
5.3 Il futuro del volontariato nelle Marche
A conclusione dell'intervista è stato chiesto agli stakeholders di individuare i limiti e le potenzialità future del volontariato nelle Marche.
Dall'esperienza dei diversi intervistati il volontariato soffre in prima battuta di un atteggiamento e di un modo di operare ancora fortemente autoreferenziali: "A volte ecco si fa un po' difficoltà a mettersi in relazione, cercare di condi-videre, comunque un percorso che andrebbe condiviso insomma, anche nel-la gestione dei singoli casi, nella gestione delle singole esperienze, poi ecco farein modo che le esperienze diventino patrimonio comune, e questo è un altroaspetto che spesso si fa difficoltà" (direttore sanitario) "tendenza all'autoreferenzialità. A volte l'incapacità di interloquire con l'isti-tuzione perché non si riesce a capire anche il punto di vista diverso dell'isti-tuzione, un po' è figlia della prima, dell'autoreferenzialità…" (direttore sa-nitario).
L'autoreferenzialità come atteggiamento di chiusura del volontariato viene ri- levata soprattutto dalle istituzioni sanitarie mentre il resto degli intervistati sottolineala notevole frammentazione di questo settore: "Ci sono organizzazioni talmente ben organizzate, che esistono da tanti annie che quindi hanno un forte radicamento nel territorio e se si riesce ad in-staurare un buon rapporto con loro si riesce ad avere un lavoro che nel tem-po si mantiene. Ma il grosso limite è quello della discontinuità dell'opera equindi a volte c'è una frammentarietà del servizio che in qualche modo met-te in difficoltà" (assessore provinciale).
La frammentazione, come ricorda questo docente universitario è anche quel- la territoriale tra la fascia costiera ricca di iniziative ed esperienze e l'entroterrache fatica: "Per le Marche un altro limite è quello che viene dalla distribuzione e dallaconformazione abitativa, dalla differenza tra la costa e la zona più inter- na dove è più difficile la formazione: un corso di formazione parte se c'è unnumero minimo di volontari e se li fanno a Fano probabilmente il numerodi volontari minimo si raggiunge più facilmente che se lo fanno a Serrape-trona" (docente universitario).
La frammentazione da quantitativa e geografica acquista tratti qualitativi che impattano sulla capacità stessa di operare da parte delle Odv. Nello scenario di aumento di problematiche sociali quali quella della pover- tà e di aumento delle fasce deboli della popolazione la frammentazione del vo-lontariato acuisce i livelli di disuguaglianza.
DOVE VA IL VOLONTARIATO Le recenti riforme legislative e le modalità di riorganizzazione delle politi- che di welfare hanno attribuito un ruolo attivo e di forte coinvolgimento al Ter-zo Settore. Il recente scenario che caratterizza le politiche di welfare è quellodominato dal sistema del welfare mix basato sull'interdipendenza tra diversi at-tori nella costruzione dello stato di benessere. Istituzioni pubbliche, mercato,Terzo Settore e famiglia forniscono prestazioni di servizio in una cornice di mol-teplicità. Nella costruzione del welfare mix sono infatti importanti i rapporti diinterazione e negoziazione tra i diversi attori e all'interno di questi, tra le diversecomponenti. La regolazione dei rapporti tra istituzioni pubbliche e Terzo Settore rientra nel principio di sussidiarietà sancito dalla legge 328. Il principio di sussidiarietà tro-va attuazione nel processo di esternalizzazione, in base al quale l'ente pubblicodelega a soggetti privati la funzione di produzione dei servizi. Attraverso il prin-cipio di sussidiarietà, si crea uno spazio politico entro il quale l'ente locale assumeil ruolo di propulsore e regolatore di politiche ed azioni sociali; inoltre preservail ruolo di garante nei confronti dei cittadini rispetto alle prestazioni attivate in con-venzione con altri attori che, in tal modo, devono rispondere a precisi requisitidi accreditamento.
Sul piano operativo, lo strumento individuato per la costruzione del welfa- re mix è quello del piano di zona in cui si dovrebbe rendere operativa l'inte-grazione tra ente locale, Asl e Terzo Settore. Sul tavolo dei piani di zona il Ter-zo Settore si siede quale soggetto in grado di intercettare i bisogni e dunque le-gittimato ad un ruolo attivo di partecipazione nella programmazione e gestio-ne degli interventi. All'interno di questa funzione le diverse componenti inte-ragiscono, in modo talvolta anche conflittuale, si integrano e definiscono la pro-pria identità. In un contesto di pluralismo, al volontariato si attribuisce una funzione co- noscitiva, di rilevazione dei bisogni sociali. Tale compito ridisegna l'identità del-le Odv e dei volontari. Le rilevazioni sul territorio nazionale realizzate da Istat e da altri concordano nel ricollegare l'aumento quantitativo delle Odv avvenuto negli ultimi 10 anni conun aumento della domanda di cura legata all'emergere di nuovi bisogni sociali.
