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La condizione giuridica dei fedeli orientali
afÀ dati alla cura dei Vescovi latini
Ionuġ Paul Strejac
In recent years the presence of Eastern-rite Catholics in the ter-
ritories of the Latin Church has increased considerably. As a re-
sult, many Christians of Eastern tradition À nd themselves living
outside their original environment, in Catholic countries where
the majority of the faithful are Latin-rite.
The current legislation of the Church (CIC, CCEO e PB), im-
plementing the directives of the Second Vatican Council, establish-
es norms which seek to safeguard the identity of the Eastern Cath-
olic Churches and to provide for the protection of minorities
outside their own territories, thus assuring them the right to live
the faith according to their own spiritual, theological, liturgical
and disciplinary patrimony.
The present article examines the juridical status of Eastern-rite
faithful within the territories of the Latin Church, with particular
reference to some problems of pressing relevance, such as: the pow-
er of the Eastern Hierarch and its territorial limits; the structures
provided by the Latin Code for the care of the Eastern faithful and
the jurisdiction of Latin Ordinaries over them; the incardination
of Eastern clerics in a Latin Diocese and the admission of Eastern
candidates to Latin religious institutes.
Keywords: eastern-rite faithful,
juridical status, latin bishop
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Negli ultimi anni è aumentata considerevolmente la pre-
senza dei fedeli cattolici orientali nei territori della Chiesa la-
tina. Infatti, i nostri tempi, in seguito ai vari cambiamenti so-
cio-politici, sono caratterizzati da forti Á ussi migratori verso i
Paesi occidentali. Per questo, tanti cristiani di tradizione
orientale si trovano a vivere fuori del loro ambiente d'origine,
in Paesi cattolici a maggioranza latina. Il fenomeno, che porta
a diverse conseguenze sul piano canonico e pastorale, interes-
sa sia i latini sia gli orientali. Da una parte i fedeli appartenen-
ti alle Chiese cattoliche orientali si ritrovano non solo in una
società ed in una cultura diversa dalla propria, ma anche in un
ambiente estraneo alle loro tradizioni religiose. D'altra parte
la Chiesa latina locale che ospita questi fedeli deve far fronte
ad una realtà nuova, essendo in dovere di aiutarli a rimanere
fedeli alle loro tradizioni e ad assicurare loro il diritto di vivere
la fede secondo il patrimonio spirituale, teologico, liturgico e
disciplinare proprio. Non di meno, la questione interessa an-
che i Gerarchi orientali i quali devono trovare le modalità di
collaborazione con i Vescovi latini per andare incontro alle ne-
cessità spirituali dei propri fedeli residenti nelle diocesi latine.
Ora, con il battesimo ogni persona diventa membro del cor-
po di Cristo, appartiene alla Chiesa e viene ascritto ad una
determinata Chiesa, latina od orientale
sui iuris1. Ogni fedele,
1 Il termine
Chiese sui iuris viene utilizzato dal
Codex Canonum Ec-
clesiarum Orientalium, 1990 (d'ora in poi CCEO) per deÀ nire le Chiese
orientali cattoliche. Il can. 27 deÀ nisce il concetto di una
Ecclesia sui iu-
ris da un punto di vista strettamente giuridico. Il termine sostituisce vari
altri modi che venivano impiegati per indicare le Chiese Orientali sia nei
documenti del Concilio Vaticano II sia nel
Codex Iuris Canonici, 1983
(d'ora in poi CIC):
Chiese particolari o ritti (OE 2);
Ecclesia ritualis sui
iuris (can. 111, §2; 112, §1 e §2);
Ecclesia ritualis (can. 111, §1),
Ritus
(can. 372, §2),
Ritus orientalis (can. 1015, §2). Dietro la questione termi-
nologica sta un nuovo modo di intendere e interpretare l'identità delle
Chiese orientali; queste non sono più dei semplici riti, come spesso veni-
vano indicati, ma delle Chiese. Si passa, infatti, da un principio ritualistico
ad uno ecclesiologico.
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La condizione giuridica dei fedeli orientali.
sotto la guida del suo Vescovo, in comunione con esso e con
tutto il Corpo mistico di Cristo, vive la sua fede secondo il pa-
trimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare della pro-
pria Chiesa
sui iuris. Il diritto di vivere la propria vita liturgica
e spirituale in fedeltà alle tradizioni della propria Chiesa ritua-
le è un diritto fondamentale di ogni fedele2.
Il Legislatore Supremo che promuove e tutela la fedeltà al
proprio rito, riconosce questa fedeltà come un diritto fonda-
mentale, sancito nell'elenco degli obblighi e diritti di tutti i
fedeli3. L'esercizio di questo diritto va garantito sia ai fedeli
che si trovano nel proprio Paese sia a quelli che vivono in dia-
spora. Le applicazioni di questo principio si possono cogliere
innanzitutto nelle forme di assistenza previste dalle due legi-
slazioni. Il Codice latino (CIC), nel can. 383 §2, stabilisce che il
Vescovo diocesano deve provvedere alle necessità spirituali dei
fedeli orientali mediante sacerdoti, parrocchie rituali oppure
attraverso un Vicario episcopale. Il Codice orientale (CCEO) è
molto più esplicito nel dettare la normativa di tutela dei vari
riti appartenenti alle tradizioni orientali4.
Vedremo più avanti le strutture di collaborazione per la
cura dei fedeli orientali, previste nei due Codici. Ma prima ci
fermeremo ad analizzare qual è il rapporto esistente tra il Ge-
rarca orientale e i suoi fedeli che si trovano a dimorare fuori
del territorio della propria Chiesa
sui iuris, e che dunque non
si trovano sotto la sua giurisdizione.
2 Cfr. CIC, can. 214: «I fedeli hanno il diritto di rendere culto a Dio
secondo le disposizioni del proprio rito approvato dai legittimi Pastori
della Chiesa e di seguire un proprio metodo di vita spirituale, che sia però
conforme alla dottrina della Chiesa».
3 Cfr. CIC, cann. 208- 223; CCEO, cann. 12-26.
4 Cfr. M. BROGI, «Diritto all'osservanza del proprio rito», in
Antonia-
num 68 (1993) 108- 119.
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1 La potestà del Gerarca orientale
La potestà del Gerarca orientale è una potestà territoriale.
Può il Patriarca orientale esercitare la giurisdizione sui fedeli
della Chiesa alla quale egli è «padre e capo» che si trovano fuo-
ri del suo territorio?
Il problema si è posto sia nei lavori conciliari, sia nell'elabo-
razione del CCEO5. Il Concilio, che non ha accolto la richiesta
di estendere la giurisdizione patriarcale fuori dei conÀ ni del
Patriarcato6, nel decreto sulle Chiese orientale cattoliche, OE
9, conferma il principio generale, sancito gia dai primi Concili
ecumenici7, circa la territorialità dell'esercizio della potestà
delle autorità ecclesiastiche orientali:
«Questo santo Sinodo stabilisce che siano ripristinati i
loro diritti e i loro privilegi, secondo le antiche tradizioni di
ogni chiesa e secondo i decreti dei sinodi ecumenici». (OE 9)Infatti nei Canoni degli Apostoli e nei primi Concili ecume-
nici si afferma il principio di territorialità della potestà pa-
CANONI DEGLI APOSTOLI, can. 34: Bisogna che i vescovi di
ciascuna nazione sappiano chi tra loro è il primo e lo consi-
derino come loro capo e non facciano nulla di importante
5 Cfr.
Nuntia 22 (1986) 4-12;
Nuntia 29 (1989) 26-30.
6 Cfr.
Nuntia 29 (1989) 27.
7 Concilio ecumenico di Nicea I (325), cann. 6-7; Concilio ecumenico
di Costantinopoli (381), can. 2; Concilio ecumenico di Efeso (431), can. 8;
Concilio ecumenico di Calcedonia (451), can. 28. Cfr. G. ALBERIGO
et alii (a
cura di),
Conciliorum Oecumenicorum Decreta, Bologna 1991, 8-9; 31-32;
8 Cfr. D. SALACHAS,
Il diritto Canonico delle Chiese orientali nel primo
millennio, Roma- Bologna 1997, 73. Sull'osservanza dell'antico principio
della territorialità si è soffermato anche il Segretario di Stato, cardinale
Angelo Sodano nel suo intervento al Simposio Internazionale per il de-
cennale dell'entrata in vigore del CCEO. Cfr. CONGREGAZIONE PER LE CHIE-SE ORIENTALI,
Ius Ecclesiarum Vehiculum Caritatis, 587-591.
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senza il suo assenso; ciascuno non si occuperà che di ciò che
riguarda il suo distretto e i territori che da esso dipendono.
CONCILIO ECUMENICO DI COSTANTINOPOLI I, can. 2: I vescovi
di una diocesi non intervengano nelle Chiese situate fuori
dai suoi conÀ ni, né le gettino nel disordine.
Questo principio fu ribadito da Giovanni Paolo II in rispo-
sta ai membri della Commissione per il Codice orientale che
avevano proposto l'estensione dei poteri dei Patriarchi fuori
del territorio delle loro Chiese. La stessa Commissione, nei li-
miti della sua competenza, ha cercato di formulare i canoni in
modo tale da provvedere al massimo bene dei fedeli orientali
sparsi nel mondo, pur mantenendo fermo il principio generale,
affermato nei Concili ecumenici, circa la territorialità del pote-
re patriarcale9.
Nonostante la proposta non fosse accolta, nel nuovo Codice
le Chiese Patriarcali risultano avere poteri molto più ampi di
quanto non ne avessero nello
ius precedente10. In particolare si
è ampliata la potestà patriarcale sui propri fedeli residenti al
di fuori dei conÀ ni territoriali della Chiesa Patriarcale. E'
quanto viene sottolineato in una «Nota circa alcuni canoni che
nel nuovo CICO rendono più esteso il potere dei Patriarchi
orientali»11. Il nuovo Codice, tuttavia, conserva il principio di
9 Cfr.
Nuntia 29 (1989) 26-27.
10 Per i canoni che riguardano la potestà dei Patriarchi orientali nella
legislazione precedente si veda l'articolo di I. ŽUŽEK, «Canons concerning
the authority of Patriarchs over the faithful of their own rite who live
outside the limits of patriarchal territory», in
Nuntia 6 (1978) 3-33.
11 «Si tengano presenti le seguenti nuove norme riguardanti i territo-
ri "extra" i conÀ ni delle Chiese patriarcali: 1. la possibilità che il territo-
rio delle Chiese patriarcali venga esteso dalla Santa Sede anche oltre le
"regiones orientales" (can. 146, comparato con lo Schema previo in
Nun-
tia 19, can. 118; si è eliminata di proposito la clausola "ab antiqua aeta-
te"); 2. la facoltà di ordinare ed intronizzare i Metropoliti e i Vescovi (can.
85 §2); 3. lo
ius vigilantiae in tutto il mondo (can. 148 §1); 4. l'efÀ cace
azione nella erezione delle parrocchie orientali in tutto il mondo (can.
191 §3); 5. la facoltà di benedire i matrimoni dei fedeli della propria Chie-
sa in tutto il mondo (can. 824 §3); 6. l'obbligo dei Vescovi (
agregatus) di
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territorialità e la sostanza del diritto precedente perché viene
considerato il migliore ordinamento giuridico per il retto ordi-
ne della Chiesa di Cristo e per la salvaguardia degli orientali
cattolici viventi fuori i conÀ ni delle Chiese Patriarcali12.
Sulla potestà del Patriarca, il Codice orientale afferma:
CCEO, can. 78 §2: La potestà del Patriarca può essere
esercitata validamente soltanto entro i conÀ ni del territorio
della Chiesa patriarcale, a meno che non consti diversa-
mente dalla natura della cosa, oppure dal diritto comune o
particolare approvato dal Romano PonteÀ ce.
CCEO, can. 146 §1: Il territorio della Chiesa a cui presie-
de il Patriarca si estende a quelle regioni nelle quali si os-
serva il rito proprio della stessa Chiesa e dove il Patriarca
ha il diritto legittimamente acquisito di erigere province,
eparchie, come pure esarcati.
§2. Se sorge un dubbio sui conÀ ni di un territorio della
Chiesa patriarcale, oppure se si tratta di un cambiamento
dei conÀ ni, spetta al Sinodo dei Vescovi della Chiesa pa-
triarcale approfondire la cosa dopo aver ascoltato la supe-
riore autorità amministrativa di ciascuna Chiesa sui iuris
intervenire nei Sinodi (cann. 67, 102, 311); 7. l'obbligo degli stessi di in-
tervenire nei
conventus patriarchales (cann. 140, 143 §1,1 2 §2); 8. l'ob-
bligo degli stessi di trasmettere al Patriarca un
exemplar della relazione
quinquennale (cann. 204 §2, 316 §2); 9. l'obbligo degli stessi di fare la
«promissio oboedientiae erga Patriarcham in iis, in quibus Patriarchae
ad normam iuris subiecti sunt» (can. 185 §2); 10. la raccomandazione
(
velint) fatta agli stessi di promulgare le decisioni sinodali come leggi per
la propria eparchia (can. 150 §3); 11. l'obbligo di consultarsi con il Pa-
triarca fatto ad un Vescovo che non appartiene ad alcuna provincia eccle-
siastica nello scegliere un Metropolita da cui dipende (can. 139); 12. la
raccomandazione che la visita
ad limina almeno
aliquoties una cum Pa-
triarcha À at (can. 206); 13. il grave obbligo di tutti i Vescovi del mondo
che hanno sudditi orientali «omnia providendi, ut hi christiÀ deles pro-
priae Ecclesiae ritum retineant, eumque colant ac pro viribus observent
et cum auctoritate superiore eiusdem Ecclesiae relationes foveant» (can.
191 §1)».
Nuntia 29 (1989) 29-30.
12 Cfr. I. ŽUŽEK, «Un Codice per una "Varietas Ecclesiarum"», in I.
ŽUŽEK,
Understanding the Eastern Code, Roma 1997, 257.
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interessata, come pure, dopo che la cosa è stata discussa nel
Sinodo stesso, porgere la petizione debitamente istruita
sulla soluzione del dubbio o sul cambiamento dei conÀ ni al
Romano PonteÀ ce al quale soltanto spetta dirimere auten-
ticamente il dubbio o emanare un decreto sul cambiamento
dei conÀ ni.