Tradizionalmente l'Italia risente di una forte carenza nei servizi di cura legata alimiti finanziari nella spesa e difficoltà organizzative, ma anche a resistenze nel-la delega, da parte delle famiglie, degli obblighi di cura (Malucelli, 2007). Dal pun-to di vista organizzativo, l'assistenza e la cura nel nostro paese hanno per lungotempo risentito della "prova dei mezzi", logica estranea all'universalismo su cuisi è basata invece l'estensione progressiva dei programmi assicurativi e dei sistemisanitari nazionali (Ranci, 2003). Ciò ha collocato l'Italia in una posizione di for-te ritardo rispetto ad altri paesi europei (Cima, Barbetta, 2003). Come ipotizzatoda recenti studi, a partire dall'approvazione della legge quadro 328 e dall'avviodi processi di decentramento in base al principio di sussidiarietà, si sta delineandoanche per l'Italia un processo di riforma delle politiche sociali caratterizzato daun aumento delle competenze e delle responsabilità dei diversi soggetti del ter-ritorio (Kazepov, 2009). Parte del ritardo accumulato, secondo questa chiave dilettura, è stato colmato dall'aumento quantitativo e qualitativo della presenza del-la società civile. Quanto avvenuto in Italia non si distanzierebbe troppo da quan-to avvenuto in altri paesi come la Francia. Anche qui la crescita delle organizza-zioni della società civile, comprese quelle di volontariato rientra in un processodi decentralizzazione delle politiche pubbliche volte alla cura ed assistenza. Ri-percorrendo le origini sociali del volontariato, Archambault (2001) sostiene che,a partire da un atteggiamento di ostilità e di scarso riconoscimento da parte del-le istituzioni politiche, le organizzazioni della società civile abbiano acquisito unasempre maggiore importanza fino ad essere oggi considerate partner nella pia-nificazione, progettazione ed implementazione delle politiche sociali. In questosenso le organizzazioni della società civile rappresentano, secondo la studiosa,gli interessi degli strati più poveri della popolazione e svolgono un'efficace azio-ne di contrasto ai fenomeni di esclusione sociale. L'importanza e il valore attribuiti al lavoro svolto dalle organizzazioni del vo- lontariato da parte della società può considerarsi una risposta alla crisi di legitti-mazione dello stato e delle istituzioni in generale (Habermas, 1975). Il funzio-namento della sfera pubblica attraverso la messa in gioco della società civile equindi delle Odv è garantito dal mutuo orientamento alla pratica, dall'impegnopersonale e concreto piuttosto che dalla riproposizione di posizioni ideologiche.
La scelta di svolgere attività di volontariato è legata a motivazioni ed idealità, maè sempre più l'esito di un processo riflessivo in cui l'individuo valuta il livello diprossimità fisica e relazionale rispetto al problema o bisogno di cui intende pren-dersi cura; inoltre è oggetto di riflessione anche la modalità di attivazione, comesingolo o in gruppi e associazioni. Soprattutto nell'ambito degli studi anglosas- soni ed americani, i ricercatori arrivano a tracciare una vera e propria linea di con-fine tra l'impegno volontario e quello altruistico. Laddove il volontariato rifletteil coinvolgimento diretto nella società civile, l'altruismo è legato piuttosto a risorsepersonali, alla capacità di esercitare la propria responsabilità come individui neiconfronti di questioni di interesse pubblico (Jones, 2006). In questo dibattito, come è stato evidenziato, diviene importante ricostruire l'habitus del volontariato ossia analizzare le pratiche, le dimensioni, i concetti egli ambiti che possono far parte dello spazio sociale condiviso dalle associazio-ni e contemporaneamente porsi il problema della valutazione delle potenzialitàdistintive, del gusto del volontariato (Volterrani, Tola, Binotti, 2009). La dimen-sione associativa, l'altruismo e l'impegno in forme non utilitaristiche di parteci-pazione sociale sono solo alcune delle caratteristiche di quel capitale o habitusche facilita l'azione collettiva, trasformando relazioni basate sulla contingenza deibisogni in relazioni che implicano obbligazioni durevoli, soggettivamente per-cepite (Brown, Ferris, 2007). A partire da queste caratteristiche le Odv si spen-dono e apportano il loro contributo. Su questo contributo, sul valore economico e sociale attribuibile e sulle mo- dalità di misurarlo si sono interrogati gli stakeholder e i volontari intervistati nelcorso della ricerca.
Dal punto di vista della configurazione del sistema di welfare regionale, gli in- tervistati collocano il volontariato nella logica di sussidiarietà orizzontale. Soprattuttodai coordinatori d'ambito il lavoro svolto dalle Odv viene letto come ricerca, pun-golo e segnalazione di problemi e bisogni della popolazione. A partire da que-sto lavoro sul territorio le Odv introducono un elemento di umanizzazione nel-l'organizzazione del sistema di welfare. Sul piano della regolazione dei rapporti tra Odv e istituzioni pubbliche, la sti- pula di accordi continua ad essere la via privilegiata per avviare forme di colla-borazione tra le varie istituzioni. Le Odv, secondo quanto emerso dai dati del cen-simento regionale, hanno accordi formali soprattutto con gli enti locali e con leAsl e, con questi stessi soggetti intrattengono rapporti e contatti anche in modoinformale. Una collaborazione stretta, sebbene meno frequentemente formaliz-zata, è anche quella con Province, Regione e scuole. I contatti con le istituzionipubbliche sono i più frequenti, ma non necessariamente quelli che meglio ri-spondono alle aspettative delle Odv; specie nel caso delle Asl la collaborazionerealizzata non sembra soddisfare pienamente mentre la rete costruita con altri sog-getti del Terzo Settore o con altre Odv sembra dar luogo a collaborazioni più sod-disfacenti, anche se più difficili da avviare e consolidare. Sul piano operativo infine, anche a livello regionale si avvertono le difficoltà legate ad una effettiva partecipazione delle Odv nei tavoli di lavoro. Queste dif-ficoltà vengono ricondotte principalmente al problema della conciliazione tra i tem-pi del volontariato e quelli delle istituzioni. Emergono anche in questa ricerca os-servazioni legate ai tempi di lavoro che risultano congestionati tra esigenze deglioperatori pubblici e quelle dei volontari. Gli intervistati osservano difficoltà sul pia- no operativo da parte delle Odv, ma anche sul piano culturale: le Odv faticano ariconoscersi nella funzione loro attribuita. È un po' come se le Odv dicessero: beneil miglioramento e l'acquisizione di nuove competenze, bene la formazione e lacapacità di lavorare per progetti, ma tutto questo non deve intaccare l'identità delvolontariato e le sue caratteristiche di solidarietà e gratuità. Questa posizione ri-levata dagli intervistati evidenzia un mutato atteggiamento da parte delle Odv, nonpiù preoccupate per l'eventuale marginalizzazione nel sistema di welfare, ma sem-mai per la possibilità di contaminazione. Le Odv sarebbero cioè coscienti di oc-cupare un posto nel sistema delle politiche di welfare, ma non disposte a perde-re per questo i propri tratti identitari. Ugualmente i volontari intervistati sottolineanol'importanza delle differenze che caratterizzano l'attività dei volontari, sia rispet-to agli operatori pubblici che alle altre realtà del Terzo Settore; mentre conven-gono sulla necessità di finanziamenti a supporto del lavoro svolto. Entrambi, stakeholder e volontari, riconoscono l'utilità del volontariato: esso è un mezzo, uno strumento che la società si è data per raggiungere obiettivi dibenessere ed equità; il volontariato è soprattutto una forma di impegno altruistico,un modo per dare il proprio contributo al benessere collettivo attraverso formegratuite di partecipazione. In questa chiave di lettura è dunque opportuno, secondo gli intervistati, pro- cedere ad una misurazione del valore anche economico dell'attività dei volon-tari. Laddove alle Odv si richiede un ruolo attivo nel sistema delle politiche è al-trettanto opportuno avere idea del lavoro, in termini di tempo, che queste ri-chiedono ai propri volontari al fine di svolgere le attività richieste. Questa misu-razione non rimanda la "qualità" del volontariato, ma è un primo passo.
1. Gli obiettivi della ricerca e la metodologia
La presente ricerca si pone come macro-obiettivo quello di acquisire elementi di conoscenza e analisi circa il valore sociale ed economico apportato dalle Odvmarchigiane. I cambiamenti in atto pongono la necessità per le Odv di afferma-re il proprio valore sociale ed economico sul territorio. La prospettiva adottata as-sume il volontariato come esperienza insieme individuale e collettiva, "qualco-sa di strettamente personale, ma anche di socialmente condiviso" (Ranci, 2006).
Individuare il valore economico e sociale del volontariato significa interrogarsisull'ambiguità di un agire altruistico che si pone come risposta a bisogni ma che,in quanto inserito nella più ampia categoria di terzo settore, è di fatto orientatoalla produzione di beni e servizi. Tenuto conto di ciò sono stati individuati tre sotto-obiettivi:
1. individuare in che modo le Odv marchigiane stanno affrontando le nuove
sfide di integrazione dei processi decisionali con le caratteristiche di gratuitàe di altruismo; 2. incrementare ed approfondire la conoscenza del volontariato e del suo va-
lore effettivo in capo a diversi attori sociali ed economici con i quali le Odvsi relazionano, ma anche con rappresentanti di "mondi distanti" (mondo pro-fit, ecc.). Si tratta in particolare di indagare le rappresentazioni che i diver-si attori hanno del volontariato e di capire quale valore sociale ed econo-mico attribuiscono al volontariato; 3. individuare il punto di vista dei volontari rispetto al tema dell'attribuzione
di un valore economico oltre che sociale alle attività di volontariato.
Attraverso la ricerca empirica si tenta di ricostruire parte della realtà nella con- sapevolezza della non oggettività di tale ricostruzione in quanto proveniente dal- APPENDICE METODOLOGICA le rappresentazioni e dall'esperienza dei soggetti e dalle successive interpretazio-ni dei ricercatori. Anche la forma di conoscenza quantitativa, formalizzata in modostatistico non può prescindere da decisioni e scelte il cui fondamento è extrastati-stico. Al contrario si obietta che i metodi qualitativi non possano produrre una for-malizzazione dei dati; semmai sono maggiori la complessità e più lunghi i tempiper la realizzazione di un simile obiettivo. I metodi applicati alla ricerca qualitati-va non sono di recente invenzione e hanno una lunga tradizione in varie discipli-ne accademiche. La differenza con i metodi quantitativi sta nel fatto che l'eviden-za, ossia i dati raccolti, non è in forma numerica e richiede un'analisi di tipo inter-pretativo piuttosto che statistico. Rientrano nel novero delle tecniche qualitative leprincipali forme di ricerca sul campo, l'osservazione partecipante, le indagini et-nografiche; tra le tecniche di ricerca quantitativa abbiamo le survey, la statistica, ecc. Data la complessità dell'oggetto di studio è stato utilizzato un processo di trian- golazione fra tecniche differenti quali l'intervista, il focus group e il questionario.
I dati che provengono dai questionari si riferiscono al censimento regionale rea-lizzato dalla Regione Marche in collaborazione con il Csv. 2. Gli strumenti
2.1 L'intervista L'intervista in profondità o semistrutturata consiste essenzialmente nel parla- re con le persone per cercare di ottenere il loro punto di vista sulle questioni chesi stanno indagando. Il punto di vista delle persone nell'intervista diventa cen-trale proprio in virtù del potere del linguaggio di portare alla luce i significati. L'in-tervista in definitiva è una conversazione con uno scopo preciso e in tal modoessa riproduce il processo di costruzione della realtà sociale che avviene nelle in-terazioni umane. Caratteristiche di un'intervista:
1. combina rigore e flessibilità: la traccia dovrebbe essere abbastanza flessi-
bile da permettere al ricercatore di affrontare gli argomenti nell'ordine chepreferisce, ma anche di seguire il flusso dei pensieri dell'intervistato; 2. è interattiva: il materiale è generato dall'interazione tra ricercatore e inter-
vistato. Solitamente si inizia con una domanda abbastanza generica che per-mette all'intervistato di parlare liberamente dell'argomento e solitamentel'intervista procede secondo lo schema stimolo-risposta; 3. il ricercatore può usare probes o altre tecniche per ottenere una maggiore
profondità nell'esplorazione degli argomenti. Possono anche essere utilizzatedomande apposite per comprendere i significati che gli intervistati attri-buiscono a quel particolare fenomeno; 4. attraverso l'intervista si crea la conoscenza sul fenomeno.