Questi canoni hanno tenuto conto sia delle tradizioni orien-
tali sia delle decisioni conciliari e hanno sottolineato il princi-
pio generale della potestà territoriale. Nello stesso tempo, i
suddetti canoni aprono la strada ai Sinodi Patriarcali, per pre-
sentare al Sommo PonteÀ ce proposte concrete per ottenere
uno
ius speciale relativo all'estensione della giurisdizione pa-
triarcale al di fuori dei conÀ ni dei territori delle loro Chiese13.
Ai Patriarchi e agli Arcivescovi Maggiori spetta, riguardo ai
loro fedeli, l'attuazione dell'
ius vigilantiae che si estende an-
che al di fuori dei conÀ ni del territorio della loro Chiesa14. Que-
sto diritto di vigilanza si concretizza nel diritto e nell'obbligo
dei Gerarchi di assumere opportune informazioni sui fedeli di-
moranti al di fuori del proprio territorio anche mediante dei
Visitatori, da loro inviati con l'assenso della Sede Apostolica:
CCEO, can. 148: §1. E' diritto e dovere del Patriarca, nei
riguardi dei fedeli cristiani che dimorano fuori dei conÀ ni
del territorio della Chiesa da lui presieduta, di cercare le
opportune informazioni, anche per mezzo di un Visitatore,
inviato da parte sua con l'assenso della Sede Apostolica.
§2. Il Visitatore, prima di iniziare il suo compito, si pre-
senti al Vescovo eparchiale di questi fedeli cristiani e gli
mostri la lettera di nomina.
§3. Finita la visita, il Visitatore invii una relazione al
Patriarca, il quale dopo aver discusso della cosa nel Sinodo
dei Vescovi della Chiesa patriarcale può proporre alla Sede
Apostolica i mezzi opportuni afÀ nché si possa provvedere
13
Nuntia 29 (1989) 30.
14 Cfr. L. LORUSSO,
Gli orientali cattolici e i pastori latini, Roma 2003,
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dappertutto alla tutela e all'incremento del bene spirituale
dei fedeli cristiani della Chiesa a cui presiede, anche attra-
verso la costituzione di parrocchie e di esarcati o eparchie
Del Visitatore nulla si dice riguardo alla sua dignità o ai
suoi titoli. E' opportuno, in ogni caso, che la persona inviata
sia un Vescovo della Curia Patriarcale o Arcivescovile Maggio-
re oppure che il Sinodo dei Vescovi di quella Chiesa designi un
Vescovo che risieda in Curia con l'incarico di mantenere i lega-
mi con i fedeli in diaspora. Poiché si tratta di fedeli non sogget-
ti alla potestà del Patriarca o Arcivescovo Maggiore, il Visitato-
re non potrà ricevere alcuna facoltà e potrà esercitare, nel cor-
so della visita, soltanto le facoltà che gli saranno eventualmen-
te concesse dai singoli Vescovi ai quali sono afÀ dati i fedeli15. In
base alle relazioni del Visitatore il Sinodo potrà fare delle pro-
poste concrete alla Sede Apostolica.
Non possiamo affrontare l'argomento della potestà territo-
riale del Patriarca senza far riferimento all'ambito di applica-
zione delle leggi. Normalmente le leggi sono emanate dal Sino-
do dei Vescovi, promulgate dal Patriarca e hanno vigore dentro
il territorio16.
Se si tratta però di leggi di indole liturgica esse hanno vigo-
re sui propri fedeli non soltanto entro i conÀ ni territoriali del-
la Chiesa patriarcale ma anche fuori, nella diaspora.
Nel caso delle leggi disciplinari, o di altre decisioni del Sino-
do, il loro valore giuridico è vincolato alla territorialità. Ma, se
queste leggi o decisioni sono state approvate dalla Sede Apo-
stolica, hanno valore giuridico dappertutto. Il CCEO, can. 150
CCEO, can. 150 §2. Le leggi emanate dal Sinodo dei Ve-
scovi della Chiesa patriarcale e promulgate dal Patriarca,
se sono leggi liturgiche hanno vigore dappertutto; se invece
15 Cfr. M. BROGI, «Cura pastorale di fedeli di altra Chiesa ‘sui iuris'»,
in
Revista Española de Derecho Canónico 53 (1996), 128.
16 Cfr. CCEO, cann. 110 e 150.
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sono leggi disciplinari, o se si tratta di tutte le altre decisio-
ni del Sinodo, hanno valore giuridico entro i conÀ ni del ter-
ritorio della Chiesa patriarcale. §3. Vogliano i Vescovi epar-
chiali costituiti fuori dei conÀ ni del territorio della Chiesa
patriarcale attribuire valore giuridico nelle proprie epar-
chie alle leggi disciplinari e a tutte le altre decisioni sinoda-
li che non eccedono la loro competenza; se però queste leggi
o decisioni sono state approvate dalla Sede Apostolica, han-
no valore giuridico dappertutto.
La scelta di dare alle leggi liturgiche un valore vincolante
anche fuori dal territorio di una Chiesa Patriarcale o Arcive-
scovile Maggiore può essere motivata, altresì, dall'importanza
che il patrimonio liturgico assume nella conservazione della
propria identità.
In conclusione si può affermare che il nuovo Codice orienta-
le, benché non abbia esteso la potestà del Gerarca orientale
fuori del proprio territorio, ha creato tante possibilità giuridi-
che per la tutela del rito dei fedeli e la loro cura nella diaspora.
Il CCEO fornisce ogni mezzo pastorale per poter provvedere ai
propri fedeli fuori dal territorio delle Chiese patriarcali, men-
tre «è tutt'altro che certo o perÀ no solidamente probabile che
una eventuale generica estensione della potestà dei Patriarchi
su tali fedeli fosse una buona soluzione»17. Oltre alla possibili-
tà dei Patriarchi di seguire i propri fedeli attraverso le modali-
tà viste sopra, la legislazione della Chiesa cattolica prevede
anche altri modi di venire in aiuto a questi fedeli. Si tratta so-
prattutto di strutture previste per la Chiesa latina delle quali
ci occuperemo in seguito.
2 Le strutture previste del Codice latino
per la cura pastorale dei fedeli orientali
Oggi ci confrontiamo spesso con casi di fedeli appartenenti
alle Chiese orientali aventi, per diverse circostanze, il domicilio
17 I. ŽUŽEK, «Un Codice per una "Varietas Ecclesiarum"», 258.
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o il quasi domicilio in territori latini, dove manca il proprio
parroco oppure dove non è costituita una Gerarchia orientale.
E' un problema quanto mai attuale, a cui viene incontro il de-
creto conciliare CD, che al numero 23 afferma:
«Dove si trovano fedeli di diverso rito, il Vescovo deve
provvedere alle loro necessità spirituali, sia per mezzo di
sacerdoti o parrocchie dello stesso rito; sia per mezzo di un
vicario episcopale, munito delle necessarie facoltà e, se op-
portuno, insignito anche del carattere episcopale; sia da se
stesso esercitando l'incarico di ordinario di diversi riti».
(CD 23)Lo stesso decreto CD aggiunge in seguito che:
«ogni volta che lo richieda un saggio governo della dioce-
si, il Vescovo può costituire uno o più vicari episcopali, colo-
ro cioè che in forza del diritto stesso, [.] nei riguardi dei
fedeli di un determinato rito, godono dello stesso potere che
il diritto comune attribuisce al vicario generale». (CD 27)Quanto stabilito nel CD ai numeri 23 e 27 è una novità ri-
spetto alla normativa del CIC ‘17; tale situazione veniva, inve-
ce, regolata nel Motu proprio
Cleri Sanctitati:
CS, can. 432 §4.1°: Si in aliqua dioecesi ritus latini ad-
sint communitates À delium ritus orientalis, constituatur
Syncellus qui de iis curam suscipiat: qui si À eri potest, sit et
ipse ritus orientalis, secus, sacerdos latini ritus, idoneus ac
rerum orientalium bene doctus, assumatur.
Ispirandosi ai documenti conciliari e tenendo presente la
normativa precedente, il Codice latino stabilisce, tra i compiti
pastorali del Vescovo, quello di provvedere alla cura degli
orientali che si trovano nella sua diocesi mediante sacerdoti,
parroci oppure costituire per essi un Vicario episcopale:
CIC, can. 383 §2: Se il Vescovo ha nella sua diocesi fede-
li di rito diverso, provveda alle loro necessità spirituali sia
mediante sacerdoti o parroci del medesimo rito, sia median-
te un Vicario episcopale.
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CIC, can. 476: Ogni qualvolta lo richieda il buon governo
della diocesi, possono essere costituiti dal Vescovo diocesa-
no anche uno o più Vicari episcopali; essi hanno la stessa
potestà ordinaria che, per diritto universale, a norma dei
canoni seguenti, spetta al Vicario generale, o per una parte
determinata della diocesi, [.] o in rapporto ai fedeli di un
determinato rito o di un ceto determinato di persone. L'obbligo dell'autorità competente di assicurare la cura pa-
storale dei fedeli orientali e di costituire le strutture necessa-
rie, laddove ci sia il sufÀ ciente numero di persone di questo
rito, è un'esigenza che scaturisce dallo stesso diritto dei fedeli
di rendere culto a Dio secondo le legittime prescrizioni del pro-
prio rito18. In deÀ nitiva si tratta di assicurare ai fedeli orienta-
li la tutela della propria identità.
Anche il Codice orientale nel canone correlativo stabilisce
CCEO, can. 193 §1: Il Vescovo eparchiale alla cui cura
sono afÀ dati dei fedeli cristiani di un'altra Chiesa sui iuris
ha il grave obbligo di provvedere in ogni modo afÀ nché que-
sti fedeli cristiani conservino il rito della propria Chiesa, lo
coltivino e lo osservino con tutte le loro forze e favoriscano
le relazioni con l'autorità superiore della stessa Chiesa.
§2. Il Vescovo eparchiale provveda alle necessità spiri-
tuali di questi fedeli cristiani, per quanto è possibile, me-
diante presbiteri o parroci della stessa Chiesa sui iuris e
fedeli cristiani, oppure anche mediante un Sincello costitu-
ito per la cura di questi fedeli cristiani.
§3. I Vescovi eparchiali che costituiscono questo tipo di
presbiteri, di parroci o Sincelli per la cura dei fedeli cristia-
ni delle Chiese patriarcali, prendano contatto con i relativi
Patriarchi e, se sono consenzienti, agiscano di propria auto-
rità informandone al più presto la Sede Apostolica; se però
i Patriarchi per qualunque ragione dissentono, la cosa ven-
ga deferita alla Sede Apostolica.
18 Cfr. L. LORUSSO,
Gli orientali cattolici e i pastori latini, 88.
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L'ultimo paragrafo di questo canone sembrerebbe avere ri-
levanza anche per i Vescovi latini. La PontiÀ cia Commissione
per la Revisione del CICO avrebbe voluto estendere questa
norma anche alla Chiesa latina19. Il testo promulgato non fa
però nessuna menzione espressa per cui, a norma del CCEO,
can. 1, la disposizione vincola giuridicamente soltanto gli
orientali. Tuttavia, essendo questa una questione che presenta
grande somiglianza nelle due legislazioni, si può ricorrere
all'interpretazione in base ai luoghi paralleli20. Prima di nomi-
nare dei sacerdoti, parroci o vicari episcopali per questi fedeli,
i Vescovi latini dovrebbero prendere contatto con la loro Ge-
rarchia, specialmente con il loro Patriarca21 (nel caso si trat-
tasse di fedeli appartenenti ad una Chiesa patriarcale). Non
bisogna dimenticare che i fedeli delle Chiese orientali, anche
se afÀ dati alla cura del Gerarca di un'altra Chiesa
sui iuris,
rimangono tuttavia ascritti alla propria Chiesa
sui iuris (cf.
CCEO, can. 38).
Anche per quanto dispone il Codice latino riguardo ai Vica-
ri episcopali, il CCEO, can. 246, stabilisce allo stesso modo del
CCEO, can. 246: Ogni qualvolta lo richiede il buon go-
verno dell'eparchia, possono essere costituiti uno o più Sin-
celli, i quali cioè per il diritto stesso hanno la medesima
potestà che il diritto attribuisce al Protosincello relativa-
mente a una determinata parte dell'eparchia o in un deter-
minato genere di affari, oppure nei riguardi dei fedeli cri-
stiani ascritti ad un'altra Chiesa sui iuris o di un determi-
nato raggruppamento di persone.
Un altro modo per venire incontro alla cura dei fedeli orien-
tali è la costituzione di parrocchie personali sulla base del rito.
19 Cfr.
Nuntia 24-25, Schema 1986, can. 191, 35.
20 Cfr. D. SALACHAS, «Problematiche interrituali nei due codici orienta-
le e latino», in
Apollinaris 67 (1994) 641.
21 Cfr. M. BROGI, «I Cattolici Orientali nel Codex Iuri Canonici», in
Antonianum 58 (1983) 237.
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La condizione giuridica dei fedeli orientali.
Il criterio generale per determinare la giurisdizione di una
parrocchia, sia nel Codice latino sia nel Codice orientale, è
quello territoriale, non escludendo però altri criteri con i quali
si possa venire meglio in aiuto ai fedeli.
Nella legislazione precedente per costituire parrocchie per-
sonali era necessario l'indulto apostolico:
CIC ‘17, can. 216 §4: Non possunt sine speciali apostoli-
co indulto constitui paroeciae pro diveristate sermonis seu
nationis À delium in eadem civitate vel territorio degen-
tium, nec paroeciae mere familiares aut personales; ad con-
stitutas autem quod attinet, nihil innovandum, inconsulta
Apostolica Sede.
La necessità dell'indulto pontiÀ cio era sancita anche dal
Motu proprio
Cleri Sanctitati al can. 160 §4, 1°:
CS, can. 160 §4, 1°: Non possunt sine speciali Sedis Apo-
stolicae indulto constitui paroeciae pro diversitate sermo-
nis À delium eiusdem ritus in eadem civitate vel territorio
degentium, nec paroeciae mere familiares aut personales;
ad constitutas autem quod attinet, nihil innovandum, in-
consulta Apostolica Sede.