L'intervista è dunque un'esperienza molto intensa, anche dal punto di vista fi-
sico: è l'incontro tra due persone in un contesto adatto a realizzare un'intervista APPENDICE METODOLOGICA che sia flessibile, interattiva e in grado di produrre una conoscenza sull'argomento,in cui i significati vengano esplorati in profondità. Esistono almeno due prospettive con cui condurre un'intervista. Quella del mi- natore, legata alla visione moderna della ricerca scientifica che vede la conoscenzacome data e quella del viaggiatore, legata al paradigma costruttivista in cui la co-noscenza piuttosto che data è costruita e negoziata. A questa ultima prospettivasi rifanno anche gli studi volti a sottolineare la dimensione riflessiva e interatti-va; ricercatore e intervistato non sono distaccati, ma collaborano nel processo dinegoziazione attraverso cui vengono costruiti la conoscenza ed il linguaggio. Il successo dell'intervista dipende molto dalle capacità professionali e perso- nali dell'intervistatore. La prima cosa su cui lavorare è la propria capacità di ascol-to: l'intervistatore deve essere in grado di ascoltare e rielaborare quello che vie-ne detto dall'intervistato per poter proseguire l'intervista. In secondo luogo bi-sogna avere le idee chiare ed essere veloci nelle scelte. Infine ,è importante ave-re una buona memoria e tenere a mente quello che viene detto dall'intervistatoper poterlo rielaborare e riutilizzare anche nel corso dell'intervista. In ogni caso l'intervistatore deve essere curioso; deve aver voglia di ascolta- re quello che dice l'intervistato. Per questo è molto importante che il ricercato-re costruisca un rapporto di fiducia con l'intervistato e questo si ottiene metten-do l'intervistato a proprio agio e creando un buon clima di conversazione. È ne-cessario dimostrare che si è veramente interessati a quello che l'intervistato po-trà dire, ma soprattutto è importante ricordare che talvolta si entra nella vita pri-vata della persone, fatta anche di difficoltà e di situazioni che l'intervistato po-trebbe non voler raccontare. Per questo bisogna creare un rapporto di aperturae fiducia che permetta all'intervistato di aprirsi. L'intervista non è il momento incui esporre le proprie conoscenze, più o meno scientifiche, sull'argomento, maè il momento dell'ascolto. Il lavoro di ascolto va preparato in modo accurato. Non vanno trascurati ne- anche gli aspetti più organizzativi legati alla gestione dei tempi dell'intervista edell'attrezzatura necessaria. È importante programmare bene i tempi calcolandonon solo la durata dell'intervista, ma anche il tempo necessario per raggiungereil luogo dell'intervista ed inoltre bisogna essere sicuri di avere l'attrezzatura chefunziona o in ogni caso di essere pronti a risolvere problemi quali pile scariche,ecc. Da ogni punto di vista l'intervista è un esercizio di concentrazione in cui sideve essere concentrati sull'intervistato. Raccogliere una serie di affermazioni nonsignifica aver condotto l'intervista: un'intervista ha bisogno dell'apporto e del coin-volgimento attivo di entrambe le parti.
Nel corso dell'intervista il ricercatore deve portare l'intervistato a compiere il passaggio dal piano della vita quotidiana a quello del focus sul fenomeno oggettodi indagine. Nella conduzione dell'intervista bisognerà cercare di mantenere de-sti l'interesse ed il coinvolgimento dell'intervistato. Tra ricercatore e intervistato va stipulato una sorta di contratto e per poter sta- bilire una buona relazione con l'intervistato occorre: APPENDICE METODOLOGICA • dimostrare interesse e attenzione: tenere gli occhi fissi sull'intervistato e tor- nare su quello che è stato detto magari per introdurre un altro argomento,serve a far capire che si è attenti; • stabilire che non ci sono risposte giuste o sbagliate: a noi interessa avere il loro punto di vista e su questo non ci sono risposte giuste o sbagliate; perquesto è bene evitare di correggere quello che viene detto o esprimere giu-dizi; • assumere un corretto atteggiamento anche nella postura: essere attenti al pro- prio e all'altrui timbro di voce, al movimento delle mani e del corpo da cuipotrebbero venire messaggi di stanchezza o di disagio. In quei casi è beneesplicitare, chiedere se la domanda crea disagio; • dare all'intervistato il tempo di rispondere: l'intervistato deve avere il tem- po di riflettere sulla domanda che gli viene posta e il silenzio non è neces-sariamente un segno negativo. Non bisogna avere fretta di passare alla do-manda successiva: non c'è un premio per chi finisce prima! Anzi, bisognaessere sicuri, prima di concludere l'intervista di avere affrontato tutti gli ar-gomenti contenuti nella traccia.
Nel corso dell'intervista occorre il più possibile non esporsi in un giudizio e soprattutto non dare nulla per scontato anzi, proprio quando si insinua questomeccanismo è bene trasformare le proprie "credenze" in domanda. Occorre inol-tre trattenersi dal sintetizzare la risposta ottenuta poiché l'obiettivo di un'intervistaè proprio quello di scendere in profondità e non soffermarsi al livello più su-perficiale.
Tenuto conto delle potenzialità dell'intervista qualitativa è stata costruita una traccia piuttosto articolata in cui gli intervistati sono stati sollecitati rispetto a mol-teplici aspetti.
• Formazione dell'intervistato e contatto con il mondo del volontariato: in questa sezione sono state poste domande circa il percorso di formazio-ne dell'intervistato, il lavoro attualmente svolto, i contenuti e le modalità dirapporto con le Odv.
• Le organizzazioni di volontariato: in questa sezione dell'intervista le domande erano volte ad indagare l'utili-tà e il valore sociale che gli intervistati attribuiscono al volontariato. Sonostate poste domande circa la presenza delle Odv nel sistema di welfare, illoro livello di strutturazione, la formalizzazione dei rapporti, il lavoro di rete.
• I volontari: l'obiettivo di questa parte dell'intervista è stato quello di cogliere le rap-presentazioni degli intervistati circa il ruolo svolto dai volontari. Le domandehanno riguardato il profilo dei volontari, la necessità di formazione, la pos-sibilità di coniugare attraverso l'attività di volontariato altruismo e profes- APPENDICE METODOLOGICA sionalità; infine è stato chiesto agli intervistati di valutare l'opportunità dimisurare, a partire dal lavoro dei volontari, il valore economico del vo-lontariato.
• Il percorso del volontariato: questa sezione dell'intervista si compone di domande volte a sollecitare lariflessione degli intervistati circa la funzione sociale ed economica del vo-lontariato. Attraverso l'utilizzo di domande di controllo è stato chiesto an-che di indicare l'opportunità di simili operazioni di misurazione.
• Problemi e punti di forza del volontariato: nell'ultima parte dell'intervista sono state poste domande relative al futurodel volontariato nella regione Marche. In particolare gli intervistati sono sta-ti sollecitati su aspetti quali: il ricambio generazionale e il rapporto tra Odve Csv.
2.2 Il focus groupLa tecnica del focus group e in generale dell'intervista di gruppo vengono uti- lizzate nella ricerca sociale quando si voglia giungere alla comprensione del fe-nomeno studiato piuttosto che ad una sua documentazione. I focus combinano elementi dell'intervista individuale e dell'osservazione par- tecipante collocandosi come tecnica tra le categorie delle interviste di gruppo, purcon una propria specificità: si caratterizzano, infatti, per l'esplicito uso dell'inte-razione di gruppo quale strumento per la produzione e la rilevazione di infor-mazioni riguardanti l'orientamento degli individui coinvolti, su specifiche tema-tiche, strutturate in uno schema che funge da traccia per la discussione. A parti-re da una esperienza comune gli individui vengono intervistati in gruppo da unintervistatore che ha studiato preventivamente l'evento in esame e che stimolae dirige la discussione in modo da far emergere le diverse interpretazioni, rea-zioni emotive, valutazioni critiche: si tratta di un dibattito focalizzato su un even-to preciso. I focus group sono pertanto un metodo per la raccolta di dati collettivi pro- dotti durante una discussione di gruppo focalizzata intorno ad alcuni temi, pre-determinati dal ricercatore, sui quali si vuole far emergere le motivazioni, le cre-denze, le percezioni degli intervistati. Le potenzialità della tecnica derivano, quindi, dalle capacità esplorative insi- te nella comunicazione interattiva, verbale e non dei piccoli gruppi. L'obiettivoperseguibile non è portare il gruppo verso l'assunzione di decisioni, né ricercarneil consenso su un argomento. I focus group enfatizzano l'obiettivo di tirare fuo-ri al massimo da ciascun partecipante le expertise e le opinioni su un argomen-to specifico, attraverso un confronto costruttivo.
Per molto tempo si è creduto che il focus group potesse solamente sollevare domande di ricerca, ma oggi possiamo affermare che esso può servire anche a APPENDICE METODOLOGICA rispondere a molte domande (Corrao, 2000; Morgan, 1988). Non è sempre ne-cessario che i risultati vengano convalidati da un'ulteriore indagine anche per-ché in molte ricerche l'obiettivo consiste nella descrizione e conoscenza parti-colareggiata di un fenomeno settoriale o localmente situato e dunque non si hainteresse per le generalizzazioni. Il focus group prevede la presenza di un moderatore che, appunto, moderi la L'approccio utilizzato dal moderatore è sicuramente determinante per la buo- na riuscita del focus. Spesso più che di regole di conduzione si è soliti parlare distili che i moderatori privilegiano perché più confacenti alla loro indole. In lineagenerale è possibile collocare l'approccio adottato dal moderatore lungo un con-tinuum che va da un approccio non direttivo, in cui il ruolo del moderatore è mol-to marginale (propone il tema e le regole di interazione lasciando che i parteci-panti discutano tra loro), ad un approccio direttivo in cui egli ha un notevole con-trollo sul contenuto della discussione e sulle dinamiche di gruppo. Spesso il ruo-lo del moderatore è limitato ovvero interviene per agevolare l'andamento delladiscussione o contrastare deviazioni dal tema e per equilibrare gli interventi. Il focus group è usato per ottenere determinati tipi di informazioni; questo si- gnifica che gli individui che sono invitati a partecipare devono essere in gradodi fornirle e, quindi, devono essere rappresentativi della popolazione che inte-ressa. Il reclutamento dei partecipanti è, quindi, uno dei punti maggiormente cri-tici e delicati della ricerca di focus group; la qualità della discussione dipende am-piamente anche dalla composizione del gruppo, dalle capacità del moderatoree dall'interazione che ne risulta: per questo "il ricercatore dovrebbe prendere inconsiderazione l'impatto della composizione del gruppo abbastanza presto, neldisegno delle fasi del progetto, e assicurare che i membri di quel determinato grup-po siano adatti agli scopi della ricerca"(Steward, Shamdasani, 1990).