A distanza di quarant'anni il legislatore ha sentito l'esigen-
za di annoverare tra le diverse parrocchie personali anche
quelle costituite sulla base del rito, fatto che non avveniva,
invece, nel CIC ‘1722.
La legislazione attuale, circa la possibilità di costituire par-
rocchie personali in base al rito dei fedeli, non prevede più la
necessità dell'indulto pontiÀ cio. Infatti, il CIC, can 518, come
pure il suo corrispondente del CCEO, can. 280 §1, stabilisce:
CIC, can. 518: Come regola generale, la parrocchia sia
territoriale, tale cioè che comprenda tutti i fedeli di un
determinato territorio; dove però risulti opportuno, ven-
gano costituite parrocchie personali, sulla base del rito,
22
Codex Iuris Canonici, 1917.
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Ionuġ Paul Strejac
della lingua, della nazionalità dei fedeli appartenenti ad
un territorio, oppure anche sulla base di altre precise
motivazioni.
Nel caso in cui nelle diocesi latine si costituiscono delle par-
rocchie personali per quei fedeli di un determinato rito, giuri-
dicamente esse fanno parte integrante della diocesi latina, e i
parroci del medesimo rito fanno parte integrante del clero dio-
cesano del Vescovo latino. I fedeli, invece, anche se sono giuri-
dicamente sotto la giurisdizione dell'Ordinario del luogo, non
cessa la loro appartenenza alla propria Chiesa orientale, re-
stando essi sempre ascritti alla propria Chiesa
sui iuris23
.
Il suddetto canone, come anche il CIC, can. 383 §2, non fa
nessun riferimento alla Chiesa
sui iuris di quei fedeli. Il Vesco-
vo latino, tuttavia, sebbene i fedeli orientali siano sotto la sua
giurisdizione, prima di istituire per essi delle parrocchie perso-
nali, di designare un sacerdote come assistente o parroco, o
addirittura un vicario episcopale, si dovrebbe mettere in con-
tatto sia con la Congregazione per le Chiese Orientali sia con
la loro Gerarchia e in particolare con il loro Patriarca, se tali
fedeli appartenessero ad una Chiesa patriarcale24.
Il decreto conciliare sull'ufÀ cio pastorale dei vescovi li esor-
ta, come abbiamo ora visto, a provvedere alle necessità dei fe-
deli orientali che si trovano nel loro territorio sia attraverso
sacerdoti, parrocchie, vicari episcopali sia da se stessi come Or-
dinari di diversi riti. Poi aggiunge: «Ma se tutto questo, secon-
do il giudizio della Sede apostolica, per ragioni particolari non
si può fare, si costituisca una gerarchia propria per ciascun
rito» (CD 23). Il decreto conciliare prevede, dunque, anche
l'erezione di una Gerarchia propria per ciascun rito nel terri-
torio delle diocesi latine25.
23 D. SALACHAS,
Lo stato giuridico delle minoranze di fedeli cattolici
nei territori della Chiesa latina, Firenze 1997, 22.
24 Cfr. M. BROGI, «I Cattolici Orientali nel Codex Iuri Canonici», 237.
25 Per la questione delle giurisdizioni parallele si veda l'articolo di P.
SZABÓ, «Stato attuale e prospettive della convivenza delle Chiese cattoliche
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La condizione giuridica dei fedeli orientali.
A norma del CIC, can. 372 §1, le diocesi o le chiese partico-
lari sono circoscritte entro un determinato territorio. Anche se
raccomandato da questo canone, come regola generale, il crite-
rio territoriale non è un elemento essenziale della chiesa par-
ticolare. Il CIC, can 369, infatti, offrendo una sintesi teologica
della chiesa particolare in base a CD 11, nella sua deÀ nizione
non menziona l'elemento territoriale:
CIC, can. 369: La diocesi è la porzione del popolo di Dio
che viene afÀ data alla cura pastorale del Vescovo con la co-
operazione del presbiterio, in modo che, aderendo al suo
pastore e da lui riunita nello Spirito Santo mediante il Van-
gelo e l'Eucaristia, costituisca una Chiesa particolare in cui
è veramente presente e operante la Chiesa di Cristo una,
santa, cattolica e apostolica.
Nonostante questa nuova impostazione di origine concilia-
re, la determinazione territoriale della chiesa particolare rima-
ne stabile. In ogni caso, il Codice latino nel secondo paragrafo
dell'anzidetto can. 372 prevede:
CIC, can. 372 §2: Tuttavia dove a giudizio della Supre-
ma Autorità della Chiesa, sentite le Conferenze Episcopali
interessate, l'utilità lo suggerisca, nello stesso territorio
possono essere erette Chiese particolari distinte sulla base
del rito dei fedeli o per altri simili motivi.
La legislazione latina considera la possibilità di circoscrizio-
ni ecclesiastiche distinte nello stesso territorio sulla base del
rito dei fedeli. Questa possibilità, tuttavia, deve intendersi
come vera eccezione. Di norma, anche in base alle antiche tra-
dizioni, nello stesso territorio non deve esistere che una sola
sui iuris», in
Territorialità e personalità nel diritto canonico e ecclesiasti-
co, 225-253.
26 Cfr. L. LORUSSO,
Gli orientali cattolici e i pastori latini, 83.
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L'ordinamento della Chiesa prevede quattro tipi di circo-
scrizione ecclesiastica di carattere personale27: 1. Le diocesi
personali (CIC, can. 369); 2. Le prelature personali (CIC, cann.
294-297)28; 3. Gli ordinariati militari29; 4. Gli ordinariati latini
per la cura di fedeli di rito orientale.
Dal punto di vista strutturale e di regime giuridico, tra le
caratteristiche comuni alle varie circoscrizioni personali van-
no segnalate le seguenti30:
- sono
coetus À delium o
portiones populi Dei delimitati, se-
guendo oggettivamente e direttamente un criterio perso-
nale, come per esempio il rito;
- sono erette dalla Santa Sede dietro parere delle Conferen-
ze Episcopali interessate (CIC, can. 372 §2);
- hanno un proprio diritto speciale, stabilito dalla Suprema
Autorità, che determina gli elementi speciÀ ci propri;
- richiedono una forma di coordinamento con le Gerarchie
territoriali locali;
- hanno una qualche dimensione territoriale giuridicamen-
te rilevante, come la Chiesa - sede dell'Ordinario, la curia,
il rispettivo seminario;
27 Cfr. J. I. ARRIETA,
Diritto dell'organizzazione ecclesiastica, Milano
28 L'unica prelatura personale al momento è quella dell'Opus Dei,
eretta da Giovanni Paolo II con la Const. Ap.
Ut Sit (28 novembre 1982),
in
AAS 75 (1983) 423-424.
29 L'istituto dell'ordinariato militare fu creato da Giovanni Paolo II
con la Const. Ap.
Spirituali militum curae (21 aprile 1986), in
AAS 78
(1986) 481-486. Esso sostituisce la precedente À gura dei vicariati ca-
strensi, tipizzata nel 1951 dall'Istruzione
Solemne sempre. Cfr. S. C. CON-SISTORIALIS, Instr.
Solemne Sempre, de Vicariis Castrensibus (23 aprile
1951), in
AAS 43 (1951) 562-565.
30 Cfr. J. I. ARRIETA,
Diritto dell'organizzazione ecclesiastica, 359-360.
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
La condizione giuridica dei fedeli orientali.
- sono sottoposte ai normali controlli gerarchici di qualsiasi
circoscrizione: visita
ad limina, relazione quinquennale
Rimanendo saldo il principio che stabilisce la presenza di
una sola Gerarchia in un determinato territorio, la legislazio-
ne prevede, dunque, come eccezione, la possibilità di circoscri-
zioni ecclesiastiche distinte nello stesso territorio sulla base
del rito dei fedeli.
Gli ordinariati31 sono delle strutture giuridiche latine che
devono provvedere alle necessità pastorali dei fedeli di rito orien-
tale non aventi Gerarchia di rito proprio nel paese in cui dimo-
rano32. Generalmente essi sono pluri-rituali (Argentina, Au-
stria, Brasile e Francia), rivolti a tutti i fedeli cattolici di rito
orientale dimoranti in un paese, indipendentemente dal rito o
dalla Chiesa
sui iuris di appartenenza. L'ordinariato di Polonia,
sebbene appaia nell'Annuario PontiÀ cio come pluri-rituale,
31 Gli ordinariati «sono strutture ecclesiastiche geograÀ che stabilite
per la comunità cattoliche orientali che non hanno gerarchia proprio nel
luogo. A capo dell'ordinariato c'è un Prelato col titolo di
Ordinario, no-
minato dalla Santa Sede, con giurisdizione sugli orientali cattolici sprov-
visti di Vescovo proprio. Gli ordinariati hanno avuto inizio con la Litt. Ap.
OfÀ cium supremi Apostolatus del 15 luglio 1912».
Annuario PontiÀ cio
2004, 1693. Arrieta sostiene invece che gli ordinariati risalgono al 1930 e
rappresentano un'ulteriore evoluzione degli esarcati apostolici (conÀ gu-
rati nell'attuale forma giuridica con la creazione nel 1912 dell'esarcato
apostolico ruteno di Canada). Cfr. J. I. ARRIETA,
Diritto dell'organizzazio-
ne ecclesiastica, 365. Per una statistica degli ordinariati nel mondo, cfr.
Annuario PontiÀ cio 2009, 1058-1062.
32 Attualmente gli ordinariati sono 8: Argentina (19.02. 1959 - O. per
i fedeli di rito orientale sprovvisti di Ordinario del proprio rito); Austria
(3.10.1945 e 13.06.1956 – O. per i fedeli di rito bizantino); Brasile
(14.11.1951 – O. per i fedeli di rito orientale sprovvisti di Ordinario del
proprio rito); Europa Orientale (13.07.1991 – O. per gli armeni cattolici
dell'Europa Orientale); Francia (16.06.1954 – O. per i fedeli orientali
sprovvisti di Ordinario del proprio rito); Grecia (21.12.1925 – O. per i
cattolici di rito armeno residenti in Grecia); Polonia (16.01.1991 – O. per
i fedeli di rito orientale sprovvisti di Ordinario del proprio rito); Romania
(5.06.1930 – O. per i cattolici di rito armeno residenti in Romania). Cfr.
Annuario PontiÀ cio 2009, 1058-1062.
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
Ionuġ Paul Strejac
riguarda soltanto gli armeni33. Per gli armeni sono istituiti an-
che gli Ordinariati di Europa Orientale, Grecia e Romania.
La cura dei fedeli, in questi ordinariati, è afÀ data normal-
mente ad un Vescovo di rito latino in qualità di Ordinario pro-
prio, senza creare uno speciÀ co ufÀ cio episcopale con propria
sede e chiesa. Egli deve essere nominato a tale ufÀ cio dal Som-
mo PonteÀ ce34. Non raramente, la giurisdizione dell'Ordinario
sui fedeli orientali si estende all'intero Stato di appartenenza
e supera pertanto i conÀ ni della loro diocesi estendendosi su
altre diocesi, gli Ordinari delle quali, secondo la legislazione
orientale35, dovrebbero essere i Gerarchi di quei fedeli36.
La giurisdizione e i compiti dell'Ordinario degli orientali
vengono stabiliti nel decreto di erezione. Tale decreto determi-
na la natura della potestà dell'Ordinario, il genere di coordina-
mento e dipendenza nei confronti del Vescovo locale, oppure
rispetto alla Gerarchia cattolica orientale37.
33 L'Ordinariato degli armeni di Polonia succede a quello per i fedeli
di rito greco-cattolico e di rito armeno, eretto dieci anni prima e soppres-
so il 16 gennaio 1991 con il ripristino dell'eparchia di Przemysl, di rito
bizantino-ucraino. Cfr. M. BROGI, «Cura pastorale», 130.
34 Ad esempio, Giovanni Paolo II ha accettato la rinuncia all'ufÀ cio di
Ordinario per i cattolici di rito orientale residenti in Francia e sprovvisti
di Ordinario proprio, canonicamente presentata dal Card. Jean-Marie
Lustiger, Arcivescovo emerito di Parigi e ha nominato come Ordinario
per i suddetti fedeli il suo successore, Mons. André Vingt-Trois. Cfr.
L'Os-
servatore Romano, 14-15 marzo 2005, 1.
35 Cfr. CS, can. 22 e CCEO, can. 91636 Cfr. M. BROGI, «Cura pastorale», 13037 J. I. ARRIETA,
Diritto dell'organizzazione ecclesiastica, 366. Lo stesso
Arrieta esempliÀ ca le scelte diverse fatte dal diritto speciale: in Francia
la giurisdizione dell'Ordinario è cumulativa con quella degli Ordinari lo-
cali e questi ultimi devono agire soltanto in via sussidiaria, benché sia
necessario il loro consenso per la validità degli atti che gli riguardino. Cfr.
CONGREGTIO PRO ECCLESIIS ORIENTALIBUS,
Déclaration interpretative du dé-
cret du 27 juillet 1954 (30 aprile 1986), in
AAS 78 (1986) 784-786. In
Argentina e in Brasile il decreto di erezione stabilisce che la «potestas
iurisdictionis Ordinarii in praedictos À deles ritus orientalis erit exclusi-
va». Cfr. S.CONGREGATIO PRO ECCLESIA ORIENTALI, Decr.
Annis praeteris (19
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
La condizione giuridica dei fedeli orientali.
L'Ordinario, nell'esercizio della sua funzione, è investito
dalle attribuzioni proprie di un Vescovo diocesano, e i vari de-
creti sanciscono il suo dovere di costituire chiese, erigere par-
rocchie per i fedeli orientali, nominare i sacerdoti, curare la
formazione dei seminaristi, provvedere alle necessarie opere
educative ed assistenziali38. I decreti di erezione stabiliscono
anche le modalità di collaborazione tra l'Ordinario degli orien-
tali e gli Ordinari del luogo. L'Ordinario per i fedeli orientali
residenti in Francia, per esempio, deve in questi casi, raggiun-
gere
ad validitatem accordi previ con l'Ordinario del luogo
mentre nulla viene indicato in tal senso per gli altri Ordinaria-
ti, la cui potestà e conÀ gurata diversamente39.