La traccia utilizzata per i focus group si compone di quattro stimoli volti a fa- cilitare la discussione intorno ai temi di interesse. Il primo stimolo fornito si è basato su una sorta di gioco; è stato chiesto ai par- tecipanti: "Se il volontariato fosse un lavoro, che tipo di lavoro sarebbe?". A par-tire da questo stimolo la discussione è proseguita cercando di sollecitare i par-tecipanti su temi quali le motivazioni sottostanti la scelta di impegnarsi in attivi-tà di volontariato e la capacità di trovare un equilibrio tra impegno e prossimità. 3. I soggetti coinvolti: gli stakeholders e i volontari
Nell'individuazione dei soggetti da coinvolgere nella ricerca si è tenuto con- to di alcune considerazioni provenienti dalla letteratura. La teoria delle origini so-ciali e la letteratura di riferimento sottolineano infatti che il volontariato è tale inquanto inserito in una cornice di significazione. In considerazione di ciò, l'essenzadei servizi e delle prestazioni prodotte può essere compresa solo all'interno del APPENDICE METODOLOGICA circuito in cui si incontrano portatori di interessi, rappresentanti delle istituzio-ni, esponenti del terzo settore, volontari, ecc.
Pertanto, è sembrato opportuno coinvolgere nella ricerca non solo i volontari ma anche tutti quei soggetti che, a vario titolo si rapportano con il volontariato.
In particolare sono stati realizzati :
1. 10 focus group coinvolgendo volontari con l'obiettivo di costruire un per-
corso di riflessione all'interno del volontariato marchigiano rispetto al pro-prio ruolo e - prima ancora - alla propria identità. La realizzazione dei fo-cus ha tenuto conto dell'elemento della territorialità, coinvolgendo asso-ciazioni che fanno capo ai cinque sportelli del Csv presenti nella regione.
Per ogni sportello provinciale sono stati realizzati due fg cercando di coprireil territorio di riferimento; 2. 36 interviste semistrutturate volte a raccogliere le rappresentazioni e le opi-
nioni di stakeholder su tutto il territorio regionale. Le figure intervistate ri-sultano essere:- 10 coordinatori d'ambito;- 4 direttori di zona sanitaria territoriale;- 3 docenti universitari;- 2 rappresentanti del mondo imprenditoriale;- 7 rappresentanti del Terzo Settore;- 1 rappresentante delle fondazioni bancarie;- 4 assessori provinciali;- 3 assessori regionali;- 1 rappresentante del mondo cattolico;- 1 giornalista.
APPENDICE METODOLOGICA ACCORINTI M., Terzo Settore e welfare locale, Carocci, Roma, 2008 ANHEIER H.K., Il ruolo del settore non profit nel rafforzamento della coesione sociale: tenden- ze e scenari, in "Sociologia e Politiche Sociali", vol. 11, n. 2, 2008, pp. 111-126 ANHEIER H., KENDALL J. (2002), Interpersonal trust and voluntary associations: examining three approaches, in "British Journal of Sociology", vol.53, n.3, September, pp. 343-362 ARCHAMBAULT E., Historical Roots of the Nonprofit Sector in France, in "Nonprofit and Volun- tary Sector Quarterly", vol.30, n.204, 2001 ASCOLI U., RANCI C. (a cura di), Il welfare mix in Europa, Carocci, Roma, 2003 ASCOLI U., PAVOLINI E., RANCI C., La nuova partnership: I mutamenti nel rapporto fra stato e or- ganizzazioni del terzo settore in Italia, in Ascoli U., Ranci C. (a cura di), Il welfare mix in Eu- ropa, Carocci, Roma, 2003 ASCOLI U., RANCI C., Mutamenti nel welfare mix: il percorso dell'Europa, in Ascoli U., Ranci C.
(a cura di), Il welfare mix in Europa, Carocci, Roma, 2003 ASCOLI U., PAVOLINI E., Il terzo settore in provincia di Arezzo: economia, occupazione e coesione sociale, Franco Angeli, Milano, 2005 BAGNASCO A., PISELLI F., PIZZORNO A., TRIGILIA C., Il capitale sociale, Il Mulino, Bologna 2001 BARAZZETTI D., Doppia presenza e lavoro di cura. Interrogativi su alcune categorie interpretati- ve, in "Quaderni di Sociologia", n.40, 2006 BARBETTA G.P., CIMA S., ZAMARO N. (a cura di), Le istituzioni non profit in Italia, Il Mulino, Bolo- BARBETTA G.P., CIMA S., ZAMARO N., Introduzione, in Barbetta G.P., Cima S., Zamaro N. (a cura di), Le istituzioni non profit in Italia, Il Mulino, Bologna, 2003 BARBETTA G.P., CIMA S., Il settore non profit italiano in prospettiva comparata, in Barbetta G.P., Cima S., Zamaro N. (a cura di), Le istituzioni non profit in Italia, Il Mulino, Bologna, 2003 BATTISTELLA A., DE AMBROGIO U., Ranci Ortigosa E., Il Piano di Zona, CarocciFaber, Roma, BORZAGA C., FAZZI L., Il ruolo del terzo settore, in Gori C. (a cura di), La riforma dei servizi so- ciali in Italia, Carocci, Roma, 2004 BROWN E., Assessing the Value of Volunteer Activity, in "Nonprofit and Voluntary Sector Quar- terly", vol.28, n.3, 1999 BROWN E., FERRIS J.M., Social Capital and Philanthropy: An Analysis of the Impact of Social Cap- ital on Individual Giving and Volunteering, in "Nonprofit and Voluntary Sector Quarterly", vol.36, n.85, 2007 BUSCAGLIA L. (a cura di), 266/91 La legge sul volontariato. Analisi e commento giuridico, Ce- dam, Padova, 1993 CALTABIANO C., Altruisti senza divisa, Carocci, Roma, 2006 CARBONE V., RUSSO SPENA M., Identità e culture del volontariato, in Susi F. (a cura di), Il volon- tariato nel Lazio, Carocci Faber, Roma, 2007 CATARCI M., L'azione e il ruolo dei CSV, in Susi F. (a cura di), Il volontariato nel Lazio, Carocci Faber, Roma, 2007 CECCARINI L., DIAMANTI I., Prefazione: le missioni e le professioni del volontariato, in CSV Mar- che (a cura di), Il volontariato nelle Marche, Ancona, 2006 CERABOLINI R., Il volontariato tra crisi e impegno civile, in "Prospettive Sociali e Sanitarie", n.2, CERABOLINI R., Il volontariato tra motivazione e organizzazione, in "Prospettive Sociali e Sani- tarie", n.4, 