Gli ordinariati sono istituzioni latine
praeter legem40. Il Co-
dice orientale ignora tale À gura mentre prevede, dove ciò fosse
febbraio 1959), in
AAS 54 (1962) 49-50; Decr.
Cum À delium (14 novem-
bre 1951), in
AAS 44 (1952) 382-383.
38 Cfr. J. I. ARRIETA,
Diritto dell'organizzazione ecclesiastica, 366; L.
LORUSSO,
Gli orientali cattolici e i pastori latini, 85.
39 Cfr. CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI,
Déclaration interpréta-
tive du décret du 27 juillet 1954, 30 aprile 1986. Dalla stessa Dichiarazio-
ne possiamo trarre alcuni degli compiti degli Ordinari degli orientali: 1.
autorizzare la costituzione di nuove comunità legate a delle Chiese orien-
tali, sentito il parere dell'autorità superiore delle Chiese orientali inte-
ressate; 2. riconoscere, dopo il parere dell'autorità superiore della Chiesa
orientale, i gruppi e le associazioni di fedeli latini che intendono vivere
secondo le tradizioni di una Chiesa orientale, celebrando la liturgia e vi-
vendone la spiritualità; 3. ediÀ care delle Chiese o luoghi di culto, autoriz-
zare la loro costruzione o il loro adattamento in favore dei fedeli orienta-
li; 4. erigere delle parrocchie orientali, nominare i loro parroci e i
presbiteri incaricati di un ministero presso i fedeli o comunità legate a
una Chiesa orientale, dopo aver consultato o dietro proposta dell'autorità
superiore di questa Chiesa; 5. approvare
ad normam iuris gli statuti dei
monasteri e degli istituti di vita consacrata e di tutte le altre associazioni
o gruppi legati a una Chiesa orientale. Cfr. L. LORUSSO,
Gli orientali cat-
tolici e i pastori latini, 86.
40 Eccetto l'ordinariato per gli armeni cattolici dell'Europa Orientale
che è afÀ dato ad un Vescovo ed è equiparabile ad un esarcato apostolico.
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
Ionuġ Paul Strejac
necessario, la costituzione di esarcati apostolici41. Ad essi è ri-
servato il Titolo VIII del CCEO:
De Exarchiis et de Exarchis,
cann. 311-321.
Gli esarcati costituiscono circoscrizioni ecclesiastiche go-
vernate da un Esarca ed erette entro o al di fuori dei territori
soggetti a Chiese Patriarcali o Arcivescovili Maggiori:
CCEO, can. 311: §1. L'esarcato è una porzione del popo-
lo di Dio che, per speciali circostanze, non viene eretta in
eparchia e che, circoscritta da un territorio o con qualche
altro criterio, è afÀ data alla cura pastorale dell'Esarca.
§2. Nell'erezione, modiÀ cazione e soppressione di un
esarcato che è situato entro i conÀ ni del territorio di una
Chiesa patriarcale occorre osservare il can. 85, §3; la erezio-
ne, modiÀ cazione e soppressione di tutti gli altri esarcati
compete alla sola Sede Apostolica.
I motivi della mancata erezione in eparchia sono rappresen-
tati da speciali circostanze che possono essere tra le più svaria-
te: la considerazione del contesto storico, geograÀ co, politico,
sociale e religioso della comunità dei fedeli destinataria di un
simile provvedimento, la possibilità di sussistenza economica,
l'utilità e la necessità del bene spirituale dei fedeli, la salva-
guardia del proprio rito, specie di quanti vivono fuori del terri-
torio della Chiesa Patriarcale o Arcivescovile Maggiore42. Le
fonti del can. 311 riportano tra i motivi di erezione di un esar-
cato non ancora costituito in eparchia, l'esiguo numero di fe-
41 Gli esarcati apostolici «equivalgono ai Vicariati Apostolici del diritto
latino e sono circoscrizioni ecclesiastiche rette da un Esarca e stabilite in
territori non soggetti ai Patriarchi né agli Arcivescovi Maggiori, nei quali
non è stata organizzata la gerarchia della Chiesa orientale
sui iuris (CCEO,
can. 311). Dall'Esarca Apostolico dipendono tutti i fedeli della propria
Chiesa
sui iuris. L'Esarca è sempre nominato dalla Santa Sede (CCEO,
can. 314 §1) ed esercita la giurisdizione nel nome del Romano PonteÀ ce».
Annuario PontiÀ cio 2004, 1693. Per la À gura dell'esarcato apostolico si
veda anche l'articolo di D. M. JAEGER, «Erezioni di circoscrizioni ecclesiasti-
che orientali», in
Antonianum 75 (2000) 499-521, specialmente 514-521.
42 Cfr. L. SABBARESE, «Commento al can. 311», in P. V. PINTO (a cura di),
Commento al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, 277.
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
La condizione giuridica dei fedeli orientali.
deli o altra grave causa43. Nonostante ciò, si deve tenere conto
che i fedeli, proprio perché membri della Chiesa universale,
devono poter essere membri di una Chiesa particolare che ri-
specchi la Chiesa universale. Perciò, gli esarcati, che sono cir-
coscrizioni dalla À gura eccezionale, non possono essere conce-
piti a perdurare stabilmente, per tutto il futuro prevedibile,
ma soltanto come realtà transitorie, destinate a trasformarsi
– in un futuro più o meno vicino – in Chiese particolari piena-
mente costituite, ossia eparchie vere e proprie. Quindi l'erezio-
ne degli esarcati dovrebbe darsi soltanto in presenza di una
speranza fondata che – in un futuro più o meno prevedibile –
queste nuove
populi Dei portiones possano acquistare o, secon-
do i casi, perfezionare gli elementi ancora non presenti, o non
completamente presenti, richiesti perché ci siano delle Chiese
particolari pienamente costituite44. Gli esarcati apostolici45,
fuori del territorio della Chiesa Patriarcale e Arcivescovile
43 Cfr. Motu proprio
Cleri sanctitati, cann. 366 §1 e 388 §1.
44 Cfr. D. M. JAEGER, «Erezioni di circoscrizioni ecclesiastiche orientali»,
45 Gli esarcati apostolici sono 16: America Latina e Messico (3.07.1981
– per i fedeli di rito armeno residenti in America Latina e Messico); Ar-
gentina (20.04.2002 – per i fedeli Greco-Melkiti residenti in Argentina);
Francia (22.07.1960 – per i fedeli Ucraini di rito bizantino residenti in
Francia); Germania e Scandinavia (17.04.1959 – per i fedeli Ucraini di
rito bizantino residenti in Germania e Scandinavia); Gran Bretagna
(8.03.1967 – per i fedeli Ucraini di rito bizantino residenti in Gran Breta-
gna); Grecia (11.06.1932 – per i cattolici greci di rito bizantino); Harbin
(20.05.1928 – per i Russi di rito bizantino e per tutti i cattolici di rito
orientale - China); Istanbul, Costantinopoli (11.06.1911 e 25.11.1996 –
per i fedeli di rito bizantino residenti in Turchia); Macedonia (11.01.2001
– per i cattolici di rito bizantino residenti nella ex-Repubblica Jugoslava
di Macedonia); Miskolc (4.06.1924 – per i cattolici di rito bizantino in
Ungheria); Repubblica Ceca (18.01.1996 – per i cattolici di rito bizantino
residenti nella Repubblica Ceca); Russia (1917 – per i cattolici di rito bi-
zantino); Serbia e Montenegro (28.08.2003 – per i cattolici di rito bizan-
tino residenti in Serbia e Montenegro); SoÀ a (1926 – per i cattolici di rito
bizantino-slavo residenti in Bulgheria); Venezuela (19.02.1990 – per i fe-
deli Greco-Melkiti residenti in Venezuela; 22.06.2001; per i fedeli Siri
residenti in Venezuela). Cfr.
Annuario PontiÀ cio 2009, 1058-1062.
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
Ionuġ Paul Strejac
Maggiore46, sono eretti mediante Costituzione Apostolica da
parte del Romano PonteÀ ce e riguardano sempre i fedeli ap-
partenenti ad una concreta Chiesa orientale. Quanto al Gerar-
ca di queste Chiese, il decreto conciliare OE 7 stabilisce che:
«Dovunque si costituisce un gerarca di qualche rito fuo-
ri dei conÀ ni del territorio patriarcale, a norma del diritto
esso rimane aggregato alla gerarchia del patriarcato dello
stesso rito». (OE 7)L'autorità competente per l'erezione degli ordinariati e de-
gli esarcati è la Santa Sede che agisce attraverso la Congrega-
zione per le Chiese Orientali.
La Congregazione per le Chiese Orientali ha, tra le sue
competenze47, quella di vigilare con premurosa attenzione i fe-
46 Entro i conÀ ni del territorio di una Chiesa Patriarcale l'erezione, la
modiÀ ca e la soppressione di un esarcato spetta al Patriarca col consenso
del Sinodo permanente: CCEO, can. 85 §3: Il Patriarca, col consenso del
Sinodo permanente, può erigere, mutare e sopprimere degli esarcati.
Tutto ciò vale anche nel caso di esarcati entro i conÀ ni di una Chiesa
47 La Congregazione per le Chiese Orientali tratta le materie concer-
nenti le Chiese orientali cattoliche sia circa le persone sia circa le cose.
Esercita
ad normam iuris sulle eparchie, sui Vescovi, sul clero, sui reli-
giosi e sui fedeli delle Chiese orientali le facoltà che la Congregazione per
i Vescovi, per il Clero, per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita
apostolica e per l'Educazione cattolica hanno all'interno della Chiesa la-
tina. Inoltre, ha autorità esclusiva sugli orientali e sui latini nelle se-
guenti "regioni orientali": Egitto e penisola del Sinai, Eritrea ed Etiopia
del Nord, Albania meridionale, Bulgaria, Cipro, Grecia, Iran, Iraq, Liba-
no, Palestina, Siria, Giordania, Turchia e Afganistan. La competenza si
estende a tutti gli affari, che sono propri delle Chiese Orientali e che de-
vono essere deferiti alla Sede Apostolica, anche se sono misti, cioè quegli
affari che, si tratti di cose o di persone, riguardano anche i latini, come ad
esempio il cambiamento del rito. Quando il CCEO rinvia alla Sede Apo-
stolica si intende questa Congregazione, competente per trattare gli affa-
ri sia circa la struttura e l'ordinamento delle Chiese Orientali, sia l'eser-
cizio delle funzioni di insegnare, di santiÀ care e di governare, sia circa le
persone, il loro stato, i loro diritti e doveri. Inoltre, nelle regioni sopra
menzionate nelle quali questa Congregazione ha competenza esclusiva
anche sui latini, essa deve procedere dopo aver consultato, se lo richiede
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
La condizione giuridica dei fedeli orientali.
deli orientali presenti in territori latini. Essa adempie tale
missione anche attraverso l'invio di Visitatori:
PB 59: La Congregazione segue parimenti con premuro-
sa diligenza le Comunità di fedeli orientali che si trovano
nelle circoscrizioni territoriali della Chiesa latina, e provve-
de alle loro necessità spirituali per mezzo di Visitatori, anzi,
laddove il numero dei fedeli e le circostanze lo richiedano,
possibilmente anche mediante una propria Gerarchia, dopo
aver consultato la Congregazione competente per la costi-
tuzione di Chiese particolari nel medesimo territorio.
La Congregazione invia dei Visitatori, con titolo di suoi De-
legati, con lo scopo di incontrare, sostenere ed incoraggiare
detti fedeli, di facilitare il loro dialogo con gli Ordinari. Nella
prassi della Santa Sede, in determinati casi, è stato invece isti-
tuito un Visitatore stabile. Si tratta di un Visitatore della Con-
gregazione oppure di un Visitatore Apostolico, cioè di nomina
pontiÀ cia, e dotato, in casi particolari, di determinate facoltà48.
La legislazione attuale, come risulta dai casi esaminati, pre-
vede una duplice À gura di Visitatore. Quella considerata da PB
59 e quella prevista dal CCEO, can. 148. Benché tutti e due
siano istituiti per venire incontro alle difÀ coltà dei fedeli della
diaspora, il Visitatore inviato dalla Santa Sede ha competenze
diverse rispetto a quello mandato dal Patriarca.
l'importanza della cosa, il Dicastero competente per la stessa materia nei
confronti della Chiesa latina. Particolare sollecitudine compete a questa
Congregazione per i fedeli orientali in territori latini. Essa vigila con at-
tenzione, anche per mezzo di Visitatori, sui nuclei non ancora organizza-
ti di fedeli orientali e, per quanto è possibile, provvederà alle loro neces-
sità spirituali, anche costituendo una gerarchia propria dopo aver
consultato la Congregazione per i Vescovi o la Congregazione per l'Evan-
gelizzazione dei Popoli competente per la costituzione di Chiese partico-
lari nel medesimo rispettivo territorio. Cfr. D. SALACHAS, «Congregazione
per le Chiese Orientali», in P. V. PINTO (a cura di),
Commento alla Pastor
Bonus e alle norme sussidiarie della Curia Romana, Città del Vaticano
2003, 81-84.
48 Cfr. M. BROGI, «Cura pastorale», 129.
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
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La Costituzione Apostolica
Pastor Bonus, allo stesso nume-
ro 59, avverte, inoltre, che la dove il numero dei fedeli e le cir-
costanze lo richiedono, la Congregazione per le Chiese Orien-
tali può prevedere al loro bene spirituale anche mediante una
propria Gerarchia. In questo modo la
Pastor Bonus aggiunge
un altro elemento, il numero dei fedeli, a quelli già previsti dai
due Codici afÀ nché si possano costituire delle Chiese particola-
ri orientali in territori a popolazione prevalentemente latina.
Prima di arrivare a questo provvedimento, però, si deve proce-
dere alla consultazione delle Congregazioni competenti per la
costituzione di chiese particolari nel medesimo territorio49.
La Sede Apostolica esprime la sua particolare attenzione
verso i fedeli orientali e la conservazione della loro identità
anche attraverso il lavoro del PontiÀ cio Consiglio per i Migran-
ti e gli Itineranti50.
Cercando di
riassumere quanto detto possiamo, dunque,
affermare che la legislazione attuale prevede la tutela dei riti e
dei diritti fondamentali dei fedeli, attraverso tre organi di go-
49 Si tratta della Congregazione per i Vescovi oppure della Congrega-
zione per l'Evangelizzazione dei Popoli.