2008, pp. 15-17 CEV, Putting volunteering on the economic map of Europe, Final Report, Ljubljana 2008 CICOLETTI D., Volontariato e piani di Zona in Lombardia, in "Prospettive Sociali e Sanitarie", n.10, CIMA S., BARBETTA G.P., Le dimensioni economiche, in Barbetta G.P., Cima S., Zamaro N. (a cura di), Le istituzioni non profit in Italia, Il Mulino, Bologna, 2003 CSVNET (a cura di), Report 2007, CSVnet, Milano, 2008 DAL PRA PONTICELLI M., Le professioni sociali fra monetarizzazione e servizi alla persona, in "Pro- spettive Sociali e Sanitarie", n.12, 2006, pp. 4-5 DE AMBROGIO U., Il piano di zona, in Gori C. (a cura di), La riforma dei servizi sociali in Italia, Ca- rocci, Roma, 2004 DE AMBROGIO U., LAZZAROTTO L., I tavoli tematici dei Pdz: risorsa od ostacolo, in "Prospettive Sociali e Sanitarie",n. 5, 2007, pp. 1-4 DE ANGELIS P., FIORINI R. 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(a cura di), La riforma dei servizi sociali in Italia, Carocci, Roma, 2004 GRANELLI M., I CSV, strumento significativo per lo sviluppo del volontariato, in "Prospettive So- ciali e Sanitarie", n.13, 2001, pp. 8-9 GUALDANI A., La legge 328 dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in Gori C. 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(2009) (a cura di), La dimensione territoriale delle politiche sociali in Italia, Caroc- LA VALLE D., Capitale sociale in Italia: l'andamento della partecipazione associative, in "Inchiesta", gennaio-marzo, 2003, pp. 130-141 LAVILLE J.L., L'economia solidale, Bollati Boringhieri, LONGO F., Quale ruolo per il volontariato nella programmazione sociale locale?, in Mosca S. (a cura di), Il volontariato e il nuovo welfare, Franco Angeli, Milano, 2008 MALUCELLI L., Lavori di cura, Il Mulino, Bologna, 2007 MAROCCHI G., Volontariamente, Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 2007 MESINI D., Per una cultura della responsabilità, in "Prospettive sociali e Sanitarie", 9, 2008, pp. 1 MORESCHI B., Le risorse umane, in Barbetta G.P., Cima S., Zamaro N. (a cura di), Le istituzio- ni non profit in Italia, Il Mulino, Bologna, 2003 MORO G., Manuale di cittadinanza attiva, Carocci, Roma, 1999 MOSCA S. (a cura di), Il volontariato e il nuovo welfare, Franco Angeli, Milano, 2008 NERVO G., Le sfide del volontariato attore dello sviluppo locale, Ancona, 22 ottobre 2005 NERVO G., Volontariato ed economia sociale, in "Prospettive Sociali e Sanitarie", n.13, 2001, OLIVETTI MANOUKIAN F., Il ruolo del volontariato lombardo nella programmazione sociale di zona, in Mosca S. (a cura di), Il volontariato e il nuovo welfare, Franco Angeli, Milano, 2008 PASSARELLA C., La valutazione del Piano di zona veneziano, in "Prospettive Sociali e Sanitarie", n.1, 2007, pp. 10-14 PEARCE J.L., Volontariato, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1994 PETRELLA R., Il bene comune, Diabasis, Reggio Emilia, 1997 PUTNAM R., La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Milano, 2001 RANCI C., DE AMBROGIO U., PASQUINELLI S., Identità e servizio, Il Mulino, Bologna, 1991 RANCI C., L'economia mista nei servizi di cura in Europa, in Ascoli U., Ranci C. 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(a cura di), Il volontariato e il nuovo welfare, Franco Angeli, Milano, 2008 ROSSI G., BOCCACCIN L., Le identità del volontariato italiano, Vita e Pensiero, Milano, 2006 RUITER S., DE GRAAF N.D., National context, religiosità and Volunteering: results from 53 coun- tries, in "American Sociological Review", vol.71, April, 2006, pp. 191-210 SEROFILLI M., Strategie per l'attivazione delle Zone sociali, in "Prospettive Sociali e Sanitarie", n.20, 2006, pp. 13-16 STEINBERG K.S., ROONEY P.M., CHIN W., Measurement of Volunteering: A Methodological Study Using Indiana as a Test Case, in "Nonprofit and Voluntary Sector Quarterly", vol.31, n.484, SALAMON L.M., SOKOLOWSKI W.S., LIST R., Global Civil Society. An Overview, The Johns Hop- kins Comparative Nonprofit Sector Project, Johns Hopkins University, 2003 STOPPIELLO S., Le dimensioni sociali, in Barbetta G.P., Cima S., Zamaro N. 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VILLA M., La sfida della gratuità, Franco Angeli, Milano, 2008 VOLTERRANI A., TOLA P., BILOTTI A., Il gusto del volontariato, Exorma, Roma, 2009 WOLLEBAEK D., SELLE P., La partecipazione alle associazioni di volontariato contribuisce alla for- mazione del capitale sociale?, in "Sociologia e Politiche Sociali", 2, 2004, pp. 9-42 YOUNG S., Income from households' non-SNA production: a review, paper scaricabile dal sito INTRODUZIONE
Per una misura di valore

PREMESSA
La funzione sociale ed economica del volontariato:
il caso Marche

CAPITOLO 1
Le origini sociali del volontariato

1.1 Coesione sociale e Terzo settore
1.2 Volontariato e Terzo settore nel sistema di welfare italiano
1.2.1 I modelli di welfare state 1.2.2 Principio di sussidiarietà, Terzo Settore e volontariato 1.2.3 Esternalizzazione, accreditamento e convenzione 1.2.4 Il piano di zona 1.3 I volontari: profilo, competenze e formazione. Il lavoro di servizio 21
CAPITOLO 2
Organizzazioni di volontariato e capitale sociale

2.1 Le trasformazioni strutturali
2.2 Il capitale sociale
2.3 Le caratteristiche delle organizzazioni di volontariato
2.3.1 La dimensione organizzativa 2.3.2 La dimensione della solidarietà 2.3.3 La dimensione della gratuità CAPITOLO 3
Il valore sociale del volontariato nelle Marche

3.1 Quanto conta il volontariato
3.2 Le organizzazioni di volontariato e il sistema di welfare
3.3 Le organizzazioni di volontariato ed il Terzo settore
CAPITOLO 4
La funzione economica del volontariato