50 Nell'Istruzione
Erga Migrantes viene fatto un particolare accenno
alla situazione dei migranti cattolici orientali e vengono date delle preci-
se indicazioni per la loro cura pastorale nel dovuto rispetto della loro
identità e del proprio patrimonio rituale. «In relazione ai migranti catto-
lici la Chiesa contempla una pastorale speciÀ ca, dettata dalla diversità di
lingua, origine, cultura, etnia e tradizione, o da appartenenza ad una
determinata Chiesa
sui iuris, con proprio rito, che si frappongono spesso
a un pieno e rapido inserimento dei migranti nelle parrocchie territoriali
locali, o che sono da tener presenti in vista dell'erezione di parrocchie o
gerarchia propria per i fedeli di determinate Chiese
sui iuris. Ai tanti
sradicamenti a cui l'espatrio forzatamente sottopone, non si dovrebbe
infatti aggiungere anche quello dal rito o dall'identità religiosa del mi-
grante»,
AAS 96 (2004) 787. La stessa Istruzione, dopo aver ricordato a
riguardo dei cattolici di rito orientale l'obbligo giuridico di osservare do-
vunque – quando sia possibile – il proprio rito, indica le strutture previ-
ste dai due Codici per la cura di questi fedeli. Cfr. PONTIFICIUM CONSILIUM DE SPIRITUALI MIGRANTIUM ATQUE ITINERANTIUM CURA, Instr.
Erga Migrantes
caritas Christi (3 maggio 2004), in
AAS 96 (2004) 788-790.
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La condizione giuridica dei fedeli orientali.
1. Il Vescovo che ha nella sua diocesi fedeli appartenenti ad
un'altra Chiesa
sui iuris:- afÀ dando i fedeli orientali alla cura di sacerdoti o par-
roci del medesimo rito (possiamo includere qui anche i
parroci latini, sebbene non previsto dal CIC ma confor-
memente al can. 916 § 4 del CCEO);
- creando parrocchie personali sulla base del rito;- istituendo per loro un Vicario episcopale;
2. Il Patriarca o l'Arcivescovo Maggiore i cui fedeli hanno
lasciato il territorio della sua giurisdizione:- inviando un Visitatore, insignito o meno del carattere
- collaborando con i Gerarchi nel cui territorio i propri
fedeli hanno trovato dimora;
3. La Sede Apostolica (coadiuvata dalla Congregazione per
le Chiese Orientali e il PontiÀ cio Consiglio per i Migran-
ti e gli Itineranti);- attraverso Visitatori, insigniti o no del carattere episco-
- erigendo delle Circoscrizioni ecclesiastiche personali o
delle Chiese particolari distinte sulla base del rito cioè
delle Gerarchie proprie per ciascun rito (ordinariati,
esarcati, eparchie);
3 I fedeli cristiani orientali afÀ dati a un Ordinario
o a un parroco latino
Il principio della territorialità è fondamentale nell'organiz-
zazione della Chiesa Cattolica. Per il domicilio o il quasi domi-
cilio a ciascun fedele corrisponde il proprio parroco e l'Ordina-
rio del luogo della Chiesa
sui iuris a cui è ascritto ( cfr. CIC
can. 107 § 1; CCEO can. 916 § 1).
I fedeli orientali, per diverse circostanze, si possono trovare
in varie condizioni:
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1. avere il domicilio nel territorio della propria Chiesa
sui
2. essere domiciliati fuori del territorio della propria Chiesa
sui iuris;
3. possono trovarsi fuori del proprio territorio ma avere un
Gerarca della propria Chiesa
sui iuris;
4. possono ritrovarsi in posti dove ci sia soltanto una Gerar-
chia di un rito diverso.
Per i fedeli che si ritrovano nelle situazioni indicate ai nu-
meri primo e terzo non ci sono particolari difÀ coltà riguardan-
ti la loro condizione giuridica. Le difÀ coltà compaiono nei casi
secondo e quarto. I fedeli orientali che hanno il domicilio o il
quasi domicilio in territori dove manca il proprio parroco op-
pure dove non è costituita una Gerarchia orientale propria, si
possono trovare sotto la giurisdizione di un altro Ordinario, il
più delle volte sotto quella del Vescovo latino. Nello stesso tem-
po essi rimangono ascritti alla propria Chiesa
sui iuris. Quale
è dunque il loro stato giuridico?
Nella prospettiva della tutela dei vari riti delle Chiese cat-
toliche orientali il Legislatore del CCEO stabilisce un principio
molto importante. I fedeli, sebbene afÀ dati51 alla cura di un
altro Gerarca, rimangono ascritti alla propria Chiesa
sui iuris:
51 Si è discusso se i fedeli orientali sono soltanto afÀ dati (
commissi) o
sono veri soggetti (
subiecti) dei Gerarchi sotto la cui giurisdizione si tro-
vano dimorando fuori del proprio territorio. La normativa precedente nel
CS, can. 14 sosteneva: «Fideles ritus orientalis, Hierarchae vel parocho
diversi ritus legitime subiecti, proprio ritui permanent adscripti». Il
CCEO, can. 38 usa un termine diverso da quello dell'antico canone: «Fi-
deles orientales, etsi curae Hierarchae vel parocho diverse Ecclesiae par-
ticulari commissi, propriae tamen Ecclesiae permanent adscripti». Pujol
sostiene, riportando la
mens del Concilio (cfr. CD 23, 3), che i suddetti
fedeli sono veri soggetti e non soltanto afÀ dati alla cura dei Gerarchi o
dei parroci di un altra Chiesa
sui iuris. Egli ribadisce che la nuova espres-
sione, «curae commissi» non indicherebbe la vera giurisdizione che il Ve-
scovo locale esercita su questi fedeli e perciò si dovrebbe conservare
l'espressione precedente, cfr. C. PUJOL, «Condicio À delis orientalis ritus
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La condizione giuridica dei fedeli orientali.
CCEO, can. 38: I fedeli cristiani delle Chiese orientali,
anche se afÀ dati alla cura del Gerarca o del parroco di
un'altra Chiesa sui iuris, rimangono tuttavia ascritti alla
propria Chiesa sui iuris.
Anche il Codice latino, riprendendo in parte la norma del
CIC ‘17, can. 98 §552, e le direttive del Concilio (OE 4), tutela i
vari riti stabilendo che:
CIC, can. 112 §2: L'usanza, anche se a lungo protratta,
di ricevere i sacramenti secondo il rito di una Chiesa rituale
di diritto proprio, non comporta l'ascrizione alla medesima
Chiesa.
Il caso si presenta nei territori dove è costituita una Gerar-
chia orientale e in quelli dove una tale Gerarchia non esiste. Di
questi casi tratta più esplicitamente il canone 916 del CCEO:
CCEO, can.916 §4: Se manca il parroco per alcuni fe-
deli cristiani di qualche Chiesa sui iuris , il loro Vescovo
eparchiale designi un parroco di un'altra Chiesa sui iuris
che si prenda cura di costoro come parroco proprio, col
consenso però del Vescovo eparchiale del parroco da de-
signare.
Questo canone tratta di quei territori dove esiste una Ge-
rarchia orientale, entro o fuori dei conÀ ni territoriali di una
Chiesa orientale
sui iuris. Mancando però il parroco per una
comunità in un determinato luogo, il loro Vescovo eparchiale
ha la possibilità di designare un parroco di un'altra Chiesa
sui
iuris, anche della Chiesa latina, se esiste in quel luogo, che si
prenda cura di costoro come proprio parroco a tutti gli effetti
extra suum territorium», in
Periodica de re canonica 73 (1984) 490-494.
L'obiezione e le difÀ coltà sollevate da Pujol vennero discusse nei lovori
della Commissione. Il gruppo di studio ha ritenuto invece che la parola
«commissi» è preferibile a quella di «subiecti» e che essa non diminuisce
la forza del canone. Cfr.
Nuntia 22 (1986) 34-35.
52 CIC ‘17, can. 98 §5: «Mos quamvis diuturnus, sacrae Synaxis ritu
alieno suscipiendae non secumfert ritus mutationem».
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canonici. Ciò deve avvenire col consenso del Vescovo eparchia-
le del parroco da designare53.
Sull'altro caso, cioè quando non esista neanche un esarcato
per i fedeli di qualche Chiesa
sui iuris, aveva già legiferato il
Motu proprio
Cleri Sanctitati al can. 22:
CS, can. 22 §3: Extra territorium proprii ritus, deÀ cien-
te huius ritus Hierarcha, habendus est tamquam proprius,
Hierarcha loci. Quodsi plures sint, ille habendus est
tamquam proprius, quem designaverit Sedes Apostolica,
À rmo praescripto can. 260 §1, n. 2,d.
Il suddetto canone rappresenta la fonte del CCEO, can. 916
§5 il quale afferma:
CCEO, can 916 §5: Nei luoghi dove non è eretto nemme-
no un esarcato per i fedeli cristiani di qualche Chiesa sui
iuris, si deve ritenere come Gerarca proprio degli stessi fe-
deli cristiani il Gerarca di un'altra Chiesa sui iuris , anche
della Chiesa latina, fermo restando il can. 101; se poi sono
parecchi, si deve ritenere come proprio Gerarca colui che
ha designato la Sede Apostolica o, se si tratta di fedeli cri-
stiani di qualche Chiesa patriarcale, il Patriarca con l'as-
senso della Sede Apostolica.
In questa situazione, che è quella più comune, si tratta di
territori dove non esiste una Gerarchia orientale, soprattutto
fuori dai conÀ ni del territorio di una Chiesa
sui iuris.
In base al CCEO, can. 916, possiamo fare un'altra osserva-
zione. Quando i fedeli si trovano in territori dove manca la
propria Gerarchia, il loro Ordinario diventa,
ipso iure, quello
del luogo in cui dimorano. Se ci sono più di uno, la Santa Sede
o il Patriarca con l'assenso della Sede Apostolica designa l'Or-
dinario per quei fedeli. Per quanto riguarda il loro parroco,
questo non è automaticamente determinato, in base al domici-
lio, ma deve sempre essere designato come tale. Se nessuna
Autorità ecclesiastica, però, nomina un parroco per determinati
53 Cfr. D. SALACHAS, «Lo stato giuridico», 19.
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La condizione giuridica dei fedeli orientali.
fedeli orientali, si può ritenere che costui viene identiÀ cato se-
condo il domicilio dei rispettivi fedeli. Avere la chiarezza in
queste situazioni è quanto mai importante, soprattutto nel
campo della celebrazione del matrimonio.
Riassumendo le questioni analizzate possiamo affermare:
1. Se si tratta del territorio di una Chiesa patriarcale, nei
luoghi dove non è eretta un'eparchia o un esarcato orien-
tali, il proprio Vescovo eparchiale per quei fedeli è il Pa-
triarca (cfr. CCEO, can. 101);
2. Nei territori dove l'Ordinario con giurisdizione è unico,
questo è da considerarsi come Gerarca proprio dei fedeli
3. Se si tratta di più Ordinari, che hanno giurisdizione in
quel territorio, è la Sede Apostolica che deve designarne
uno. Se invece i fedeli in causa sono ascritti ad una Chie-
sa Patriarcale (copta, melchita, sira, maronita, armena,
caldea), spetta al Patriarca designare il Gerarca proprio
dei suoi fedeli, con il consenso della Sede Apostolica. Ciò
vale anche per le Chiese Arcivescovili Maggiori (Chiesa
Ucraina, Siro-Malabarese, Siro-Malankarese e Romena)
a norma del can. 152 del CCEO54.
Nella maggioranza dei casi si tratta di fedeli orientali che si
trovano nei territori posti sotto la giurisdizione dei Vescovi la-
tini55. Benché non esista un canone latino equivalente, il
54 Cfr. D. SALACHAS, «Lo stato giuridico», 20.
55 Il caso inverso, cioè di fedeli latini sottoposti alla giurisdizione di
Vescovi orientali non sono molti. Ciò si veriÀ ca in Italia, per i Vescovi bi-
zantini degli italo-albanesi di Lungro e di Piana degli Albanesi; in Etio-
pia, con l'Arcivescovo alessandrino degli etiopi di Addis Abeba ed il Ve-
scovo, anch'egli alessandrino degli etiopi, di Adigrat; in Eritrea, il cui
territorio è interamente sottoposto alla giurisdizione di rito alessandri-
no; ed in India, in otto delle nove eparchie della Chiesa siro-malabarese
site al di fuori del Kerala (fa eccezione la sola eparchia di Kalyan, il cui
territorio corrisponde a quello della diocesi latina di Bombay e di alcune
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CCEO, can 916 §5, vincola direttamente anche i latini, essendo
uno dei nove casi previsti dal Codice orientale al can. 1.
Il Codice latino, a differenza di quello orientale, non tratta
esplicitamente dello stato giuridico di questi fedeli; come ab-
biamo visto nel can. 383 §2, però, parla del dovere dei Vescovi
latini di avere cura dei fedeli di rito diverso che si trovano nel-
le loro diocesi.
4 L'incardinazione di chierici orientali
ad una diocesi latina
Una delle prime misure che il Vescovo deve prendere a ri-
guardo dei fedeli orientali presenti nella sua diocesi, è quella di
assicurare loro un pastore che si prenda cura dei loro bisogni
spirituali. Può farlo designando un suo sacerdote latino, ma è
quanto mai opportuno che assicuri loro un sacerdote del pro-
prio rito. Questo lo può fare sia chiedendo un sacerdote alla
Gerarchia di provenienza sia ordinando un suo suddito di di-
ritto orientale, sia incardinando nella sua diocesi uno o più
sacerdoti del medesimo rito.
I due Codici, latino e orientale prevedono le seguenti situa-
1. Ascrizione di un chierico orientale ad una diocesi latina
(CCEO, cann. 193 §§2-3, 280 §1, 358, 748 §2) e incardi-
nazione di un chierico latino in una eparchia orientale
(CIC, cann. 266 §1, 366 §1,2°, 383 §2, 518, 1015 §2).
2. Passaggio (escardinazione) di un chierico orientale da
una eparchia orientale ad una diocesi latina, con o senza
cambiamento del rito (CCEO, cann. 359, 32 §1, 674) e
passaggio di un chierico latino ad una eparchia orientale
(CIC, cann. 267, 112 §1, 1°, 846).
altre diocesi latine circonvicine). Sono ancor meno e quasi eccezionali, i
casi di fedeli orientali sottoposti ad una diversa giurisdizione orientale:
da ricordare il caso dei copti cattolici emigrati in Libano, i quali sono
stati afÀ dati alla gerarchia maronita. Cfr. M. BROGI, «Cura pastorale di
fedeli di altra Chiesa
sui iuris», nota 2, 120.
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3. Trasferimento di un chierico orientale ad una diocesi la-
tina (CCEO, can. 360) e di un chierico latino ad una
eparchia orientale (CIC, 268 §1).
Come norma generale, qualsiasi chierico latino deve essere
incardinato in una diocesi latina e qualsiasi chierico orientale
deve essere ascritto ad un'eparchia orientale56:
CIC, can. 265: Ogni chierico deve essere incardinato o in
una Chiesa particolare o in una prelatura personale oppure
in un istituto di vita consacrata o in una società che ne ab-
biano la facoltà, in modo che non siano assolutamente am-
messi chierici acefali o girovaghi.
CCEO, can. 357 §1: Qualsiasi chierico deve essere ascrit-
to come chierico a un'eparchia, o a un esarcato, o a un isti-
tuto religioso, o a una società di vita comune a guida dei
religiosi, oppure a un istituto o a un'associazione che abbia
ottenuto dalla Sede Apostolica il diritto di ascriversi dei
chierici oppure, entro i conÀ ni del territorio della Chiesa a
cui presiede, dal Patriarca col consenso del Sinodo perma-
nente.
L'ascrizione ad un'eparchia e l'incardinazione ad una dio-
cesi avviene sia nell'uno che nell'altro Codice con l'ordinazio-
CIC, can. 266 §1: Uno diviene chierico con l'ordinazione
diaconale e viene incardinato nella Chiesa particolare o nel-
la prelatura personale al cui servizio è stato ammesso.
CCEO, can. 358: Per mezzo dell'ordinazione diaconale
uno è ascritto come chierico all'eparchia per il cui servizio è
ordinato, a meno che, a norma del diritto particolare della
propria Chiesa sui iuris , non sia già stato ascritto alla stessa
56 Il Codice latino utilizza la formula «incardinazione ad una diocesi»
mentre quello orientale parla di «ascrizione ad una eparchia». I due ter-
mini, sebbene siano diversi, tuttavia esprimono la stessa realtà. Bisogna
tenere presente che l'ascrizione ad un'eparchia è ben diversa dall'ascri-
zione ad una Chiesa
sui iuris.
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Abbiamo già visto come un Vescovo latino, che ha nella sua
diocesi dei fedeli orientali, diventa il loro Ordinario e deve
provvedere alla loro cura pastorale. Questo lo può fare sia me-
diante sacerdoti o parroci del medesimo rito (CIC, can. 383
§2)57, sia costituendo una parrocchia personale sulla base del
rito di quei fedeli (CIC, can. 518). La questione si pone ora
sulla possibilità o meno del Vescovo latino di incardinare nella
sua diocesi un chierico orientale. In altre parole, quali sono i
modi, se ce ne sono, previsti dal Codice afÀ nché un chierico
orientale venga incardinato, o entri a far parte della diocesi
Il Vescovo latino può, mediante l'ordinazione diaconale, in-
cardinare nella sua diocesi un candidato orientale e afÀ dargli
la cura pastorale dei fedeli orientali. Il Codice latino prevede,
infatti, la possibilità per un Vescovo di avere come suo suddito
un candidato all'Ordine sacro di rito orientale:
CIC, can. 1015 §2: Il Vescovo proprio, che per una giusta
causa non sia impedito, ordini personalmente i suoi sudditi;
non può tuttavia ordinare lecitamente un suddito di rito
orientale, senza indulto apostolico.
57 Nel designare un sacerdote per i fedeli orientali dimoranti nella sua
diocesi, il Vescovo latino dovrebbe consultare il Vescovo o la Gerarchia
della Chiesa
sui iuris dei fedeli in questione o anche chiedere a loro di
presentargli un candidato. Il Codice orientale, can. 193 §3, impone al ri-
guardo un accordo con i Patriarchi (e Arcivescovi Maggiori) se si tratta di
fedeli delle loro Chiese. Mancando l'accordo la questione viene deferita
alla Sede Apostolica. Sembra una buona soluzione quella adottata da una
Chiesa patriarcale, la quale sottoscrive apposite convenzioni con singoli
vescovi latini. La Chiesa patriarcale pone un sacerdote a disposizione del
Vescovo latino; il Vescovo lo impegna a tempo limitato in curia o come
vicario parrocchiale (latino) e gli afÀ da, con o senza facoltà parrocchiali,
la cura pastorale dei suoi connazionali. Con questa soluzione il sacerdote
orientale, inserito
pleno iure nel clero della diocesi di accoglienza, evita i
pericoli dell'isolamento e gode dei diritti e dei doveri degli altri sacerdoti,
anche sul piano economico e sanitario. Cfr. M. BROGI, «Cura pastorale»,
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Questo canone riprende la normativa precedente del Codice
Pio- Benedettino:
CIC ‘17, can. 955 §2: Episcopus proprius, iusta causa
non impeditus, per se ipse suos subditos ordinet; sed subdi-
tum orientalis ritus, sine apostolico indulto, licite ordinare
non potest.
Anche il Codice orientale prevede la possibilità che sia sud-
dito di un Vescovo eparchiale un chierico ascritto a un'altra
Chiesa
sui iuris:
CCEO, can. 748 §2: Un Vescovo eparchiale non può ordi-
nare un candidato suo suddito ascritto a un'altra Chiesa
sui iuris se non con la licenza della Sede Apostolica; se inve-
ce si tratta di un candidato che è ascritto alla Chiesa pa-
triarcale e che ha il domicilio o quasi domicilio entro i con-
À ni del territorio della stessa Chiesa, questa licenza può
concederla anche il Patriarca.
I canoni sono concordi nello stabilire che, senza l'indulto
apostolico, né il Vescovo latino può ordinare un candidato
orientale né il Vescovo eparchiale può ordinare un candidato
latino. Il Codice orientale prevede inoltre che, nel caso di un
candidato ascritto ad una Chiesa patriarcale, la licenza possa
essere concessa dal Patriarca. L'obbligo di questa licenza, della
Sede Apostolica o del Patriarca, riguarda la sola liceità della
celebrazione dell'ordinazione e si riferisce, più propriamente,
al caso in cui essa avvenga in un rito liturgico diverso da quel-
lo al quale appartiene il candidato, oppure quando il Vescovo
eparchiale dell'ordinando chieda il permesso di celebrarne
l'ordinazione nel rito del candidato.
Per ciò che riguarda le lettere dimissorie, spetta al Vescovo
proprio di concederle:
«il Vescovo dell'eparchia o diocesi dove il candidato
viene ascritto conserva pieno diritto di concedere lettere
dimissorie ad un Vescovo appartenente alla Chiesa
sui
iuris del candidato, afÀ nché questi proceda alla sacra
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ordinazione osservando le prescrizioni liturgiche del
proprio rito»58.
Come abbiamo avuto modo più volte di sottolineare, spetta
alla Sede Apostolica il compito di tutelare l'identità delle Chie-
se orientali cattoliche. Sotto quest'aspetto si può leggere anche
l'inciso dei canoni appena menzionati che stabilisce la necessi-
tà della licenza o dell'indulto apostolico per procedere all'ordi-
nazione di un candidato suddito ascritto ad un'altra Chiesa
sui
iuris. In base alla norma del CCEO, can. 748 §2 si può notare
«l'osservanza del rito acquista un'importanza superiore
di quella di Chiesa locale, nella quale i diaconi e i presbiteri
costituiscono col Vescovo un unico presbiterio, ciò che si
manifesta soprattutto nell'ordinazione da parte del Vesco-
vo eparchiale dei propri sudditi»59.
I due Codici sono unanimi nello stabilire che il rito in cui si
svolge l'ordinazione deve essere quello del ministro:
CIC, can. 846 §2: Il ministro celebri i sacramenti secon-
do il proprio rito.
CCEO, can. 674 §2: Il ministro celebri i sacramenti se-
condo le prescrizioni liturgiche della propria Chiesa sui iu-
ris, a meno che dal diritto non sia stabilito diversamente o
che non abbia ottenuto una speciale facoltà dalla Sede Apo-
stolica.
L'Ordinario latino può dunque incardinare, attraverso l'or-
dinazione, un candidato orientale nella propria diocesi. Il Ve-
scovo è tenuto anche a provvedere alla sua formazione e deve
osservare il can. 343 del CCEO, secondo il quale gli alunni,
58 CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI,
Istruzione per l'applicazio-
ne delle prescrizioni liturgiche del Codice dei Canoni delle Chiese Orien-
tali, Città del Vaticano 1996.
59 D. SALACHAS, «Commento al can. 748», in P. V. PINTO (a cura di),
Commento al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, 628.
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anche se ammessi in un seminario di un'altra Chiesa
sui iuris,
siano formati secondo il rito proprio. Benché incardinato nella
diocesi latina, il chierico rimane ascritto alla propria Chiesa
sui iuris, quella di provenienza. Se in quel territorio latino fos-
se costituita in seguito una Gerarchia orientale, i chierici
orientali ascritti a questa diocesi passano
ipso iure alla rispet-
tiva Gerarchia orientale. La ragione risiede nel fatto che i fede-
li orientali per i quali è stata istituita una propria Gerarchia,
cessano di essere sudditi dell'Ordinario del luogo di quel terri-
All'infuori di questo caso, il Vescovo diocesano latino non
può incardinare nella sua diocesi un candidato orientale, a
meno che non abbia ottenuto il consenso della Sede Apostolica,
per il passaggio alla Chiesa latina a norma del can. 32 del
Ragioni di ordine pastorale possono indurre un Vescovo la-
tino ad incardinare un chierico orientale nella sua diocesi at-
traverso l'ordinazione. Le stesse ragioni permettono il passag-
gio o il trasferimento di un chierico orientale in una diocesi
latina. Non bisogna escludere, però, anche il bene personale
dello stesso chierico, che a volte può indurre verso la scelta di
un'altra Chiesa particolare.
Nel caso del passaggio di un orientale, già costituito nell'or-
dine sacro, alla Chiesa latina, si richiede la lettera di dimissio-
ne (di escardinazione) sottoscritta dal proprio Vescovo epar-
chiale e, parimenti, una lettera di incardinazione del Vescovo
della diocesi in cui desidera essere incardinato, sottoscritta dal
CCEO, can. 359: Perché un chierico già ascritto a
un'eparchia possa validamente passare a un'altra eparchia,
deve ottenere dal suo Vescovo eparchiale una lettera di di-
missione sottoscritta dal medesimo e parimenti una lettera
60 Cfr. D. SALACHAS - L. SABBARESE,
Chierici e ministero sacro nel Codi-
ce latino e orientale. Prospettive interecclesiali, Città del Vaticano 2004,
61 Cfr. D. SALACHAS, «Lo stato giuridico», 23.
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di ascrizione dal Vescovo eparchiale della eparchia a cui de-
sidera essere ascritto, sottoscritta dal medesimo.
CIC, can. 267 §1: Perché un chierico già incardinato sia
incardinato validamente in un'altra Chiesa particolare,
deve ottenere dal Vescovo diocesano una lettera di escardi-
nazione sottoscritta dal medesimo; allo stesso modo deve
ottenere dal Vescovo diocesano della Chiesa particolare nel-
la quale desidera essere incardinato una lettera di incardi-
nazione sottoscritta dal medesimo.
Il passaggio del chierico orientale ad una diocesi latina
(come pure ad una eparchia orientale) può avvenire con o sen-
za cambiamento del rito.
Se il suddetto chierico orientale, pur restando ascritto alla
propria Chiesa
sui iuris, passa validamente a una diocesi lati-
na per il servizio dei fedeli sia orientali che latini, oppure sol-
tanto per il servizio dei fedeli latini, deve ottenere dalla Sede
Apostolica la facoltà di biritualismo62. In questo caso si tratte-
rebbe di adattamento al rito latino da parte del chierico, che,
però, conserva l'ascrizione alla propria Chiesa di origine63.
Se il chierico orientale, però, vuol passare deÀ nitivamente
alla Chiesa latina, abbandonando la propria Chiesa
sui iuris,
deve avere il consenso esplicito della Sede Apostolica, a norma
del CCEO, can. 32.
Oltre ai casi analizzati, per le stesse ragioni pastorali oppu-
re per il bene personale del chierico stesso64, la legislazione
canonica contempla anche la possibilità del trasferimento. La
62 Il Codice orientale al can. 674 §2 statuisce: «Il ministro celebri i
sacramenti secondo le prescrizioni liturgiche della propria Chiesa
sui iu-
ris, a meno che dal diritto non sia stabilito diversamente o che non abbia
ottenuto una speciale facoltà dalla Sede Apostolica».
63 Cfr. D. SALACHAS - L. SABBARESE,
Chierici e ministero sacro, 341.
64 Il bene personale del chierico non signiÀ ca che il trasferimento o il
passaggio è un suo diritto, ma che egli ha la facoltà di esprimere il suo
desiderio alla competente autorità, alla quale spetta discernere se il chie-
rico sia animato dalla sollecitudine per tutte le chiese oppure da altri
motivi. Cfr. D. SALACHAS - L. SABBARESE,
Chierici e ministero sacro, 342.
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La condizione giuridica dei fedeli orientali.
licenza di trasferimento riguarda il caso di un chierico che ac-
quista il domicilio o quasi-domicilio in una diocesi diversa da
quella di origine a motivo del ministero che in essa è chiamato
ad esercitare. Il trasferimento avviene su licenza del Vescovo
diocesano
a quo e previa accettazione del Vescovo
ad quem,
mentre il chierico rimane incardinato nella propria Chiesa
particolare65. I due Codici, latino e orientale, statuiscono:
CIC, can. 271 §2: Il Vescovo diocesano può concedere ai
suoi chierici la licenza di trasferirsi in un'altra Chiesa par-
ticolare per un tempo determinato, rinnovabile anche più
volte, in modo però che i chierici rimangano incardinati
nella propria Chiesa particolare e, se vi ritornano, godano
di tutti i diritti che avrebbero se avessero esercitato in essa
il ministero sacro.