4.1 Il volontariato produce?
4.2 Fare il volontario
4.3 Volontariato: altruismo, formazione e… lavoro
4.4 "Se il volontariato fosse un lavoro.":
il punto di vista dei volontari
CAPITOLO 5
Dove va il volontariato

5.1 Il ricambio generazionale
5.2 Il Csv
5.3 Il futuro del volontariato nelle Marche
CONCLUSIONI
Il posto del volontariato

1. Gli obiettivi della ricerca e la metodologia
2. Gli strumenti
2.1 L'intervista 2.2 Il focus group 3. I soggetti coinvolti: gli stakeholders e i volontari
Aesse Comunicazione IL VALORE SOCIALE ED Assessorato al volontariato ed alla sanità NOMICO DEL VOLONTARIATO. UNA RICERCA C Il volume presenta i principali risultati di una ricerca condotta nella regione Marche sul tema del valore IL VALORE SOCIALE ED ECONOMICO sociale ed economico del volontariato, promossa dall'Associazione volontariato Marche - Centro servizi per il volontariato, in collaborazione con l'Università di Urbino "Carlo Bo" e la Regione Marche.
Questo argomento spinge ad interrogarsi sulla funzione di utilità sociale svolta dal volontariato: quale DEL VOLONTARIATO spazio occupa oggi il volontariato nel sistema di welfare? Quali dimensioni ne caratterizzano l'identità? Inoltre, il tema del valore sociale ed economico solleva interrogativi circa l'opportunità di procedere alla misurazione di tale valore e circa i metodi ritenuti più adeguati. La ricerca, che ha visto coinvolti volontari, Odv e stakeholders, tenta di rispondere a queste domande, con particolare attenzione a quanto avviene nella regione Marche. In tal senso, il volume vuole essere un contributo per quanti, volontari, amministratori, operatori e cittadini intendono interrogarsi sul futuro del volontariato. Centro Servizi per il Volontariato
Una ricerca condotta nella regione Marche Via Trionfi, 2 - 60127 [email protected]

Source: http://www.ilmondounito.com/11%20IL_VALORE_SOC_ED_EC_DEL_VOL.pdf

buntschlin.ch

Il cour da las alps! Ideen, Produkte und Geschichten aus Tschlin – Strada – Martina Ideas, prodots ed istorgias da Tschlin – Strada – Martina Bun TschlinCH-7559 TschlinTel. +41 (0)81 866 33 03 Tschlin, Strada, Martina – Herz der Alpen! Tschlin, Strada, Martina – Il cour da las alps Das Dorf im Dreiländereck wo pfiffige Ideen nur so sprudelnIm untersten Unterengadin im Dreiländereck von Schweiz, Österreich und Italien liegt Tschlin wie auf einem Adlerhorst auf einer wunderschönen Sonnenterrasse hoch über dem Inn. Die zwei Fraktionen Strada und Martina liegen 400m weiter unten, sanft eingebettet ins Tal, direkt am Inn. In Tschlin gedeiht neben guten Einfällen auch die weit herum bekannte, biologische Biera Engiadinaisa. Andere hochwertige Produkte und Dienst-leistungen aus der Gemeinde, zusammengefasst unter dem Label Bun Tschlin, reichen vom hausgemachten Likör, edlem Schafmilchjogurt und Zie-genkäse bis zum Fleisch von schottischen Hochlandrindern.Abseits der grossen Touristenströme und doch in unmittelbarer Nähe des Skizentren Scuol, Samnaun-Ischgl, Nauders-Tirol und Schöneben im Vinschgau ist die Umgebung von Tschlin ein Paradies für Schneesportler. Auch im Sommer kommt der Wanderer von Tschlin aus auf Touren in allen Schwierigkeitsgraden auf seine Kosten. Für das Wohl der Gäste sorgen charmante kleine Pensionen und kreative Restaurants und es gibt einige Sehenswürdigkeiten zu entdecken. Tschlin bietet alles, was das Herz des ruhesuchenden Reisenden begehrt.

Microsoft word - hypothermia in nuerosurgical patients

Diagnosis and Management of Hypothermia in Neurosurgical Patients By Avery Jackson, MD Dear Colleagues: I came across an article that I wanted to share with you that was put together by Powers and Friedman out of Duke University Department of Neurosurgery regarding hyponatremia. It is in Contemporary Neurosurgery. I found it to be extremely helpful in the management of hyponatremia. Hyponatremia is a common complication of subarachnoid hemorrhage, brain tumors and cerebral infections. Hormonal factor such as Natriuretic Peptides and Antidiuretic Hormone play important roles in hyponatremia and neurosurgical patients. It is important to differentiate between cerebral salt-wasting (CSW) and syndrome of inappropriate secretion of antidiuretic hormone (SIADH).