CCEO, can. 360 §1
: La trasmigrazione di un chierico in
altra eparchia, conservando l'ascrizione, avviene per un
tempo determinato, rinnovabile anche più volte, per mezzo
di una convenzione scritta, stipulata tra due Vescovi epar-
chiali, nella quale sono stabiliti i diritti e i doveri del chieri-
co o delle parti.
La licenza di trasferimento può essere data solo a tempo
determinato, anche se rinnovabile più volte. I presbiteri che
esercitano il loro ministero nella diocesi appartengono a pieno
titolo al presbiterio di tale diocesi dove hanno voce sia attiva
sia passiva per costituire il consiglio presbiterale (CIC, can.
498 §1.2°; CCEO, can. 267 §1.2°)66.
Per quanto riguarda la possibilità per un Vescovo latino di
incardinare un chierico orientale coniugato destinato per la
cura pastorale dei fedeli orientali della sua diocesi, non vi è
65 Cfr. L. SABBARESE,
I fedeli costituiti popolo di Dio, Roma 2000, 94.
66 Cfr. CONGREGATIO PRO CLERICIS, Directorium
Dives Ecclesiae, 31 mar-
zo 1994, n. 26.
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
Ionuġ Paul Strejac
nessun divieto canonico67, salve le norme speciali della Sede
Apostolica per determinate regioni68:
CCEO, can. 758 §3: A riguardo dell'ammissione agli or-
dini sacri dei coniugati si osservi il diritto particolare della
propria Chiesa sui iuris o le norme speciali stabilite dalla
Sede Apostolica.
Il diritto particolare di ciascuna Chiesa
sui iuris può provve-
dere la non ammissione di uomini sposati agli ordini69. Da par-
te sua, anche la Sede Apostolica può proibire l'ammissione di
presbiteri coniugati, fatto che, in realtà, avviene per consuetudine
67 Cfr. D. SALACHAS, «Lo stato giuridico», 24.
68 Il celibato del clero in diaspora fu stabilito dalla Congregazione per
la Chiesa orientale: per gli Ucraini e i Ruteni negli Stati Uniti con il de-
creto
Cum data fuerit (1 marzo 1929), in
AAS 21 (1929) 152-159; per gli
Ucraini-Ruteni in Canada, con il decreto
Graeci-Ruteni Ritus (23 dicem-
bre 1930), in
AAS 22 (1930) 346-354. Con il decreto
Qua sollerti alacrita-
te (24 maggio 1930), art. 6, la stessa Congregazione stabili che in America
e in Australia non si ammettano sacerdoti sposati ma soltanto celibi o
vedovi [cfr.
AAS 22 (1930) 99-105]. Il Sinodo dei Vescovi della Chiesa
greco-melkita cattolica, riunitosi a Raboueh-Liban, dal 21 al 26 luglio
1997, ha discusso sul problema dei preti sposati in diaspora [cfr.
Le lien
62 (1997) 31]. La Conferenza episcopale australiana, nella sessione tenu-
ta dal 19 al 28 maggio 1998, ha abrogato la mozione n. 8 del 9 novembre
1949, nella quale l'episcopato australiano aveva ordinato che solo il clero
celibe era ammesso all'esercizio del ministero in Australia [cfr.
Irénikon
71 (1998) 380]. Il Consiglio dei Gerarchi della Chiesa cattolica di rito
ucraino e ruteno negli USA ha deciso, il 1 settembre 1998, che i preti
sposati greco-cattolici possono esercitare il ministero nelle diocesi ucrai-
ne-rutene nel Nord America [cfr.
Il Regno-attualità 16 (1998) 526]. Il 4
marzo 1998, il Card. Sodano, Segretario di Stato, ha inviato una lettera
al Nunzio Apostolico in Polonia che trattava del rinvio in Ucraina di pre-
ti ucraini cattolici perché coniugati, che esercitano il loro ministero nella
regione di Przemysl. Dopo le proteste della Chiesa ucraina, il Card. Soda-
no ha rinviato la decisione promettendo di esaminare meglio la cosa. Cfr.
L. LORUSSO,
Gli Orientali cattolici e i pastori latini, 112-113.
69 Ciò capita in pratica per la Chiesa cattolica orientale in India. Nella
Chiesa siro-malabarese e siro-malankarese è in vigore il celibato dei chie-
rici. Tutte le altre Chiese
sui iuris ammettono i chierici coniugati.
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
La condizione giuridica dei fedeli orientali.
nei territori della Chiesa latina70. Attualmente la questione e
molto discussa. Alcuni autori71 sostengono che dopo il Concilio
Vaticano II e la promulgazione del Codice orientale i decreti
proibitivi degli anni ‘30 non siano più in vigore. Altri, invece,
sono dubbiosi sulla permanenza o meno della proibizione72. In
risposta al dubbio sollevato, la Congregazione per le Chiese
Orientali ha confermato che la proibizione è ancora in vigore73.
Sembra che in pratica questa risposta sia ignorata e che si dif-
fondi una nuova usanza, la quale non prende in considerazio-
ne che la disciplina orientale del clero coniugato sia applicabile
soltanto dentro dei limiti territoriali74.
Il divieto del clero sposato per la diaspora fu introdotto die-
tro richiesta dei Vescovi latini a causa del
gravissimum scan-
dalum recato ai fedeli latini e perché avrebbe inÁ uenzato ne-
gativamente il clero celibe. Oggi, però, la situazione è cambiata:
«nella prospettiva di una revisione della questione, si
deve notare che i tempi sono ormai maturi per l'abrogazio-
ne delle norme speciali della Sede Apostolica, ancora in vi-
gore – divenute "consuetudine" – che impongono il divieto
70 L'inizio delle norme restrittive si è avuto nel 1880, con la massiccia
emigrazione dei fedeli greco-ruteni in America. La Congregazione di Pro-
paganda Fidei, con decreto del 1 ottobre 1890, proibì ai sacerdoti coniu-
gati greco-ruteni di stabilirsi negli Stati Uniti. Nel 1913, la stessa Con-
gregazione ha decretato che in Canada, trai fedeli orientali, solo i celibi
potevano essere ordinati presbiteri. Altri tre decreti della Congregazione
per la Chiesa Orientale, negli anni 1929-1930 hanno completato la nor-
mativa sul celibato del clero in diaspora. Cfr. D. SALACHAS - L. SABBARESE,
Chierici e ministero sacro, 344-345.
71 R. CHOLIJ, «An Eastern Catholic Married Clergy in North America:
Recent Changes in Legal Status and Ecclesiological Perspective», in
Stu-
dia Canonica 31 (1977) 331-339.
72 Cfr. D. SALACHAS - L. SABBARESE,
Chierici e ministero sacro, 345.
73 Cfr. N. R. RACHFORD, «Norms of Particular Law for the Byzantine
Metropolitan Church sui iuris of Pittsburgh, USA», in F. S. PEDONE - J. I.
DONLON (eds.),
Roman Replies and CLSA Advisory Opinions 2000, Wash-
ington, D.C. 2000, 233-243.
74 Cfr. G. NEDUNGATT, «Clerics (cann. 323-398)», in G. NEDUNGATT (a
cura di),
A guide to the Eastern Code, 303.
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di inviare in diaspora, sia nei territori in cui esiste gia una
gerarchia orientale, sia nei territori in cui non esiste una
gerarchia orientale e i fedeli orientali sono sotto la potestà
dell'Ordinario latino (Francia, Austria, Belgio, ecc.), dei sa-
cerdoti orientali sposati oppure ordinare uomini orientali
5 Ammissione di candidati orientali in Istituti reli-
giosi latini
La considerevole presenza degli orientali in diaspora, in al-
cune regioni ha una storia di ormai due o tre generazioni. Non
si può dire lo stesso delle strutture offerte a questi fedeli per la
tutela del proprio rito, per la conservazione della loro identità
e per la loro crescita come comunità. Sia per la presenza di
comunità orientali in territori a maggioranza latina, sia per
l'afÁ usso di famiglie religiose nelle regioni delle Chiese
sui iu-
ris, si fa sempre più frequente il caso di candidati orientali in
Istituti di vita consacrata latini76.
Il Codice
Pio-Benedictino dichiara valida, ma illecita, l'am-
missione di un candidato orientale in un Istituto religioso lati-
75 D. SALACHAS - L. SABBARESE,
Chierici e ministero sacro, 346.
76 Per una visione completa sul tema della Vita consacrata nei due
Codici, che non intendiamo affrontare in questo lavoro, si veda l'abbon-
dante bibliograÀ a in merito: D. J. ANDRÉS, «Observaciones introductorias
al titulo De Monachis Coeterisque Religiosis del CCEO», in
Apollinaris
65 (1992) 137-147; J. BEYER, «De vita consecrata in iure utriusque Codicis
orientalis et occidentalis», in
Periodica de re canonica 81 (1992) 283-302;
P. PUJOL,
La vita religiosa orientale. Commento al Codice di Diritto Cano-
nico Orientale, Roma 1994; R. M. MCDERMOTT, «Two Approaches to Con-
secrated Life: The Code of Canons of the Eastern Churches and the Code
of Canon Law», in
Studia Canonica 29 (1995) 193-239; D. M. JAEGER,
«Alcuni appunti sui religiosi nel
Codex Canonum Ecclesiarum Orienta-
lium», in K. BHARANIKULANGARA (a cura di)
Il Diritto canonico orientale
nell'ordinamento ecclesiale; J. ABBASS,
Two Codes in Comparison; N.
LODA, «Il Titolo XII del CCEO (cann. 410-572). Prospetto tavolare di
comparazione ed evoluzione normativa», in
Commentarium pro religio-
sis et missionariis 79 (1998) 73-94.
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La condizione giuridica dei fedeli orientali.
no, senza il permesso scritto della Sacra Congregazione per la
Chiesa Orientale:
CIC' 17, can. 542 §2: Illicite, sed valide admituntur […]
orientales in latinis religionibus sine venia scripto data Sa-
crae Congregationis pro Ecclesia Orientali. Un'Interpretazione autentica del 1925 stabilisce, invece,
che possono essere ammessi negli Istituti latini, senza la licen-
za della Sacra Congregazione Orientale, gli orientali che, con-
servando il proprio rito, si preparano per erigere case e provin-
ce religiose di rito orientale77.
La regola stabilita dal CIC ‘17, can. 542, tranne un'eccezio-
ne, viene confermata dal can. 74 §2 del Motu proprio
Postquam
Can. 74 §2 Firmis praescriptis in propriis cuiusque Reli-
gionis statutis, illicite sed valide admittuntur:
6° Latini in orientalibus Religionibus vel ipsi Orientales
in Religionibus latinis – iis exceptis de quibus in can. 5 – vel
orientalibus diversi ritus sine licentia scripto data a Sacra
Congregatione pro Ecclesia Orientali.
L'eccezione riguarda il can. 5 dello stesso Motu proprio, il
quale si distacca dall'interpretazione autentica del 1925:
Can. 5: Domus Religionum latini ritus quae orientali ri-
tui, probante Apostolica Sede, adscripta sunt, ius hac lege
statutu servare debent, salvis praescriptis statutorum quae
internum regimen Religionis respiciunt et privilegiis suae
Religioni a Sede Apostolica concessis.
Questo canone parla di case latine che sono ascritte ad un
rito orientale (oggi diremmo ascritte ad una Chiesa
sui iuris).
Non basta più che l'Istituto religioso latino prepari case di rito
orientale, come diceva l'Interpretazione del 1925, ma occorre
77 Cfr. PONTIFICIA COMMISSIO AD CODICIS CANONES AUTHENTICE INTERPRE-
TANDOS,
Responsa ad proposita dubia "De admissione Orientalium ad
novitiatum" del 10 nov. 1925, in
AAS 17 (1925) 583.
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Ionuġ Paul Strejac
che le abbia già. Di più, dette case debbono essere state ascrit-
te ad un rito orientale con l'approvazione della Santa Sede78.
Il nuovo Codice latino non tratta quest'argomento. Ne par-
la invece il Concilio nel decreto
Orientalium Ecclesiarum79:
«Si raccomanda caldamente agli istituti religiosi e
alle associazioni di rito latino, che prestano la loro opera
nelle regioni orientali o tra i fedeli orientali, che per una
maggiore efÀ cacia dell'apostolato fondino, per quanto è
possibile, case o anche province di rito orientale» (OE 6).
Il Codice orientale, ispiratosi all'invito del Concilio, stabili-
CCEO, can. 432: Il monastero dipendente, la casa o la
provincia di un istituto religioso di qualsiasi Chiesa sui
iuris, anche della Chiesa latina, che viene ascritto, col
consenso della Sede Apostolica, a un'altra Chiesa sui iu-
ris , deve osservare il diritto di questa Chiesa, salve re-
stando le prescrizioni del tipico o degli statuti che ri-
guardano il governo interno del medesimo istituto e i
privilegi concessi dalla Sede Apostolica.
Questa norma menziona espressamente la Chiesa latina.
Nonostante il legislatore latino non abbia stabilito niente al
riguardo, essa vincola anche i latini.
Il monastero dipendente, la casa o la provincia di un Istitu-
to religioso latino, costituiti
ad normam iuris, da una parte,
devono osservare il diritto della Chiesa
sui iuris a cui sono
state ascritte, dall'altra, gli statuti che riguardano il governo e
la disciplina interni dell'Istituto latino a cui appartengono.
L'Istituto religioso latino, dopo aver fondato una casa o provincia
orientale, può dunque ricevere liberamente in essa candidati
78 Cfr. M. BROGI, «Ammissione candidati orientali», in
Antonianum 54
79 Il decreto OE, in nota a questo paragrafo, fa la seguente aggiunta:
«La prassi della Chiesa cattolica, sotto i pontiÀ cati di Pio XI, Pio XII e
Giovanni XXIII, sta a dimostrare abbondantemente l'esistenza di un mo-
vimento in tal senso».
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
La condizione giuridica dei fedeli orientali.
orientali; può ricevere anche dei candidati latini, i quali, dopo
aver ottenuto la licenza della Sede Apostolica, sono formati e
destinati in favore delle comunità orientali80.
Fuori del caso menzionato nel CCEO, can. 432, il Codice
orientale stabilisce che, senza la licenza della Sede Apostolica,
nessuno può essere ammesso lecitamente al noviziato di un
Istituto religioso di un altra Chiesa
sui iuris.
CCEO, can. 517 §2: Nessuno può essere ammesso lecita-
mente al noviziato di un istituto religioso di un'altra Chiesa
sui iuris senza la licenza della Sede Apostolica, a meno che
non si tratti di un candidato che è destinato a una provincia
o casa, di cui nel can. 432, della propria Chiesa.
CCEO, can. 451: Nessuno può essere lecitamente am-
messo al noviziato di un monastero di un'altra Chiesa sui
iuris senza la licenza della Sede Apostolica, a meno che non
si tratti di un candidato che è stato destinato a un monaste-
ro dipendente, di cui nel can. 432, della propria Chiesa.
La norma stabilita nei canone 517 §2 e 451 del CCEO non
menziona espressamente la Chiesa latina. Essa riguarda, tut-
tavia, anche i candidati orientali che vogliono essere ammessi
al noviziato in Istituti religiosi o monasteri della Chiesa latina,
benché nel CIC non si dica nulla a riguardo81. La consapevolez-
za dell'interrelazione dei due Codici e la conoscenza dei canoni
visti sopra, riguardanti l'entrata nel noviziato di un Istituto o
monastero di un altra Chiesa
sui iuris, diventano ancora più
importanti alla luce di un'altra norma in cui la Chiesa latina è
menzionata espressamente. Si tratta del CCEO, can. 41 che
80 Cfr. D. SALACHAS, «Problematiche interrituali», 654.
81 I cann. 517 §2 e 451 del CCEO non hanno un equivalente nel CIC
ma riguardano anche la Chiesa latina come Chiesa
sui iuris. Cfr. J. AB-BASS, «The interrelationship of the Latin and Eastern Codes, in
The Ju-
rist, 68 (1998) 1-40; vedi anche J. ABBASS,
Admission of Eastern Catholic
to Latin Religious Institute, in
Roman Replies 2001, 177-180.
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
Ionuġ Paul Strejac
CCEO, can. 41: I fedeli cristiani di qualsiasi Chiesa sui
iuris, anche della Chiesa latina, che per ragione di ufÀ cio, di
ministero o di incarico hanno relazioni frequenti con i fede-
li cristiani di un'altra Chiesa sui iuris , siano formati accu-
ratamente nella conoscenza e nella venerazione del rito
della stessa Chiesa, secondo l'importanza dell'ufÀ cio, del
ministero o dell'incarico che adempiono.
La licenza della Sede Apostolica riguarda l'ingresso al novi-
ziato ma non implica automaticamente anche l'ascrizione ad
un'altra Chiesa
sui iuris o alla Chiesa latina. Tale ascrizione
richiederebbe, a norma del canone 32 del CCEO, il consenso
della Sede Apostolica.
Se si tratta, invece, del passaggio di un monaco o di un reli-
gioso orientale con voti perpetui ad un monastero o Istituto
religioso di un'altra Chiesa
sui iuris, inclusa quella latina, si
richiede per la validità il consenso della Sede Apostolica:
CCEO, can. 487 §4: Per la validità del passaggio a un
monastero di un'altra Chiesa sui iuris si richiede inoltre il
consenso della Sede Apostolica.
CCEO, can. 544 §4: Per la validità del passaggio a un
istituto religioso di un'altra Chiesa sui iuris è richiesto il
consenso della Sede Apostolica.
CCEO, can. 562 §1: Circa il passaggio a un'altra società
di vita comune a guisa dei religiosi o a un istituto religioso,
si richiede il consenso del Superiore generale della società
dalla quale avviene il passaggio e, se si tratta di passaggio
in una società o istituto di un'altra Chiesa sui iuris , anche
il consenso della Sede Apostolica.
Queste norme del Codice orientale non hanno un equiva-
lente in quello latino. Benché non includano espressamente la
Chiesa latina e non esistano nel CIC, esse si applicano anche
ad essa. Salachas afferma in merito che: «tenendo conto della
mente del legislatore, della
ipsa natura rei, e della À nalità del-
la norma, si può affermare che si applichino anche per la Chiesa
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
La condizione giuridica dei fedeli orientali.
latina»82. Dello stesso parere è anche Brogi che commentando
il CCEO, can. 451, conferma che: «questa norma vale soltanto
per la Chiesa
sui iuris orientale, ma poiché invalida per diritto
pontiÀ cio il distacco del religioso dall'ente orientale del quale è
membro, ne invalida ovviamente anche l'ammissione in quello
Il Codice latino elenca soltanto gli impedimenti che ostano
ad una valida ammissione al noviziato e non menziona ciò che
è richiesto per la liceità, ragion per cui spesso avviene che Isti-
tuti religiosi latini ne omettano l'applicazione. I canoni del Co-
dice orientale, che abbiamo analizzato, si riferiscono allo
sta-
tus personarum, perciò tutti gli orientali dovunque si trovino,
sono tenuti ad osservarli. Questo signiÀ ca che i citati canoni
vincolano i fedeli orientali anche nel loro rapporto con le isti-
tuzioni latine84.
La ragione di queste norme s'iscrive nella particolare solle-
citudine per la À oritura delle Chiese orientali. Infatti, le dispo-
sizioni previste dai canoni summenzionati dovrebbero «rende-
re sempre più difÀ cile il depauperamento di buoni elementi
attraverso l'ingresso in monasteri di altro rito»85.
Gli Istituti latini presenti nelle regioni orientali ignorano
spesso i dettami formulati nel Codice orientale. Accanto al fat-
to che l'atteggiamento latinizzante di certi Istituti religiosi la-
tini in Oriente crea una vera emorragia delle forze spirituali
delle Chiese orientali, tante volte i candidati si trovano in uno
stato irregolare. È quanto mai opportuno, perciò, procedere
alla regolarizzazione della situazione canonica dei tanti fedeli
orientali ammessi in Istituti di rito diverso dal proprio, senza
la licenza della Sede Apostolica86. Nell'indulto concesso dalla
Congregazione per le Chiese orientali al À ne di regolarizzare la
82 D. SALACHAS, «Problematiche interrituali», 655.
83 M. BROGI, «Il nuovo Codice orientale e la Chiesa latina», in
Antonia-
num 66 (1991) 58.
84 Cfr. D. SALACHAS - L. SABBARESE,
Chierici e ministero sacro, 351.
85
Nuntia 6 (1978) 43.
86 Cfr. D. SALACHAS - L. SABBARESE,
Chierici e ministero sacro, 353-354.
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posizione canonica di chi è stato ammesso nel noviziato di un
Istituto religioso latino senza il previo permesso della Sede
Apostolica, come richiesto dal CCEO, can. 517 §2, si sottolinea
che la persona interessata può conformarsi in tutto al rito lati-
no, rimanendo comunque ascritta al proprio rito e alla propria
Chiesa
sui iuris, in modo che, se dovesse, per qualsiasi ragione,
cessare di appartenere a quell'Istituto, essa ritornerà al pro-
prio rito e alla propria Chiesa87.
Nel caso di un candidato orientale professo in un Istituto
latino, che deve essere ordinato sacerdote, ci chiediamo chi è
competente a svolgere una tale ordinazione? Benché professo
in un Istituto latino, il candidato rimane ascritto alla propria
Chiesa
sui iuris. La regola generale richiede che l'ordinazione
sia celebrata dal Vescovo della propria Chiesa
sui iuris. Per
una dispensa da questa regola si deve ottenere il consenso del-
la Congregazione per le Chiese Orientali88. La pratica della
Congregazione, tuttavia, non era quella di accordare un tale
consenso, data l'importanza di favorire e salvaguardare la ric-
ca varietà delle Chiese che forma l'universalità della Chiesa
Come conseguenza, gli Istituti religiosi latini che svolgono
la loro opera nelle regioni orientali, oppure che hanno tra i
candidati fedeli orientali, devono prestare maggiore attenzio-
ne non soltanto alla normativa latina ma anche a quanto viene
previsto del Codice orientale. Ciò richiede che gli Istituti reli-
giosi latini provvedano ad assumersi delle speciÀ che responsa-
bilità nell'accogliere candidati provenienti da una Chiesa
orientale
sui iuris e mettano in atto misure per adempiere tale
responsabilità e per garantire di fatto la salvaguardia dell'identità
Cfr.
Roman Replies 1999, 41-42.
88 L'ordinazione deve avvenire secondo il rito dell'interessato; tutta-
via, con il permesso della Congregazione, può essere utilizzato il rito lati-
no. Cfr.
Roman Replies 1999, 41-42.
89 Cfr. J. ABBASS, «Admission of Eastern Catholic to Latin Religious
Institute», in
Roman Replies 2001, 179.
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
La condizione giuridica dei fedeli orientali.
orientale. Nonostante ciò, la libertà dei fedeli orientali di en-
trare in un Istituto religioso latino deve sempre restare intatta:
«la consacrazione religiosa non è né latina né orientale,
bensì un dono di Dio ai
ChristiÀ deles eletti. Tuttavia, tutti
i fedeli hanno il diritto di esercitare debitamente il culto
divino secondo le prescrizioni della propria Chiesa
sui iuris
e di seguire una propria forma di vita spirituale consone
alla propria tradizione, che sia, però, in accordo con la dot-
trina della Chiesa»90.
Cercando di raccogliere gli elementi più importanti che si
sono delineati nel corso della presente ricerca, si può afferma-
1. Alla luce dei documenti conciliari, ed in base all'ecclesio-
logia di comunione che si concretizza nei canoni del CIC e
CCEO, le Chiese orientali ritrovano il loro giusto posto all'in-
terno della Chiesa cattolica la quale non si identiÀ ca con la
Chiesa latina. Il principio della comunione, oltre che a raffor-
zare l'importanza della diversità nell'unità, riconosce ai fedeli
il diritto di vivere la fede secondo il proprio rito ed esige dai
pastori latini di venire incontro alle necessità spirituali di quei
fedeli che vivono nel territorio della loro diocesi sprovvisti di
un Ordinario proprio.
2. L'interdipendenza tra CIC e CCEO ci permette di indivi-
duare una serie di preziose indicazioni per valutare i problemi
che sorgono dalle relazioni interrituali dei fedeli e per decidere
sulla normativa da applicare in determinati casi concreti non
previsti esplicitamente dai canoni latini o da quelli orientali.
3. La normativa latina non affronta direttamente l'assunto
dello stato giuridico dei fedeli orientali nei territori della Chie-
sa latina come, invece, fa il Codice orientale (CCEO, can. 916
§§ 4,5). Parla, tuttavia, del dovere dei Vescovi di avere cura dei
fedeli di rito diverso che si trovano nelle loro diocesi (CIC, can.
90 D. SALACHAS - L. SABBARESE,
Chierici e ministero sacro, 357.
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
Ionuġ Paul Strejac
383 §2) e prevede una serie di strutture possibili messe a di-
sposizione dei Vescovi latini e delle rispettive Conferenze epi-
scopali per venire incontro a simili situazioni (CIC, cann: 112
§2, 383 §2, 476, 372, 518, e analogamente CCEO, cann: 38, 916
§4,5, 192 §1, 193 §1-3, 246, 280).
4. Lo studio intrapreso, oltre ad individuare casi concreti e
indicare possibili soluzioni, ci ha condotto alla conclusione che
il principio fondamentale che si può rintracciare nei canoni dei
due Codici è senz'altro la salvaguardia del proprio rito e
dell'identità propria delle Chiese orientali
sui iuris, perché
parte del patrimonio della Chiesa universale. I canoni analiz-
zati sono una conferma che il patrimonio teologico, liturgico,
spirituale e disciplinare delle Chiese orientali sta molto a cuore
alla Sede Apostolica che cerca, anche a livello normativo, di
salvaguardare questa grande ricchezza nella quale risplende la
tradizione che viene dagli Apostoli attraverso i Padri e che af-
ferma la divina unità della fede cattolica (cfr. CCEO, can. 39).
Ma questa visione non è nuova, non è soltanto frutto dell'ec-
clesiologia conciliare che ha trovato applicazione nei due Codi-
ci. Essa si è delineata nel tempo. Un esempio concreto in tal
senso è la presenza storica dei fedeli greco-cattolici nell'Arci-
diocesi di Bucarest À n dal 1814 e la particolare attenzione pre-
stata ai loro problemi da parte dei Pastori latini e della Santa
91 Sulla presenza dei fedeli greco-cattolici nell'arcidiocesi di Bucarest
si vedano gli articoli di carattere storico pubblicati nella rivista di storia
ecclesiastica "Pro Memoria" n. 5/2006 e n. 6/2007, Bucureûti.
Caietele Institutului Catolic VIII (2009, 1) 203-250
Source: http://caiete.ftcub.ro/2009/Caiete%202009-1%20Strejac.pdf
Neurobiology of Disease 35 (2009) 348–351 Contents lists available at ScienceDirect Neurobiology of Disease The blood–brain barrier is intact after levodopa-induced dyskinesias in parkinsonian primates—Evidence from in vivo neuroimaging studies Arnar Astradsson a,d, Bruce G. Jenkins a,b, Ji-Kyung Choi b, Penelope J. Hallett a,d, Michele A. Levesque a,d,Jack S. McDowell a,d, Anna-Liisa Brownell a,c, Roger D. Spealman a,d, Ole Isacson a,d,⁎a Harvard University and McLean Hospital, NINDS Udall Parkinson's Disease Research Center of Excellence, Belmont, MA, USAb Massachusetts General Hospital (MGH) Nuclear Magnetic Resonance Center, Athinoula A. Martinos Center for Biomedical Imaging, Boston, MA, USAc MGH Positron Emission Tomography Center, Massachusetts General Hospital, Boston, MA, USAd New England Primate Research Center, Harvard Medical School, Southborough, MA, USA
Los márgenes hombre-humano: Trascendencia y solidaridad en João Guimarães Rosa y César Vallejo Carlos Yushimito del Valle Brown University En las líneas que siguen se examinan dos temas centrales en la poética de César Vallejo (1892-1938) y João Guimarães Rosa (1908-1967). Por un lado, la representación simbólica del ser humano como sujeto trascendental. Por otro,